La musica fra le righe nell’immaginario di Dante

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Botticelli – La voragine infernale

A partire dal 2020 ogni 25 marzo si celebrerà il Dante Dì. Questa la decisione del Consiglio dei Ministri per prepararsi al meglio alle celebrazioni del 700esimo anniversario della morte del Sommo, che cadranno nel 2021.
Italianisti, linguisti, storici, critici d’arte e sì, anche musicologi, si preparano al meglio per celebrare questo sensazionale anniversario, per onorare il Poeta che con la sua opera ha influenzato tutte le arti, non solo dei suoi contemporanei ma anche dei secoli a venire, non con qualche significativa eccezione.

Il campo di indagine musicale attorno alla figura di Dante Alighieri, è forse quello che meno di altri è stato approfondito, non mancano citazioni dantesche nelle composizioni, ma se poco si valorizzano le opere che mettono in musica i versi danteschi, ancora meno si sa delle melodie raccolte nelle terzine della Commedia.

Forse qualcuno di domanderà; come mai la scelta del 25 marzo? Dante è nato in maggio e morto in settembre. Ebbene, la data è quella che per i dai dantisti indica l’inizio dell’itinerarium animae più celebre di tutti i tempi. Ma questa data trova tutti concordi? Qualche domanda si potrebbe ancora sollevare, senza pretesa di sostituirsi a studiosi del calibro di Nicola Fosca [1], ma se Natalino Sapegno insieme ad altri ipotizzava in passato la data dell’8 aprile 1300, non era certo senza ragioni valide.

Un’occorrenza musicale in particolare potrebbe stimolare un interessante dialogo. Nel canto XX del Purgatorio, attorno alla metà della Commedia, dato non trascurabile nell’Opera di un autore così attento alla numerologia, si incontra infatti un Gloria in excelsis, un inno tratto dal repertorio liturgico gregoriano dell’Ordinarium Missae. L’indagine che segue, pur senza pretesa di raggiungere un risultato che corrisponda a verità assoluta,prende le mosse dalla ricerca dell’individuazione di quale potesse essere il canto che il Poeta aveva in mente al momento della scrittura della Commedia. Il repertorio liturgico cambiava, infatti, a seconda del periodo dell’anno, un metodo per formulare un’ipotesi sull’occorrenza musicale perciò, potrebbe quindi essere quello basato sul calendario liturgico.

Volendo seguire la linea per cui Il viaggio sarebbe cominciato il 25 marzo del 1300, ci troveremmo nella sera di un giovedì di Quaresima, poiché in quell’anno la Pasqua cadde il 10 aprile.  Avendo gli studiosi ricostruito che la permanenza nell’Inferno dura un giorno solo, il risveglio di Dante nell’Antipurgatorio coinciderebbe con la mattina del sabato. Il regno di mezzo è il regno del tempo e per questo motivo si alternano giorni e notti, durante le quali, come spiega Sordello (Pg VII, 43-45), non si può continuare il cammino di ascesa al Monte del Purgatorio. Il canto XX, la cui occorrenza musicale si vuole analizzare, occuperebbe dunque la mattina del lunedì 29 marzo, giorno feriale di Quaresima. In accordo con questa interpretazione il Gloria in excelsis, relativo al periodo, andrebbe ricercato nel Liber Usualis, o meglio ancora nel Graduale Triplex, laddove riportato l’Ordinario relativo alle Ferie di Quaresima; tuttavia, nel tempo feriale di Quaresima, non è prevista l’esecuzione del Gloria in excelsis.

Gloria in exelsis Deo – Tempore paschali – Liber Usualis

Se provassimo a riportate invece il viaggio di Dante al periodo che va dall’8 al 14 aprile del 1300, ecco che comincerebbe la sera Venerdì Santo, data di rilevanza simbolica, e il risveglio di Dante nell’Antipurgatorio cadrebbe quindi nel giorno di Pasqua ed il XX canto occuperebbe la mattina di martedì 12 aprile. Secondo il calendario liturgico ci troviamo quindi nel tempo di Pasqua, che va appunto dalla Domenica di Resurrezione al giorno di Pentecoste, e di conseguenza il Gloria in excelsis ascoltato da Dante potrebbe essere ricondotto a quello dell’Ordinarium Missase relativo al tempo pasquale.

