Buratto e Mariotti: suggestioni novecentesche al San Carlo

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Programma sinfonico di grande intensità quello proposto dal teatro San Carlo, nell’ambito della stagione 2016/2017, giovedì 18 maggio 2017: sul podio il brillante direttore Michele Mariotti e il soprano Eleonora Buratto, con l’ Orchestra del Teatro di San Carlo. Capolavoro estremo di Strauss, i Vier letzte Lieder, i quattro ultimi Canti, per soprano e orchestra, nell’ordine di composizione : Im Abendrot (Al tramonto, testo di Joseph von Eichendorff); Fruhling (Primavera, testo di Herman Hesse); Beim Schlafengehen (Addormentandosi, testo di Herman Hesse) e September (Settembre, testo di Herman Hesse). Testi intrisi di profondi significati emotivi, alleggeriti e sospesi quasi dalla musica caratterizzata da passaggi talvolta evanescenti e a cui viene riconosciuto il compito di rendere lo struggente addio del compositore ad una vita piena di musica essenzialmente “positiva”, in cui non si scorgeva nulla di tutte quelle problematiche che hanno caratterizzato l’opera di musicisti della stessa generazione, alla fine non solo di una splendida carriera, ma anche di un genere che affondava le sue radici nel più brillante Romanticismo tedesco.
Quindi non una rinuncia alla vita, bensì un sereno congedo dal mondo, dalla società del suo tempo ormai giunta ad una decadenza cui il compositore si sforzava, riuscendoci pienamente, di dare comunque luminosità e forza. Sono tutte partiture dolcissime, con un miracoloso trattamento della voce. In particolare, la Buratto, voce da lirico pieno, si è dimostrata capace di tirare sull’acuto e al tempo stesso di appoggiarsi sulla tessitura grave che in Strauss è così ben presente. Indimenticabile l’assolo di violino in Beim Schlafengehen, ma, in realtà, il compositore è riuscito a sublimare tutte le quartine poetiche in una musica “dell’estasi”, caratterizzata da una profondità del soggetto che inevitabilmente richiedeva la grande orchestra.
Scrive il musicologo Franco Serpa: «La bella poesia di Eichendorff trasfigurava in una superiore serenità l’afflizione del vecchio genio stanco, ma cantava anche il consolante valore dell’amore fedele in prossimità della morte: “Siamo passati tra pena e letizia, insieme, la mano nella mano, ora ci riposiamo dal cammino, in una terra tranquilla. Intorno si oscurano le valli, già l’aria si fa buia…. O ampia immobile pace! Così profonda nel tramonto! Siamo tanto stanchi del cammino: questa è forse la morte?”».
Quando si pensa alla Sinfonia n. 4 di G. Mahler, immediato è il collegamento con la Quarta di Beethoven, descritta da Richard Wagner come una snella fanciulla ellenica stretta tra due giganti nordici, l’Eroica e la “fatale” Quinta. Infatti, fra tutte le partiture sinfoniche di Gustav Mahler (Repubblica Cèca, 7 luglio 1860 – Vienna,18 maggio 1911), la Sinfonia n. 4 in Sol maggiore per soprano solista e orchestra occupa una posizione di passaggio: è la sinfonia che chiude il primo periodo produttivo di Mahler e che, come anche la Seconda e la Terza, accoglie al proprio interno dei canti vocali su testi poetici, che segnano un ritorno verso la musica “pura”, rendendo omaggio allo spirito della musica del ‘700. Inoltre, per la prima volta, Mahler si serve di un organico piuttosto ristretto, senza tromboni e basso tuba, né raddoppi dei fiati; l’articolazione è in quattro movimenti, ciascuno dei quali sviluppa, in modo personalissimo, un “topos” sinfonico: la forma-sonata, che si apre con un gaio tintinnio di campanelli che introduce a uno svolgimento brillante e giocoso dove si intrecciano melodie classiche e popolareggianti in quel “contrappunto tematico” che è tipico del compositore; il rondò, in cui il violino solista suona nella “scordatura” di un tono sopra “wie eine Fiedel”, creando un grottesco effetto di danza macabra, condotta tuttavia con la leggerezza che contraddistingue l’intera sinfonia; la variazione, che vede un Adagio dal carattere lirico ed estatico, con linee melodiche di grande bellezza ed espressività che si intersecano fra loro in un’incredibile mescolanza di colori sonori; e un delizioso Lied, “La vita celestiale” cantato dal soprano, il cui testo è tratto dalla raccolta di liriche medioevali “Des Knaben Wunderhorn” (Il corno magico del fanciullo). Qui la voce del soprano si unisce all’orchestra intonando un Lied che descrive le gioie del Paradiso viste attraverso lo sguardo ingenuo di un fanciullo, la cui visione però è tutt’altro che mistica: gli angeli danzano, altri cuociono il pane e i santi sono intenti a preparare cibi succulenti tra orti e giardini pieni di ogni ben di Dio. Le cantine offrono buon vino senza pretendere un quattrino e così via festeggiando! Il canto si intreccia con spunti tematici già ascoltati in una sorta di gioco vorticoso, fino a che, dopo un lungo decrescendo, la visione celeste scompare e la sinfonia si conclude senza drammaticità, con un evanescente pianissimo che non fa altro che confermare il ruolo che Mahler ha avuto in qualità di cantore della crisi di un’epoca.
Grandi l’equilibrio e l’attenzione con cui il maestro Mariotti ha governato il tutto con mano salda e apprezzabile coerenza formale, dosando quanto vi era di espressivo e quanto di “grottesco” nella partiture in programma, evidenziando forte empatia con l’orchestra e i due solisti della serata, la cantante Eleonora Buratto e il primo violino Gabriele Pieranunzi che, a loro volta, hanno offerto una prova di altissimo livello, salutati con calorosi ed emozionati applausi dal pubblico partenopeo.

Katia Cherubini

Foto Emanuele Ferrigno ©

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