Il coraggio di una Cassandra al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania

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Coraggiosa inaugurazione della Stagione 2011 (dall’11 al 19 gennaio) per il Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania.
Coraggiosa per la scelta dell’opera , la misconosciuta e dimenticata Cassandra di Vittorio Gnecchi – un Carneade dell’opera italiana – e coraggiosa per il momento particolarmente difficile dal punto di vista economico, e quindi poco propizio a novità e sperimentazioni, in cui versa il Massimo etneo. Se si aggiunge che il personaggio stesso del titolo nell’immaginario collettivo è di per sé foriero di sciagure, l’aggettivo da coraggiosa potrebbe trasformarsi in temeraria, ma evidentemente la superstizione non affligge il Direttore Artistico Will Humburg, che ha tenacemente perseguito tale progetto e lo ha più volte e con entusiasmo anticipato fin dall’anno scorso.
E se dalle colonne de Il sole 24 ore del 9 gennaio 2011 Quirino Principe – che viceversa un carneade non è – titolando “La vergogna è finita” invitava caldamente i lettori a raggiungere
Cataniacon ogni mezzo” per poter finalmente assistere alla Prima esecuzione integrale in tempi moderni di un’opera ingiustamente dimenticata , allora significa che la prima scommessa della Direzione Artistica etnea è stata vinta: attirare l’attenzione della stampa e del mondo della cultura nazionali e internazionali sì su un’opera, ma anche su un Teatro, quaggiù al Sud, che di attenzione ne merita.
Veniamo quindi a Cassandra, opera sfortunata , profetessa inascoltata della musica del Novecento come profetessa inascoltata , con la tragedia negli occhi, è la principessa troiana cui deve il nome. Eppure gli inizi non erano stati infausti , anzi un buon successo salutava la prima rappresentazione a Bologna nel 1905 sotto la bacchetta di Arturo Toscanini. Vittorio Gnecchi, (1876-1954) nutrito di cultura classica e innamorato della grecità, riprende da Eschilo il soggetto – affidando la stesura del libretto al più che titolato Luigi Illica – della principessa troiana che giunge a Micene schiava di Agamennone (che ella ama riamata, secondo questa versione) dopo la disfatta di Troia, ed assiste impotente all’assassinio del re che ha invano predetto.
Ella stessa cade sotto i colpi della scure di Clitennestra, moglie fedifraga amante di Egisto , nonché desiderosa di vendetta per il sacrificio della figlia Ifigenia compiuto dal marito.
Gnecchi proviene da una ricca, colta e illuminata famiglia milanese di proprietari terrieri e imprenditori; di precoce talento musicale, ha potuto contare sui migliori insegnanti privati – cosa che lo farà in seguito tacciare di dilettantismo – tra cui quel Michele Saladino , maestro di Mascagni e di De Sabata; tra i suoi compagni di studi e amici, un giovanissimo Tullio Serafin, che figura tra gli esecutori del suo primo lavoro, l’operina Virtù d’amore, allestita nel 1896, Gnecchi non ancora ventenne, nella villa di famiglia a Verderio sull’Adda. Ebbene, sì, c’è stata un’epoca in cui gli imprenditori lombardi si dilettavano nelle proprie ville in allestimenti di opere liriche e non nell’esercizio del bunga bunga... ma è stato tanto tempo fa; come scrive Quirino Principe nell’eccellente programma di sala, ricco di preziose informazioni “quel ceppo alto -borghese segnalato per operosità, mecenatismo e altre virtù lombarde (virtù d’un tempo)”.
Principe – tra gli artefici della riscoperta di Gnecchi a partire da un saggio del 1990 sulla Rivista Illustrata del Museo Teatrale alla Scala – ricostruisce l’incredibile serie di equivoci , ignoranza, sfortuna, iniquità e veleni che portarono all’oblio di Cassandra e del suo autore, oblio cui ha posto fine l’esecuzione in forma di concerto di Cassandra al Festival di Montpellier nel 2000. Prezioso nel programma di sala anche l’apporto di Marco Iannelli, revisore e ordinatore di tutta l’opera di Gnecchi, e autore de “Il caso Cassandra”(Bietti 2004) cui rimandiamo per un’informazione completa.