Individuato dunque quale particolare Gloria in excelsis potrebbe essere quello ascoltato dal Poeta lungo il suo itinerarium animae, senza qui affrontare un’analisi musicale del canto gregoriano, si intende soffermarsi sul significato filosofico, teologico e letterario che assume questo ascolto musicale all’interno della Commedia.

Il Gloria in excelsis è un Inno, in particolare è un Inno Angelico, ed è detto Dossologia maggiore (dal greco δόξα, “doxa”, gloria), distinto dalla Dossologia minore che corrisponde alla formula rituale “Gloria Patri”, da recitare a conclusione di ogni Salmo, tanto nella Liturgia delle Ore, che all’interno della Messa, ed anche in particolari momenti della lettura del Rosario. La Dossologia maggiore invece fa parte dell’Ufficio Liturgico e si colloca dopo l’Atto Penitenziario e prima dell’Orazione Colletta.

Questa breve nota situazionale risulta fondamentale per la comprensione del significato del canto all’interno della Commedia.; perché questo confronto sia chiaro, occorre prima però contestualizzare l’esecuzione del Gloria in excelsis all’interno dell’opera dantesca.

Pg XX- Penitenza di Avari e Prodighi, incontro con Ugo Capeto Botticelli

Il Gloria si colloca, come si è già detto, nel XX Canto del Purgatorio. Ci troviamo nella Quinta cornice, nella quale Dante incontra avari e prodighi, coloro dunque che in un senso o nell’altro non ebbero cura dei propri beni, tenendoli troppo stretti o sperperandoli. Dante e Virgilio, colpiti dalla vista dell’anima di un uomo che da solo recita una lode alla Vergine, estremo esempio di povertà, gli chiedono chi egli sia e scoprono che si tratta di Ugo Capeto, la cui dinastia, i Capetingi, si fondò sul grave peccato dell’avarizia (cfr. Pg, XX, 40-123). Lasciato il fondatore della dinastia franca, ecco che il Monte del Purgatorio comincia a tremare “come cosa che cade” (cfr. Pg XX 127) e “poi da tutte parti cominciò un grido” (cfr. Pg XX 133); questo “grido” è proprio l’intonazione del Gloria.

Analizziamo ora nel dettaglio, al fine di ricavare informazioni utili sui significati musicali, teologici e filosofici, i versi significativi del testo poetico che raccontano l’esperienza sensoriale di Dante, tratti dalle terzine conclusive (Pg, XX 133 -151).

v. 133 Poi cominciò da tutte parti un grido

Il Poeta ci informa che l’esperienza uditiva coinvolge l’intero Monte del Purgatorio, e non solo la Cornice Quinta, come si può riscontrare dai commenti di Nicola Fosca e di Anna Maria Chiavacci Leonardi, che mettono in relazione questo verso con l’interrogativo che Dante stesso formulerà nei versi 35-37 del Canto successivo. Chiavacci Leonardi segnala inoltre nel suo commento un interessante confronto con l’esperienza corale del Te Deum, che accompagna l’ingresso di Dante nel Purgatorio alla fine del canto IX. Ella si riferisce soprattutto ad una similitudine circa la solennità ed il mistero attorno al canto; entrambi infatti segnano un momento di svolta nell’itenerarium animae, il primo addirittura coinvolge Dante in prima persona. Scopriremo infatti nel Canto XXI, che questo terremoto indica che un’anima ha terminato il suo percorso di espiazione. La solennità dei due momenti è dunque chiara, la coralità anche [2], ma il mistero si caratterizza in maniera diversa: se infatti l’esperienza sensoriale del Te Deum nel IX Canto è acusmatica, da cui il mistero, il “grido” del Gloria nel XX è invece a Dante manifesto tanto alla vista quanto all’udito, ma non per questo chiaro nei suoi significati, come si leggerà nei versi finali del medesimo Canto. Resta ancora da sottolineare che quel “poi” ad inizio verso non voglia indicare una successione temporale, quanto piuttosto un nesso causale, quasi si riferisca ad un “poiché” o ancora meglio al latino quoniam che del Gloria [3] è elemento logico sintattico essenziale.

