Simbolico e coinvolgente: Ohad Naharin con la Batsheva Dance Company al RavelloFestival

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Un inno alla diversità, alla ricchezza della differenza per scelta portatrice di verità altre, una riflessione sull’unicità dell’essere danzante e sulla sostenibilità delle proprie idee/proposte/gesti che divengono narrazioni collettive di emozioni, attimi, dialoghi, incontri: ecco ciò che anima il Belvedere di Ravello il 19 luglio 2017 con la sapiente lingua coreografica espressa nelle armonie dei ballerini della Batsheva Dance Company  dello  storico direttore  Ohad Naharin.
In sintonia con il fil rouge del RavelloFestival 2017 – attraversare muri per abbattere barriere, segregazioni, incomprensioni, – Ohad Noharin presenta il balletto DECADANCE, nato nel 2000 per celebrare il suo decennale alla guida artistica della prestigiosa compagnia israeliana.
DECADANCE nella volontà del suo ideatore e creatore racconta il suo lungo percorso compositivo innestando combinando e amalgamando lavori tra loro lontani nel tempo che divengono un album non già di ricordi, ma di proposte sempre vive, ed ogni volta che lo spettacolo prende vita sul palcoscenico è sempre differente proprio perché l’anima creativa dei singoli danzatori ne è alla base.
La personalissima cifra coreografica di Ohad Noharin è espressa da magnifici danzatori, vibranti duttili e reattivi oltre che soffici, plasmati con il suo training speciale GAGA che egli non vuole definire né tecnica né prontuario di regole, grazie al quale i ballerini sono incoraggiati a potenziare la qualità del movimento in vista di nuove capacità espressive.
Il desiderio di valicare confini, di abbattere muri invisibili, di non essere adatto a, emerge nel suo lungo racconto coreografico, dove il limite dato dalla finitezza e immaterialità del gesto danzato è superato dal  fluire naturale dell’energia che tutto trasforma e nulla de-materializza.
Un danzatore solo, in proscenio, accoglie il pubblico, movimenti tra sussurri pause scatti pulsanti, come un amico ti accoglie e ti mette a tuo agio al primo ingresso in casa sua, prima di intavolare un lungo dialogo dai toni altalenanti dal serio all’ironico al leggero.
Come in un music-hall – di coctiana  memoria – il movimento del danzatore sul palcoscenico inferisce con il vociante pubblico ne cattura sguardi distratti, lo acquieta sino al calare delle luci e all’ingresso degli altri danzatori.
l’illusione della bellezza è la linea sottile che separa la pazzia dalla sanità, il panico dietro la risata è la coesistenza di fatica ed eleganza” introduce un rinnovato inizio dello spettacolo con uomini/donne omologati e un solo diverso, tutti ossessivamente esasperano i movimenti sino al culmine espresso nello svestirsi degli abiti “ufficiali” per far emergere il vero essere sulle note della canzone Echad mi Yodea.
Il proscenio viene usato dai danzatori come luogo spiazzante e al tempo stesso contatto ravvicinato con il pubblico, territorio di ipotetici intermezzi o interi brani, corpi che si muovono annientando la profondità o vivendone pochissima come se fossero bloccati in una immaginaria striscia, come immagini di una pellicola di celluloide che scorre a differenti velocità, trasmigrando in un canone il movimento che dall’uno diviene materia espressiva per l’altro e per l’intero gruppo.
L’azione e i sentimenti sono espressi tutti sino al goliardico incontro con il pubblico in uno scambio di energia vitale, dove il mezzo e il tutto della comunicazione è la danza, o il lunghissimo brano di movimenti di pura energia che sono con sapienza affidati dall’uno all’altro danzatore.
Energia vitale della parola coreografica dell’essere in divenire sino al termine dello spettacolo che ha visto un attento emozionato partecipe pubblico.

Tonia Barone

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