Di raffinata cultura musicale, Gnecchi guarda con interesse alla musica europea, al sinfonismo e al teatro musicale di matrice tedesca, a Wagner e più ancora a Strauss di cui è strenuo ammiratore; così prima spedisce e poi consegna di persona al grande maestro nel 1906 – in occasione della venuta di Strauss a Torino per dirigere la Salome – la partitura della sua Cassandra perché ne dia un giudizio, giudizio che non avrà mai.
Nel gennaio 1909 vede la luce a Dresda l’Elektra di Strauss, che della trama di Cassandra in un certo senso costituisce il seguito; pochi mesi dopo il critico Giovanni Tebaldini evidenzia le sorprendenti analogie tra Cassandra ed Elektra, dovute ad una sorta di “telepatia musicale” (tale il titolo del saggio), di una tendenza stilistica diffusa e di ispirazione comune. Tebaldini non parla quindi di plagio ma altri lo faranno, facendo scoppiare un “caso” e scatenando una polemica che lungi dallo stabilire la verità danneggerà solo il povero Gnecchi , accusato egli stesso di plagio negli Stati Uniti da chi ignorava la cronologia degli eventi.
L’intera vicenda assume quasi i caratteri di una persecuzione o quantomeno di un destino incredibilmente avverso (..Cassandra!) se si pensa che Arturo Toscanini per tutt’altri motivi , e cioè irritato da infondati pettegolezzi sul suo presunto pagamento da parte di Gnecchi perché dirigesse Cassandra, non volle mai più dirigere sue opere. Gnecchi nobilmente in merito al presunto plagio rimarrà in silenzio; ma le lobby dell’ambiente musicale, in primis La Scala, decreteranno l’ostracismo del maestro italiano “per non dispiacere a Strauss” .
Da parte di Strauss , citando Principe, una “innocua indifferenza”; con una sola ambiguità, l’affermare di non aver mai visto lo spartito di Cassandra...
Vale la pena di sottolineare che al conformismo e al servilismo nostrano non corrisponde uguale atteggiamento oltralpe, curiosamente proprio nella patria di Strauss ; in Germania ed in Austria, in particolare nell’illuminata Salisburgo – cui Gnecchi dedicherà la Missa Salisburgensis – le sue opere continueranno ad essere apprezzate ed eseguite. Ma esistono davvero analogie tra le due opere?
Eccome se esistono, anche alla luce di quanto ascoltato a Catania il 16 e il 19 gennaio; tra le principali, indubbiamente l’incipit, un “grido di profetica dannazione”, nel quale ravvisiamo il grido di Elektra “Agamennon!” sull’intervallo di quinta discendente, inoltre alcune figurazioni ritmiche, l’uso di modalità e scale greche, e per concludere l’invocazione finale ad Oreste pronunciata da Cassandra – che , colpita a morte, profetizza a Clitennestra quale sarà il suo giustiziere – identica nel finale di Elektra al grido della sorella Chrisotemis.
Inutile negare che siano due opere indissolubilmente legate, si sia trattato di comune ispirazione, di temperie culturale, o che effettivamente Strauss abbia più o meno consciamente “rubato” qua e là ; Iannelli conclude diplomaticamente che “…l’ inconscio artistico e naturalmente ricettivo di Strauss si possa essere ricordato di quei motivi e trattazioni modali”. Ma altrettanto decisamente bisogna affermare che si tratta di due opere completamente diverse; Cassandra è indubbiamente opera italiana, italiana è la vocazione melodica di atmosfera post pucciniana ma che fa pensare anche a Zandonai e Alfano, con uno stile eclettico che fonde il contrappunto, il sinfonismo post wagneriano e straussiano con lo studio dei modi arcaici.
Opera poderosa, interessante – utile documento di opera italiana di influenza tedesca – che rivela i suoi punti deboli in una certa discontinuità e debolezza drammaturgica, in una orchestrazione a volte troppo densa, ridondante, con sovrapposizione di ritmi , percussioni e timbri quasi che si trattasse di sperimentazioni ; non si dimentichi che si tratta di un lavoro giovanile . Tuttavia non vi è traccia dello stile dirompente e moderno che in Elektra farà parlare di anticipazione dell’espressionismo, stile che curiosamente Strauss abbandonerà dopo quest’opera (e se fosse vero che Elektra deve almeno l’ispirazione a Cassandra?).