v. 136 “Gloria in excelsis”, tutti, “Deo

La frase latina, tratta dall’Evangelo di Luca (Lc 2,14), viene spezzata dal quel “tutti” che continua in enjambement al verso successivo con il verbo “dicean”. Chiavacci Leonardi interpreta questa scelta al fine di far risaltare il testo latino, tuttavia una differente interpretazione basata su nozioni storico musicali si rende possibile. Per prima cosa occorre ricordare che nel 1300 si è ormai diffusa la polifonia nella Liturgia e che i canti che vengono resi polifonici, ed affidati quindi a cantori professionisti – dettaglio non affatto trascurabile come si vedrà – erano quelli che in passato si caratterizzavano come direttaneo-solistici, eseguiti quindi esclusivamente da un solo cantore.

Rex celi – Musica enchiriadis IX

Anche nei canti direttaneo-solistici vi era però un’intonazione, che non serviva a dare il tono al coro responsoriale, ma piuttosto svolgeva funzione rituale, nel caso del Gloria, ad esempio, la gestualità del cantor in corrispondenza della parola Deo, indicava all’assemblea di chinare il capo. L’interpolazione “tutti” potrebbe quindi far riferimento ad una pratica gestuale musicale, nota all’autore, ed ancora segnalare una cellula di intonazione dell’organum obliquo durante la quale la vox principalis raggiunge l’intervallo di quarta [4] rispetto alla vox organalis.

vv. 137-8 dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi / onde intender lo grido si poteo

Il verbo “dicean” apparentemente contraddirrebbe un’esecuzione musicale del Gloria, ma dal confronto con la terzina 70-72 del XXI Canto, che riporta l’espressione “render lode”, unitamente alla ben nota conoscenza di quanto ogni esperienza liturgica nel periodo medievale coinvolgesse la musica, renderebbe fuori luogo qualsiasi interpretazione in tal senso.  Come già per il IX Canto, in occasione del Te Deum, questo verso può riferirsi ad un’esecuzione polifonica quanto ad una monodica. Certamente Dante, in quanto uomo del 1300, aveva in mente la versione polifonica, ormai affermata da secoli. È però vero che la polifonia era appannaggio esclusivo di cantori professionisti, mentre il Gloria ascoltato nel Purgatorio, abbiamo già chiarito, veniva cantato dalle anime del Monte intero.

Pg IX – Il sogno dell’aquila – Botticelli

Senza indugiare troppo su una questione che non cambia la funzione dell’occorrenza musicale esperita da Dante, è possibile propendere per l’una quanto per l’altra interpretazione. Una propensione per l’interpretazione polifonica di questo Gloria giustificherebbe anche la scelta dell’aspro sostantivo “grido” – in questo verso come già al v. 133, nonché ai versi 36 e 60 del successivo canto – e potrebbe manifesterebbe l’inadeguatezza della schola delle anime rispetto alla difficoltà del canto. Ulteriormente a sostegno di una visione polifonica si potrebbe prendere in esame la difficoltà nell’intendere le parole da parte di Dante tanto da riferirsi a quanto udito solo dalle anime a lui prossime; difficoltà giustificabile ancora una volta solo dall’inadeguatezza dei cantori e non dallo stile del canto, che, per la sua funzione, è neumatico e non melismatico. Lo stile neumatico ben si adatta al valore liturgico degli Inni, nei quali è necessario intendere le parole, poiché, per la definizione che se ne dà a partire da Agostino, sono una Lode a Dio in canto. Nicola Fosca marca ancor di più che Anna Maria Chiavazzi Leonardi l’intelligibilità, da parte di Dante, del testo. Non sembra invece che i commentatori danteschi si siano soffermati ad interrogarsi sul perché il Poeta abbia scelto per un Inno tanto solenne e dalla funzione così rilevante, una parola tanto sgradevole come “grido”: Emilio Pasquini e Antonio Quaglio si limitano ad assegnare al termine “grido” un riferimento alla coralità, e ad altrettanto scrive Nicola Fosca.

vv.139-40 Noi stavamo immobili e sospesi /come i pastor che prima udîr quel canto

Il testo del Gloria in excelsis viene tratto dall’Evangelo di Luca nel racconto della Natività (Lc 2, 8-20), ma ciò nonostante da sempre è stato associato anche e soprattutto al periodo pasquale. In questo passo del Purgatorio, fa notare Chiavacci Leonardi, Dante crea una similitudine tra i pastori del racconto biblico e se stesso, accanto a Virgilio: “immobili e sospesi”. Questa immobilità però, come sottolineato anche da Fosca, è una sospensione diversa da quella che provoca il canto profano (cfr. Pg II, 112-117): la mente non è distolta, anzi è indirizzata al canto sacro, che ha valore anagogico.

