Un piacer serbato ai saggi, o sia la dilettevole professione del critico musicale – Forma, struttura e linguaggio della critica musicale

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Forma, struttura e linguaggio della critica musicale

In quanto branca del giornalismo, prescindendo da quanto cronachistica sia, la critica musicale, in particolare quella destinata al mezzo cartaceo, obbedisce alle regole e alle convenzioni proprie della scrittura giornalistica.
Le lingue naturali tutte hanno subito processi di contaminazione globalizzante, ancora più incisivi ed estesi da quando la rete ha dissolto, più che varcato, i confini nazionali e con essi quelli linguistici.
È senza nostalgie che però va rilevato come proprio nel campo giornalismo che ha per oggetto la musica lirico-sinfonica, la lingua italiana ha conservato anche ben oltre le Alpi, una posizione di rilevanza, se non altro nel lessico specialistico, che ha resistito ai tentativi e alle tentazioni di traduzione.
La comunicazione verbale, ovvero, etimologicamente, il mettere in comune servendosi di parole, è ben rappresentata, dopo quasi un secolo, dal Triangolo di Ogden e Richards che nel 1923 proposero un grafo che alla base della figura geometrica pongono il significante, ovvero la stringa di caratteri nella lingua naturale, e l’immagine rappresentativa del lemma che si intende comunicare, mentre al vertice superiore del triangolo si fa corrispondere il significato, espresso come voce dal dizionario, descrivente il lemma stesso.
Il triangolo di maggiore successo pone a sinistra la stringa L-E-O-N-E, a destra l’immagine del re della foresta, e al vertice superiore la descrizione: Leone: s.m. Grosso mammifero carnivoro appartenente alla famiglia dei felidi, originario delle savane africane e asiatiche, con pelo fulvo raso, coda a fiocco, folta criniera sul collo e sulle spalle nel maschio, dotato di possenti artigli e di canini sviluppatissimi e dilanianti

Traduzioni che invece avevano travolto e stravolto le regole della scrittura giornalistica catapultandole dalla lingua di Cicerone a quella di Pulitzer, un rispettoso compromesso tra William Shakespeare e Donald Trump!
Così dalle 5 Q latine
Quis?
Quid?
Quo loco?
Quando?
Quare?
che i manuali di giornalismo da sempre indicano come le domande cui è obbligatorio fornire risposta nel corpo di un articolo, si è passati alle 5 W anglosassoni:
Who?
What?
Where?
When?
Why?

Ovvero:
Chi?
Che cosa?
Quando?
Dove?
Perché?
Risposte che in un articolo di cronaca possono essere sufficienti a fornire un’informazione esaustiva, ma che in una critica lasciano aperto l’interrogativo forse principale:
Come?
Se nel presentare un concerto le cinque informazioni permettono al lettore di entrare in possesso di quanto necessario a individuare l’evento di spettacolo, nel recensirlo è conoscerne la qualità che assume la maggiore rilevanza, la risposta a quel “Come?”, che sempre più gli equilibrismi qualunquisti tendono ad eludere in nome di un vogliamoci bene e remuneratemi il pezzo.

I trattati di giornalismo, le cui prescrizioni si traslano quasi immutate nel settore della critica musicale, stabiliscono che un articolo debba strutturarsi almeno in tre sezioni:
L’Incipit, il Focus, la Chiusa.

Quello che gli anglosassoni definiscono Lead, che i latini amano chiarare incipit e che modernamente definiamo attacco, rappresenta il primo periodo di un articolo, cui può seguire, un ampliamento dell’attacco.
I critici più giovani hanno a lungo sottovalutato la rilevanza di un buon inizio di un pezzo, ritenendo che l’attenzione su esso fosse un’ossessione degli anziani sacerdoti del cartaceo e che nell’on-line, dove la lunghezza del pezzo può essere maggiore, l’attenzione del lettore digitale potesse concentrarsi, o meglio, estendersi sull’interezza dell’articolo.
Il rapido diffondersi dei social, l’uso telegrafico di comunicazione formato sms, e, diciamola tutta, il crescere della superficialità del lettore, ha invece esaltato la rilevanza delle prime frasi ddi un articolo.
Non è questa la sede adatta a illustrare le diverse e catalogate forme di attacco che ci limiteremo ad elencare: nominale, enunciativo, situazionale, interrogativo, enumerativo, con particolare, virgolettato, massima universale,