Preponderante ed impegnativa è la parte affidata al Coro – quasi assente in Elektra, tragedia di interni – come la tragedia greca cui si ispira o il melodramma italiano verista da cui direttamente proviene. Il Teatro Bellini, che nel 2010 ha messo in scena un’apprezzata edizione di Elektra, e che in quell’occasione preannunciò Cassandra – come parte di un unico discorso , secondo una prassi cara alla Direzione Artistica – molto intelligentemente nell’intervallo consentiva , a chi volesse confrontare personalmente e “in tempo reale” le due opere, la visione di alcune parti di Elektra per mezzo di un televisore nel foyer del teatro; chissà se non si possa arrivare ad eseguirle insieme – d’altronde di due atti unici si tratta, Cassandra in realtà consistendo in un Prologo e due parti – come realizzato a Berlino nel 2007 (proponendo però di Cassandra solo una parte). Elektra e Cassandra finalmente riunite, come due sorelle a lungo tenute lontane, anzi due sorellastre , di cui l’una (forse) deve la vita all’altra e l’altra sicuramente deve l’oblio alla prima…Anche nell’allestimento, affidato alla stessa regista di Elektra, Gabriele Rech, c’è un discorso di continuità , quasi a voler considerare Cassandra, per usare un brutto termine cinematografico oggi di moda, il prequel di Elektra. Così l’ambientazione è simile, in abiti moderni (costumi di Sandra Meurer) ed è quasi sempre indovinata, anche se in qualche momento avremmo voluto vedere una classicità più legata all’iconografia tradizionale, se non proprio in peplo e colonne.
Certo, manca la dimensione psicanalitica e di dramma borghese così presente in Strauss e più ancora nel libretto di Hoffmanstal ; il libretto di Illica, ma a cui ha messo mano lo stesso Gnecchi ,è non sempre felice, spesso ridondante, troppo ricercato e datato nei termini, in una sorta di neoclassicismo decadente . Tuttavia la regista interpreta il mito come specchio dei sentimenti di ogni tempo, intravedendo enorme distanza tra il Coro, che è greco e come tale immobile e in funzione di commento, e i personaggi che invece sono umani , protagonisti di una tragedia familiare : così utilizza una grande macchina teatrale (opera dello scenografo Giuseppe Di Iorio che cura anche le luci), una sorta di carro che separa il Coro dalla vicenda e dai personaggi e lo pone su un livello superiore, in un contrasto di bianco e nero molto d’effetto, di fronte al pubblico, come se di esso fosse “uno specchio inquietante”. Il Coro è quindi in alto, sul carro, poi in proscenio, oppure dietro le quinte, oppure contemporaneamente qui e lì; una prova impegnativa logisticamente oltre che musicalmente per il Coro del Teatro Bellini istruito da Tiziana Carlini, prova che la compagine etnea supera molto onorevolmente. Il carro è anche il Fato e quindi incombe avanzando oppure arretra, e da esso escono gli oggetti scenici o ne vengono risucchiati; sempre guardando alla continuità, alcuni oggetti provengono da Elektra , primo fra tutti la scure che uccide Agamennone, la stessa utilizzata per uccidere Clitennestra. In proscenio , un grande letto che, secondo le parole della regista, “prima funge da ara e poi sarà quasi un seggio su cui si avvicendano Agamennone, Clitennestra, Egisto”.
A volte, come pure in Elektra, alcuni personaggi infrangono il confine tra scena e platea , come fa il piccolo Oreste che nel finale fugge dal doppio delitto e dal suo stesso destino , o Cassandra – che Gnecchi vuole innamorata di Agamennone e Rech raffigura madre di due bambini – che fugge verso la platea come per cercare soccorso o in un ultimo tentativo, che ella sa essere inutile, di sfuggire al suo destino e impedire la morte di Agamennone. Donato Renzetti (recita del 16 gennaio) alla guida musicale dello spettacolo affronta e risolve con estrema disinvoltura i problemi posti da una partitura complessa, facendone risaltare la bellezza e la sensualità delle melodie, i vari temi e la molteplicità di ritmi, e riuscendo quasi sempre a tenere a bada i volumi di un’Orchestra in buona forma ma a volte invadente per ragioni compositive e di orchestrazione, come se non bastassero gli annosi problemi di sbilanciamento tra buca e palcoscenico che patisce il Bellini.
La lettura di Renzetti evidenzia quelli che sono i momenti migliori di un’opera come si è detto discontinua: il Prologo , di bell’impatto, personificato nell’efficace Nicola De Michele, con l’ottimo Coro femminile delle Eumenidi che annuncia, come in una tragedia greca, quello che sta per compiersi, il duetto tra Clitennestra ed Egisto, l’aria del ritorno di Agamnennone.