Pg II – Casella – Botticelli

Vi è poi una seconda similitudine: come i pastori, passato il timore iniziale, all’ascolto del canto si volgono in marcia per adorare il Figlio di Davide e lodano Dio per ciò che hanno visto ed udito, così le anime del Purgatorio lodano l’Altissimo e invocano miserere. La funzione anagogica del canto quindi si pone in tre livelli: biblico, nel riferimento ai pastori, morale, in riferimento alle anime del Purgatorio, ed a questi si aggiunge, l’elevazione che investirà lo stesso Dante spinto ad interrogarsi sui significati dell’evento appena vissuto (cfr. Pg XX vv. 145-147).
Un’ultima riflessione è opportuna e verrà qui accennata per poi essere approfondita nell’analisi musicale nel seguente capitolo. Il riferimento all’Evangelo di Luca, infatti, classifica il Gloria come Inno angelico e come si vedrà il Gloria preso in esame, pur essendo in IV modo, presenta delle cellule ascrivibili al VII, definito appunto angelico da Guido d’Arezzo nel suo Micrologus.

 

 v. 141 fin che il tremar cessò ed el compiesi

Questo verso, seguendo l’interpretazione che ne dà, in particolare fra tanti, Chiavacci Leonardi, ci fornisce utili informazioni sull’esecuzione del Canto, così come potrebbe essere stata pensata da Dante: il Gloria sembra essere eseguito per intero – “el compìesi” – e per tutta la durata del terremoto – “fin che il tremar cessò”-.  A sostegno di questa interpretazione citiamo anche il commento a riguardo di Francesco Buti che nei suoi scritti (1385-95) sulla Commedia così scrive:

«et ei; cioè quil canto: Gloria in excelsis Deo ec., compièsi; di dire tutto quanto da quelli spiriti del purgatorio, come dice la santa Chiesa: imperò che li angiuli non disseno, se non quel pogo che scritto è nell’Evangelio; ma poi la santa Chiesa lo compiè nel modo che ora si canta»

Pg XXI – Stazio – Botticelli

Pochi sono gli studiosi, fa notare Fosca, che si sono interrogati sul valore teologico simbolico del terremoto, in relazione alle Scritture. E se solo J. A. Scott nel suo breve articolo “Dante’s Miracolous Mountainquuake” ha rilevato il parallelo con il terremoto avvenuto alla morte di Cristo, in relazione all’apertura dei sepolcri ed alla risurrezione di corpi [5] (cfr. Mt 27, 51-53), solo Fosca, finora, ha sottolineato invece il riferimento ad un secondo terremoto, quello avvenuto alla resurrezione di Cristo [6] (cfr. Mt 28, 2), passaggio che come si vedrà potrà essere messo in relazione all’incontro con l’anima purgata di Stazio (cfr, Pg XXI 7-9), messa in paragone da Dante con un passaggio biblico, dall’Evangelo di Luca, che narra gli stessi avvenimenti. Come quindi il terremoto ha sottolineato tanto la morte quanto la resurrezione di Cristo, eventi che hanno portato alla redenzione degli uomini, un terremoto, anch’esso di natura celeste (cfr Pg XXI 58-60), accompagna il passaggio delle anime ormai purgate.

 vv. 143-4 guardando l’ombre che giacean per terra, / tornate già in su l’usato pianto

Questi, insieme ai seguenti, sono i versi chiave per l’interpretazione del Gloria, che si classifica, senza ombra di dubbio, come appartenente al livello anagogico, il livello, cioè che, come descritto da Dante stesso nel suo Convivio nel II volume, spinge il lettore ad elevarsi ad un piano superiore. In questi versi il Sommo, come già per il salmo 113 In exitu Israel – prima occorrenza musicale della Seconda Cantica (cfr. Pg II, 46) – sovrappone magistralmente i quattro piani da lui teorizzati:

  • letterale, le anime tornano a volgere lo sguardo a terra;
  • allegorico, gli avari sono costretti per contrappasso a trascorrere il loro tempo di espiazione con lo sguardo a terra, così come in vita, assorti nell’accumulare ricchezza, non si curarono degli aspetti spirituali (cfr. Pg XIX vv. 118-126);

    Pg XIX – Ascesa agli Avari – Botticelli

     

  • morale, le anime, ora consapevoli delle loro colpe, soffrono la pena più crudele (cfr. Pg XIX 117);
  • anagogico, solo il canto del Gloria permette agli avari di levarsi a contemplare il Cielo e quindi la Grazia Divina, per la quale saranno perdonati ed accolti in Paradiso.

Anche nel Canto precedente – XIX -, alla sola luce del quale è possibile comprendere tutto ciò, le anime intonavano un canto; si tratta dell’Adhaesti pavimento anima mea [7], dal Salmo 119, che perfettamente descrive la condizione di questi peccatori, che implorano miserere e, come fa notare Fosca in relazione ad un altro versetto dello stesso Salmo, chiedono che il proprio cuore sia distolto dalla sete di guadagno [8].

vv. 145-7 Nulla ignoranza mai con tanta guerra / mi fe’ desideroso di sapere, / se la memoria mia in ciò non erra

Questa terzina, forse ancor più che la precedente, è pregna della filosofia dantesca. È qui espresso in pochi versi il concetto per cui la memoria è esperienza fisica e sensoriale, che si trasforma in ragione, quando le anime, spirituale e sensibile, sono unite, punto cardine della concezione umanistica di Dante. Ne dà una preziosa interpretazione Francesco Buti, quando scrive nel suo commento “lo intelletto non rispondea”. Circa le anime divise, scrive Buti, che il paragone con la guerra si spiega “perché la volontà quando desidera di certificarsi e non si può certificare dal suo intelletto, combatte con lui e vuole cavare da lui, potendo, la dichiaragione; o d’altrui, non petendolo avere da sè; e non avendola, non sta contenta e sempre pugna, sicchè la ignoranzia è cagione de la guerra, e del combattimento”.

Dante e il suo Poema – Michelino

Così si conclude il canto XX, e come Dante dovrà aspettare l’incontro con Stazio per saziare la sua sete di conoscenza (cfr. Pg XXI 1-2), e riunire il pensiero e la ragione, si dovrà approfondire ancora qualche verso per comprende appieno il parallelismo tra il valore del Gloria nella Liturgia e quello nella Commedia, confronto da cui si era partiti in questa trattazione.
Abbiamo lasciato Dante confuso e timoroso di chiedere al suo maestro Virgilio, per la fretta di continuare il percorso, lo ritroviamo ancora desideroso di conoscenza nel XXI Canto, quando con un riferimento biblico ancora dell’Evangelo di Luca (Lc 24, 13-15), il Sommo descrive l’incontro con Stazio, poeta epico di età flavia.

vv. 7-9 Ed ecco, sì come ne scrive Luca /che Cristo apparve a’ due ch’erano in via, / già surto fuor de la sepulcra buca

Il commento di Pietrobono a questi versi mostra in nuce il focus sulle ragioni del terremoto, si delinea già infatti un confronto tra l’evento appena percepito e quello che scosse la Terra quando le donne si recarono al Sepolcro, terremoto che però, è doveroso precisare, racconta l’Evangelista Matteo (Mt 28, 2-3) e non Luca.

 vv. 34-36 Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli / diè dianzi il monte perché tutti ad una / parver gridare infino ai suoi piè molli

Questi versi chiariscono che tutti e lungo tutto il Monte avevano intonato il canto del Gloria. Per quanto riguarda l’espressione “ad una”, si potrebbe interpretare come prova di un’esecuzione monodica, interpretazione non da escludere, ma sulla cui validità si è già scritto (cfr. XX 137-8).

vv. 58-60 Tremaci quando alcuna anima monda / sentesi, sì che surga o che si mova / per salir su; e tal grido seconda