Il nominale, con ellissi del verbo, e il virgolettato, sono di grande efficacia nelle presentazioni e recensioni di eventi musicali, ma il nominativo non dovrebbe essere preceduto da un titolo della stessa forma.
Ad esempio:
“Applausi interminabili e innumerevoli chiamate al proscenio a conclusione di una recita memorabile», è un attacco nominale di effetto, a patto che il titolo, che spetterà alla redazione apporre, non riprenda alcuno dei sostativi utilizzati nella proposizione.
«Non nascondo di avere provato un’emozione speciale salendo sul podio di quello che più che un teatro è un tempio della musica, ma quello del direttore è un compito che richiede anche pragmatismo e, afferrata la bacchetta altri non v’erano che il cast, l’orchestra e un pubblico esigente», è un esempio di attacco virgolettato dei più classici.
Entrambi si prestano ad ampliamenti, sul merito di quel successo, nel primo caso, o sulla qualità del cast, nel secondo.
Il successivo focus, però, dovrà approfondire quegli elementi di cui si è detto nel paragrafo precedente, delle W.
La chiusa, invece, deve giungere innanzitutto prima che essa sia attesa come una liberazione dalla noia o dalla fatica, ma può avere una funzione come in musica ha la cadenza sospesa, alla dominante, per carità, non si parli di inganno nell’informazione giornalistica.
Ancora la chiusa può riprendere un virgolettato, confermare una frase riferita in un’intervista, o esprimere consenso o dissenso con l’accoglienza del pubblico, magari riferendosi ai dati di botteghino esprimendo compiacimento o rammarico.
Il critico musicale, nei limiti deontologici che questo stesso scritto puntualizza, può essere chiamato ad esercitare funzioni di ufficio stampa.
Avendo cura di distanziare le funzioni di critico da quelle di ufficio stampo, per esempio rivolgendosi a territori diversi a testate diverse e mai ad artisti che possano essere anche non contemporaneamente, oggetto di critica e di promozione.
È utile mettere a confronto tra loro due elaborati tra loro affini, ma destinati a scopi diversi: Il comunicato stampa e l’articolo di presentazione.
Escludiamo dall’analisi il troppo diffuso malcostume del copia e incolla che trasforma il comunicato di uno nell’articolo di altri, confidando, altresì che quanto diremo serva proprio a mostrare come linguaggio contenuti, finalità ed enfasi dell’uno debbano essere estranei alla stesura dell’altro.
Un comunicato stampa è redatto, dietro compenso, per promuovere un evento o un artista e quindi è sottinteso, ma diremmo necessario, che in esso si ritrovino contenuti di enfasi e di lode per il “committente”, benché un buon professionista sappia magnificare un artista con una eleganza e con forme indirette.
Una presentazione, pur partendo da un comunicato stampa, deve informare senza anticipare critiche, nel bene e nel male; deve essere parsimoniosa di aggettivi, deve limitarsi a esporre fatti e curriculum di un personaggio, ma senza aggettivare.
Luoghi e orari degli eventi meritano lo stesso trattamento, ma nella presentazione devono assumere una funzione di servizio; i virgolettati eventualmente presenti nel comunicato possono essere ripresi dall’articolo, ma va valutato il caso specifico: un attacco virgolettato ripreso identico da più testate, vanifica lo sforzo di un critico abile nell’introdurre nel corpo del pezzo elementi di pregio, che il lettore medio non leggerà, infastidito dall’ennesimo campeggiare della stessa frase dell’artista.
Un ulteriore compito, cui è chiamato un critico, è quello della redazione di programmi di sala, di norma per stagioni di grandi istituzioni.
Si tratterà di guide all’ascolto di brani sinfonici, cameristici o di opere, come di interviste ad interpreti o ad autori.
Forma e linguaggio sono più evoluti e hanno un taglio di approfondimento, pur non rinunciando alla funzione divulgativa; non trova, evidentemente, spazio alcun messaggio di promozione dell’evento, poiché il lettore è uno spettatore che ha scelto di assistervi e per di più ha acquistato il programma di sala.
Il libretto, non di rado di grande qualità tipografica, contiene le biografie degli interpreti, le schede degli autori, le locandine in breve di precedenti esecuzioni delle stesse pagine nello stesso teatro o auditorium, nonché una iconografia musicale e non, correlata con i brani in programma.

