Apollineo e dionisiaco in Zorba si intrecciano in un liberatorio sirtaki

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Zorba il Greco, un balletto che mantiene costante nel tempo il suo fulgore, incanta e avvince il pubblico per l’intera sua durata, sempre vivida è la fama che lo accompagna, conclude la stagione del San Carlo Opera Festival 2017 in scena dal 12 al 17 settembre 2017.
Zorba il Greco
creato da Lorca Massine nella sua veste definitiva nel 1988, su musiche scelte di Mikīs Theodōrakīs, è un inno alla vita accogliendola in tutte le gradazioni e i contrasti come il bianco/nero, il giorno/notte, l’amore/odio, la vita/morte.
La coreografia evidenzia come il ‘sentire’ che pervade il corpo di ogni uomo è la vera essenza del nostro ‘essere’, è l’unica possibilità di esistere e divenire un unico con il mondo naturale.
Il celebre balletto corale in due atti e ventidue quadri è ispirato al romanzo Life and Adventures of Alexis Zorbas di Kazantzkis, Lorca Massine nella trasposizione coreografica preferisce porre in dialogo i singoli con la collettività risolvendole come voci in rappresentanza della comunità/umanità.
Nella  tessitura coreografica  traspaiono tantissime citazioni, esplicite e non, a balletti del repertorio sia antecedenti che contemporanei alla creazione, e si palesa  l’intento dell’epoca di portare una massa di danzatori sulla scena per rendere omaggio alla vita, alla bellezza, alla libertà.
La grecità traspare non solo nell’ossessivo e reiterato passo base del Sirtaki, stilizzato e  tradizionale, ma anche dai colori caldi degli abiti delle donne che ricordano gli affreschi minoici, dal lungo velo da sposa/peplo delle Panatenaiche e dalla sposa/madonna/Era di Madame, dal bianco vestito degli occidentali pronti a derubarli delle antichità di John.
La trama può essere ricondotta all’essenza di un mondo contadino, sottolineato dal gesto iniziale del raccogliere terra/mare, invaso e attraversato da uno straniero. Uno straniero, John, il cui errore è quello di innamorarsi di una donna del luogo, la vedova Marina ed essere ricambiato, evento che crea la frattura perché Manolios è attratto da lei. L’amore tra Marina e John si realizza e gli uomini del posto lo scoprono.
L’unico che accoglie lo straniero John è lo stravagante Zorba che lo sostiene e gli svela i segreti della cultura locale.
Due uomini diversi John apollineo e Zorba dionisiaco, due espressioni della mascolinità, due differenti approcci all’amore accomunati dalla stessa sorte di perdere le donne amate e, il dolore provato, possono attraversarlo e placarlo immergendosi in una frenetica danza orgiastica liberatoria, giungendo al patos poiché il sacrificio ormai è compiuto.
Si eleva un inno alla libertà che nulla può sottrarre all’uomo, perché è insita nello spazio recondito di ognuno e, anche quando si direbbe sopita essa dispiega le ali.
Indiscusso protagonista della scena, corpo parola viva, fluente nello spazio, energia pura  Zorba  interpretato da David Khozashvili  ha restituito la leggerezza del personaggio tragico, e la sapienza del suo gesto danzato ha condotto lo spettatore nella narrazione, è riuscito a restituire dosando il carattere scanzonato e al tempo stesso tragico.
Il suo doppio, John interpretato da Alessandro Staiano ha utilizzato un fresco stile classico, elegante, sobrio, dosando l’energia da far apparire leggero e sognante il suo personaggio perso dietro le parole scritte piuttosto che vivere le proprie emozioni, leggero nei movimenti e nei salti.
Nell’inno alla vita e alla libertà finale John e il suo doppio non possono che procedere ognuno con il proprio stile di danza, intrecciando gli stili, mescolandoli e anche scambiandoseli, i lemmi danzati come linguaggio universale e non più classificabile.
Momenti di massima poesia nel trio di Zorba, John e Madame Hortense, espressione della follia della donna/bambina, del finto distratto Zorba e di un John appassionato amico dei due.
Candida Sorrentino ha commosso nel ruolo di Madame Hortense, non è mai scaduta nel patetico, ha restituito un personaggio sull’orlo della follia, chiusa nella memoria dei tempi fulgidi, con il boa come ali spezzate di un uccello, ultimo canto di un cigno, e al tempo stesso madonna/sposa che non può sostenere le emozioni e le parche/prefiche non possono che strapparle i simboli del suo tempo andato per condurla alla morte.
Altra grande protagonista Anna Chiara Amirante nel ruolo di Marina, amante appassionata, dai movimenti fascinosi e contenuti al tempo stesso, fluida nello spazio, vivido corpo duttile tra le braccia del suo John, capace di mutare registro dallo sfrontato nel sostenere la disapprovazione della collettività sino ad immolarsi lasciandosi uccidere inerme.
Ertu Gjoni è il rozzo Manolios, accompagnato da movimenti pesanti e inespressivi, è la voce maschile tra le voci maschili.
A circondare, assecondare e sottolineare gli intrecci amorosi la collettività in scena i Solisti e il Corpo di Ballo del Teatro San Carlo diretti da Giuseppe Picone e assistente alla coreografia Anna Krzyskov, hanno mostrato energia e spirito di insieme soprattutto gli uomini per l’intera rappresentazione oltre che ad una ottima esecuzione.
Zorba il Greco
, nell’allestimento del Teatro di San Carlo, non poteva che terminare con l’orgiastico Sirtaki che ha coinvolto appassionatamente il pubblico, il quale,come avveniva per le tragedie greche, ha avuto il suo angolo di immedesimazione/espressione e superamento degli eventi  cui ha assistito.
Lunghi applausi hanno accompagnato i saluti finali dei protagonisti insieme a Lorca Massine.

Tonia Barone

Foto Luciano Romano

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