Davvero emozionante e registicamente indovinata la scena – che vede impegnata ancora la compagine corale femminile dell’Ente – delle Coefore, (su cui spicca la Coefora di Piera Bivona) le portatrici di libagioni per i morti , di eschilea memoria e musicalmente costruita sui toni greci; nelle Coefore che levano in alto le immagini degli eroi caduti vogliamo leggere un omaggio a tutti coloro che in ogni epoca cadono combattendo per un ideale.
Nonostante il titolo, la protagonista dell’opera è in realtà Clitennestra, che ha visto una “debuttante”di rango nel ruolo; stiamo parlando di Giovanna Casolla, lo splendido soprano napoletano dalla carriera trentennale e la voce di una trentenne, salda ed omogenea in tutta la gamma, rotonda, piena e duttile a qualsiasi sfumatura ; qualunque aggettivo non appare sprecato per definire questa grandissima artista che risolve senza difficoltà tutti i problemi di una scrittura vocale spesso non felice per le voci acute, perché insiste sulle note di passaggio per poi svettare agli acuti estremi.
Giovanna Casolla è di volta in volta una Clitennestra materna, innamorata, violenta, vendicativa e spietata , senza mai per questo cadere in tentazioni veriste e di facili effetti. Una grande lezione di canto da un’ autentica Signora del palcoscenico. Anche la scrittura vocale riservata ad Egisto non sempre è felice, insistendo invece sulle note medio gravi senza dare possibilità di “sfogo” alla voce ; il baritono Carmelo Corrado Caruso, anch’egli ottimo artista , forte di un solido bagaglio tecnico ed espressivo, affronta senza problemi i momenti più critici , come quando, alla fine della prima parte, canta “contro” tutto il coro, e rende efficacemente l’ambiguità del personaggio, tra amore, interesse e desiderio di rivalsa . Nel title role si è fatta apprezzare il mezzosoprano Mariana Pentcheva, di prorompente vocalità e presenza scenica di grande tragicità. Il tenore inglese John Treleaven, voce straordinaria , lunga e gloriosa carriera di heldentenor, nell’arduo ruolo di Agamennone è apparso un po’ in affanno nel settore acuto, pur offrendo momenti emozionanti nell’aria del ritorno del re. Completano il cast Nicola De Michele, anche nelle vesti del Fazionario del porto, Piera Bivona, anche nel ruolo di Una Vecchia, Paolo La Delfa, (Il Navarca), e il piccolo Samuele Cozzubbo (Oreste), insieme al troppo esiguo coretto di voci bianche Gaudeamus Igitur Concentus diretto da Elisa Poidomani. Di valore anche il secondo cast, ascoltato il 19 gennaio e rinnovato nei ruoli principali , a cominciare dal direttore Antonino Manuli, che padroneggia con precisione, estrema cura e musicalità l’abbondanza di temi e figurazioni ritmiche sovrapposte , senza mai perdere il contatto col palcoscenico, anch’egli impegnato nella “missione impossibile” di tenere basso il volume dell’Orchestra, che pur con bellezza di suono rischia in alcuni momenti di sovrastare le voci. La Clitennestra di Alessandra Rezza, ormai di casa al Bellini, rappresenta un’ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, delle qualità vocali e sceniche di questa musicalissima artista , che ad ogni nuova prova appare più matura e completa. Accanto a lei non demerita lEgisto di Piero Terranova , efficace sia scenicamente che vocalmente . Ottima la Cassandra di Anna Maria Chiuri, bella voce di mezzosoprano morbida e duttile, che ha ben reso le sfumature tragiche ma anche amorevoli del personaggio. Un po’ in ombra l’Agamennone di Roman Sadnick, a volte a disagio nell’impervia tessitura, che egli affronta con emissione aperta nelle note di passaggio pregiudicando così l’ascesa agli acuti estremi.

In conclusione , Cassandra meritava di tornare su un palcoscenico, e bene ha fatto il Teatro Bellini ad impegnare uomini e mezzi per realizzarlo ; vi è gran bisogno di teatri coraggiosi , e di governanti lungimiranti, che prendano a cuore le sorti dello spettacolo dal vivo, perché, come ha scritto Vittorio Gnecchi: “Per la musica, l’esecuzione è la vita . Un’opera non ha il respiro perenne di un quadro: nascosta, essa è polvere”.

Antonella Guida

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