Riportiamo alcune caratteristiche e relative definizioni della pagina di giornale, tipiche del cartaceo, ma in qualche misura riprese anche da alcuni formati digitali.
In origine gli editori si preoccupavano di dare ai quotidiani una veste grafica che li differenziasse dalle riviste di pettegolezzi, oggi diremmo di gossip, e da quelle seriosamente letterarie o scientifiche.
Il formato “classico” dei giornali italiani era 55×40 cm, prima che si diffondesse il cosiddetto formato tabloid; l’iniziale rifiuto del colore, se permetteva una stampa più veloce ed economica, rispondeva anche al desiderio di conferire alla pubblicazione un carattere severo per un lettore acculturato.

La pagina si strutturava su 9 colonne, tant’è che è invalsa l’espressione “titolo a 9 colonne” per indicare una notizia di enorme importanza, tale da meritare l’intera pagina; successivamente, negli anni ’90 del secolo scorso, il numero di colonne è sceso quasi per tutte le testate a 6 ed è stato introdotto il colore.
È nel 1976 però che era iniziata la rivoluzione nella grafica, con il quotidiano “La Repubblica” che aveva adottato il formato tabloid 47×32, che sarà adottato da molte altre testate.
Con qualche migrazione di pagina e alcuni ridimensionamenti, le parti costitutive del foglio di giornale sono sopravvissute fino al terzo millennio.

La notizia (o trafiletto) è un breve articolo che riferisce sinteticamente un accaduto o lo annuncia.

Il pezzo (o articolo) ha dimensioni maggiori, 1200-3500 caratteri, che contiene più dettagli e a seconda del contenuto può essere un servizio, un reportage, un’inchiesta,

Il servizio fornisce una notizia corredata di approfondimenti e informazioni di cornice.

Il reportage è un articolo di grandi dimensioni che esamina un fatto, una situazione o una tendenza; non è richiesto che fornisca notizie nuove, perché il suo obiettivo è di analisi situazionale.

L’inchiesta è affine a una indagine non a scopo giudiziario, ma di informazione, anche se da un’inchiesta giornalistica possono scaturire indagini di polizia giudiziaria.

L’intervista è un articolo in cui il giornalista fa domande a un interlocutore. L’intervista è caratterizzata dal “virgolettato”, cioè dalle parole autentiche pronunciate dalla persona intervistata che, per questo, sono scritte tra virgolette.

L’articolo di fondo (o semplicemente fondo) si chiama così perché normalmente occupa una colonna a sinistra sulla prima pagina del giornale e arriva fino in fondo al foglio (naturalmente le soluzioni grafiche possono anche essere diverse). Esprime la linea del giornale e se non è firmato è evidentemente del Direttore.

L’editoriale è come l’articolo di fondo, esprime cioè la linea del giornale. L’unica differenza dal fondo consiste nel fatto che è scritto da una “personalità autorevole” e non direttamente dal Direttore. Per questo è un articolo firmato.

Il corsivo (si chiama così perché i caratteri grafici sono appunto in corsivo) è un commento breve, polemico o ironico, su un fatto di attualità o su una questione all’ordine del giorno. Spesso il corsivo è e vuole essere un po’ velenoso.

La rubrica è lo spazio fisso affidato ad un giornalista di prestigio. Viene pubblicata a intervalli regolari e ha un titolo che la caratterizza.

La terza pagina è lo spazio dedicato alla cultura. Oggi in realtà questo spazio non è più nella terza pagina (frequentemente è nel paginone centrale): tuttavia l’espressione “terza pagina” è così consolidata che il suo significato è ormai cristallizzato nel senso di pagina culturale, a prescindere dalla sua reale collocazione nel giornale.

Elzeviro è l’articolo di apertura della terza pagina, una specie di editoriale affidato a una personalità di spicco nel mondo culturale. Si chiama così dal carattere tipografico usato per la prima volta nel Seicento da stampatori olandesi che si chiamavano appunto Elzevier.

Coccodrillo è il pezzo scritto in memoria di un personaggio importante; viene pubblicato appena diffusa la notizia della sua morte. Si chiama così in relazione alle “lacrime di coccodrillo” (animale che “piange” dopo aver divorato la sua preda). Infatti il pezzo “in memoria di…” è normalmente già pronto nelle redazioni di tutti i giornali, specialmente se il personaggio famoso è molto vecchio. Le lacrime quindi sono in realtà molto poco spontanee.

La vignetta è l’immagine satirica affidata al disegnatore umoristico: negli ultimi anni il vignettista è diventato qualche volta una firma prestigiosa quanto e più di quella di un giornalista.

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