Verdi, i Cantanti e i loro capricci

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Cosa voleva da loro  e che rapporto aveva Verdi con i cantanti?
Verdi considerava fondamentale per l’ottima riuscita delle sue opere tutti i componenti dell’allestimento, dalla scenografia, alle luci, ai costumi, alla capacità attoriale, ai movimenti del coro, però attribuiva il successo o il fiasco ai cantanti.
Quindi per Verdi i cantanti erano più importanti di tutto per la buona riuscita dello spettacolo, facevano il bello e il cattivo tempo con i loro capricci, anche se Verdi riusciva a dominarli. In una lettera scrive: “…o le opere per i cantanti, o i cantanti per le opere…”.
Si può dire che Verdi scriveva le opere per i cantanti, ne abbiamo un esempio ne I Masdanieri che debuttava a Londra, l’aveva scritta per la cantante Jam Lee, la quale ebbe una bega con il teatro e Verdi non volle che la sua opera fosse rappresentata senza di lei.
Un altro episodio è quello di Adelaide Borghinaro che nel ruolo di Azucena nel Trovatore ebbe un trionfale successo, Lei stessa racconta in un’intervista che Verdi facendole i complimenti le attribuiva tutta la grandezza del personaggio ribadendo che non credeva di aver scritto una parte così bella, cosa che Verdi invece smentisce chiedendo le scuse e la rettifica dai giornali.
Verdi asseconda i capricci dei cantanti, lasciando ad alcuni piena libertà e inserendo per altri cabalette,  pezzi veloci che seguivano le arie ed aiutavano il cantante ad avere successo, per esempio ne scrisse una apposta per Ignazio Marino per Oberto del 1843 in scena a Barcellona, e successivamente il Marino la inserì di sua spontanea volontà in un Ernani “Infin che un brando…” così come Aban Gardel aggiungerà i famosi Do di petto nella caballetta “Di quella pira…”.
A Venezia in Fenice Verdi ha allestito ben cinque prime assolute, che hanno avuto esiti differenti, Simon Boccanegra e Traviata non andarono bene (anche se la Traviata riallestita l’anno dopo fu un trionfo) Attila andò bene, Ernani molto bene, Rigoletto benissimo. Ricordiamo che per la prima di Ernani nel 1844 in Fenice c’era Sophia Lowe un soprano tedesco molto bravo, scritturata dal teatro per il Carnevale del 1844, la quale ebbe l’ardire di volere un rondò, che sostituisca al finale scritto da Verdi e andò personalmente dal Piave per chiedere di scrivere i versi, ma Verdi si arrabbiò tantissimo e disse pubblicamente che non avrebbe accettato abusi dei cantanti e che sulle sue opere comanda lui.
Verdi era un accentratore, seguiva le sue regole mentre il teatro seguiva le proprie e non sempre andavano nella stessa direzione, lui avrebbe voluto scegliersi i cantanti, ma spesso i teatri mettevano a disposizione altri cantanti. Per esempio nel 1853 per il debutto di Traviata avrebbe voluto la Giulia Samchiolo nel ruolo della protagonista ed invece c’era a disposizione Fanny Salvini, anch’essa molto brava ma fisicamente giunonica, quindi nel 3 atto quando muore, tutto il teatro rise e Verdi diede la colpa a Lei dell’insuccesso.
A Verdi era stato affibbiato il soprannome di Attila delle voci, in quanto dicevano che le rovinava, ma in realtà non è così, lui pretendeva dai cantanti una varità stilistica ed espressiva molto più ampia che va dal canto lirico al canto declamato, il suo era un teatro realistico e pretendeva attenzione non solo ai pezzi solistici ma anche a quelle parti che sembrano secondarie. Per esempio nell’atto primo di Rigoletto, questi dopo la chiacchierata congeda Sparafucile con quattro Va, ed è proprio in questi momenti, che i cantanti tendono a sottovalutare che Verdi pretendeva una cura particolare, un teatro fatto di gesti e di voce, voleva dei cantanti sia interpreti che poeti.
Verdi aveva una mania di controllare tutto, i cast delle prime e non solo, tutti gli allestimenti, da un lato c’ è un Verdi intransigente e da un lato uno permissivo, sostanzialmente chiede che i cantanti si mettano al servizio delle opere e non viceversa, c’è da dire che difficilmente se battezzava male un cantante c’era verso di fargli cambiare idea, ricordiamo il caso di Adalgisa Gabbi la Desdemona in Otello, che sostituì la Omilda Pantaleoni ammalata e che diventerà la più grande Desdemona ed una delle più grandi cantanti italiane d’opera dell’800.
Verdi ama approfondire le psicologie dei personaggi e musicando Macbeth sonda le psicologie umane, esplorando l’uomo in tutte le sue contraddizioni, del bene e del male, quindi era necessaria per lui una vocalità più aderente alla psicologia del dramma e del personaggio, e nonostante la bravura come nel caso di Marianna Barbieri Nini, rinomata primadonna, Verdi le scrive chiaramente che voleva una vocalità nuova diversa da quella belcantistica, facendo molta attenzione allo sguardo, alle espressioni del viso, ai movimenti, al colore delle parole, tutto questo oggi sembra scontato ma all’epoca non lo era.
Verdi richiedeva una lettura psicologica del personaggio e interpretazione. Fondamentali per lui erano l’esattezza d’emissione, in quanto egli scriveva in maniera minuziosa i pianissimi e i fortissimi, il declamato, il cantante doveva essere in grado di far tutto questo, l’esattezza della dizione, la sensibilità e la cultura (non solo musicale ma anche letteraria).
Per Giuseppe Verdi il canto è espressione poetica dell’animo, non lotta fisica con il corpo.

Gabriella Spagnuolo

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