«Il Compleanno»: Il sogno della normalità genera mostri

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A Roma, in programmazione alla Sala Umberto fino al 12 febbraio,   l’attesa regia di Peter Stein di una delle pièce più apprezzate e rappresentate di Harold Pinter, Il Compleanno.
Scritto nel 1958 e dunque lavoro giovanile del drammaturgo, resta un testo ipnotico, magnificamente tradotto da Alessandra Serra , che con un italiano corto, netto, fatto di brevi battute, riesce a rendere attraverso il linguaggio l’intensità di dialoghi serrati, senza respiro, tali da trasmettere immediatamente allo spettatore un senso di smarrimento e di disagio sempre maggiori, in un crescendo di angosciosa e incredula  testimonianza di quello che  lentamente si va definendo, in sintesi l’universo di Pinter .
Una piccola comunità di persone si muove in un luogo – labirinto,   (il soggiorno di una casa, in una cittadina di mare. Una porta che dà sull’ingresso,  la porta di servizio e una piccola finestra, un passavivande e infine un tavolo con le sedie), dominato da regole che racchiudono una quotidiana normalità: i vecchi coniugi Meg   (Maddalena Crippa) e  Petey  (Fernando Maraghini), proprietari e gestori del Bed & Breakfast, l’unico ospite, Stanley (Alessandro Averone), un pianista disoccupato, la giovane amica Lulu (Emilia Scatigno) e due misteriosi viaggiatori che giungono all’improvviso,  Goldberg (Gianluigi Fogacci), uomo maturo dall’aspetto gioviale e Mc Caan (Alessandro Sampaoli), giovane scontroso e servile.
Il rito della colazione preparata ogni mattina da Meg, sempre uguale, i discorsi sul tempo, la lettura del giornale con le notizie locali (ma solo quelle buone), tutto cela una crescente inquietudine che domina i personaggi, perché  l’orrore si cela dietro gli sguardi benevoli e  a colpi di chiacchiere e banalità sì arriverà a violentare e  quasi ad uccidere.
Stanley appare inconciliabile con tutto questo : è  pieno di contraddizioni,  non rispetta gli orari, è aggressivo, appare trasandato con il suo pigiama e un paio di doppi occhiali da presbite.
Pavido di ogni cosa, non si lascia blandire neanche dalle lusinghe della signora Meg e della giovane Lulu e accoglie con spavento l’arrivo di due nuovi e misteriosi ospiti.
Sembrano brave persone, ma pian piano gli abboccamenti e gli avvicinamenti assumono sempre di più la forma di sopraffazione, in un clima di minaccia dove ognuno gioca il ruolo di vittima e carnefice. Alla sensazione di essere sotto assedio, si affianca il bisogno di prevaricare,  in un ribaltamento continuo che raggiunge il culmine nel festeggiamento a sorpresa del compleanno dello stesso Stanley.
In un gioco continuo di manipolazioni di cui tutti a turno sono vittima (come il gioco della mosca cieca messo in scena), la sempre maggiore confidenza tra i personaggi condurrà ad un carnage salottiero dove la mostruosità emergerà violenta. Nessuno risulterà integro e non saranno le fragili pareti di un’esistenza nascosta a salvare il protagonista, nell’illusione di una libertà non consentita e non ammessa al di fuori di un Sistema che lo (ci) vuole omologati alle sue regole.
Stanley  verrà plagiato fino alla capitolazione, riadattato, reintegrato :
Come stai , Stan? Ti senti meglio ? Cos’è successo ai tuoi occhiali? Sono rotti ?
(…)
Sai che facciamo?
Cosa?
Gli compriamo un altro paio di occhiali…

Diranno i suoi aguzzini e con questo gesto terribile lo priveranno  del suo sguardo, ponendo fine alla sua ribellione anarchica e riducendolo senza voce.
Resta un dubbio e forse tutti già conosciamo la risposta : il mondo in cui il protagonista viene reintegrato è veramente un “mondo migliore” o Stanley diventerà l’esperimento di un sistema che non rieduca ma mostra metodi disumani, forzando un’apparente bontà nelle coscienze degli individui ridotti ad automi?
E dunque si apre una dolorosa finestra su un senso di omertà emotiva che sembra occupare oggi le nostre coscienze, protesa alla tutela o ricerca di un vantaggio personale dimenticando il valore sociale di essere una comunità e lasciando penetrare in modo strisciante il concetto di “ ingiustizia a fin di bene “.
Pinter ce lo ricorda  e per questo ci inchioda alle nostre responsabilità di vittime e carnefici, perché nessuno è integro, nessuno è  innocente.
Va detto infine che , come poche volte accade, si percepisce una rara  coesione tra la straordinaria regia e la bravura degli attori, che rende lo spettacolo prezioso e potente al contempo.
La Meg di Maddalena Crippa, con la voluta cadenza meneghina, è un’interpretazione assolutamente perfetta.

MEG – Sei tu , Petey? Petey, sei tu?Petey?
PETEY- Che c’è?
MEG  – Sei tu ?
PETEY – Si, sono io
MEG  – Come? Sei già tornato?
 PETEY – Si
 MEG – Ho i tuoi cornflakes…  

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