 Finalmente il lettore della Commedia, insieme a Dante, scopre il motivo di quel tremore, che lo aveva fino ad ora lasciato desideroso di sapere. Ogni qual volta, spiega Stazio, un’anima ha terminato il suo periodo di purgazione, si eleva, e sono queste “levazioni dell’anime che cagionano lo tremuoto, lo quale è cagione del canto di tutto il purgatorio”. Questa citazione è tratta ancora una volta dagli scritti a commento della Commedia di Francesco da Buti, che ci chiarisce in modo esaustivo la successione, o meglio concatenazione causale – ricordiamo le riflessioni grammaticali relative all’avverbio quoniam cfr.  PG XX 133 – degli eventi. Nei versi precedenti a questi, Stazio aveva illustrato le credenze medievali circa la creazione dei terremoti sulla Terra, proprio per sottolineare la natura invece divina delle scosse appena percepite. Apparentemente ovvia al lettore moderno, questa spiegazione è ricca piuttosto di contenuti filosofici: torna ancora una volta utile sottolineare la concezione dantesca dell’unità delle due anime, quella sensibile e razionale. Il fatto che l’anima razionale non abbia potuto cogliere un fenomeno percepito invece dall’anima sensibile, si spiega alla luce dei commenti del Buti che evidenzia il riferimento a Boezio per la comprensione della maniera in cui l’anima percepisce di esser monda:

«che l’anima àe due volontà; cioè l’una assoluta e simplice e questa sempre vuole lo bene sommo e perfetto, nè non può non volerlo essendoli mostrato; l’altra volontà è respettiva, e questa nol vuole se non per iusto modo, e questa così fatta volontà è quella che fa prova de la mondizia, cioè quando non contradice a la volontà naturale: imperò che, se non fusse monda, contra direbbe, e chiamala l’autore talento

L’anima, per dirlo in altre parole, quelle dei commentatori moderni come Fosca, percepisce di essersi purificata poiché finalmente ha raggiunto il libero arbitrio, ottenuto con l’azione indispensabile della Grazia divina, come sottolinea l’azione dell’intero Monte, (Seung), unitamente all’azione umana dell’esaltazione di Dio attraverso il canto.

Conclusa questa analisi dei significati musicali ricavabili e riscontrabili nelle terzine dantesche, risulta evidente la scelta di inserire proprio il canto del Gloria per accompagnare l’ascesa dell’anima purgata in Paradiso, dove entrerà una volta immersa nelle acque del fiume Lete. Esattamente come all’interno della struttura liturgica dell’Ufficio, il Gloria segue l’Atto Penitenziario, ovvero nel caso della Commedia, il Tempo di Purificazione.

Quante altre riflessioni interdisciplinari potranno sollevare le numerose occorrenze musicali della Commedia? Cosa ci aspetta il 25 marzo 2021? O perché no, in aggiunta alla data ufficiale, anche nell’alternativa data dell’8 aprile?

 

Emma Amarilli Ascoli

 

 

[1] In rifermento alle ricostruzioni storiche di Chimenz basate su Inf. XXI.112-114.

[2] Per la questione della coralità e polifonia nel canto IX si rimanda agli studi di Ciabattoni e Margaret Bent.

[3] “Quóniam tu solus Sanctus, tu solus Dóminus”
“Poiché tu solo il Santo, tu solo il Signore”

[4] Nel corso del Medioevo gli organa insistono anche su diversi tipi di intervalli ritenuti, per l’epoca, meno consonanti come la terza o la sesta, l’intervallo di quarta era il più antico e diffuso.

[5] Mt, 27 [51] Ed ecco, la cortina del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si schiantarono, [52] le tombe s’aprirono e molti corpi dei santi, che dormivano, risuscitarono; [53] e, usciti dai sepolcri, dopo la risurrezione di lui, entrarono nella città santa e apparvero a molti. (Nuova Riveduta)

[6] Mt, 28 [1] Dopo il sabato, verso l’alba del primo giorno della settimana, Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a vedere il sepolcro. [2] Ed ecco si fece un gran terremoto; perché un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e vi sedette sopra. [3] Il suo aspetto era come di folgore e la sua veste bianca come neve. (Nuova Riveduta)

[7] Salmo 119, 25 “L’anima mia è avvilita nella polvere” (Nuova Riveduta)

[8] Salmo 118, 36 “Inclina il mio cuore alle tue testimonianze e non alla cupidigia” (Nuova Riveduta)

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