“L’Affare Vivaldi” la rocambolesca storia del compositore veneziano

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In memoria aeterna erit justus” attorno a questo versetto del Salmo 111, Federico Maria Sardelli ha costruito il suo concerto-reading “L’Affare Vivaldi”, nel quale affianca estratti dell’omonimo romanzo alle musiche del Prete Rosso. Giunto sulle scene romane giovedì 7 marzo  al Teatro Argentina, ospite della stagione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana, “L’Affare Vivaldi” ripercorre tra parole e musiche l’incredibile storia della scomparsa e riscoperta del corpus vivaldiano, sfuggito alle avide mani dei creditori grazie all’intervento di Francesco Vivaldi, che alla morte del fratello maggiore si affrettò a far trovare la casa veneziana vuota di composizioni e strumenti musicali. La serata si è aperta con il Concerto in re minore per violino, archi e basso continuo (RV 813), una composizione giovanile come appare evidente dalla trama musicale semplice negli elementi di cui si compone – ribattuti, scale ed arpeggi spezzati, accordi strappati – che preparano e mettono in rilievo il tema del Largo, affidato al violino di Federico Guglielmo. Accanto ad un Vivaldi inedito l’ensemble Modo Antiquo ha accostato un Vivaldi celebre con la Sonata in re minore per due violini e basso continuo op. I n. 12 (RV 63) nota come La Follia,

eseguita da Federico Guglielmo e Raffaele Tiseo (violini). Nel corso della serata Sardelli si è alternato nella direzione, nella lettura ma ha anche regalato una sua esibizione al traversiere eseguendo il Larghetto del Concerto in sol maggiore per flauto traversiere, archi e basso continuo (RV 438) per poi tornare alla direzione con un’opera matura del compositore veneziano il Concerto in mi minore per violino, archi e basso continuo da La Stravanganza op. IV n. 2 (RV 279) il cui perfezionamento compositivo risulta evidente dalla struttura delle parti orchestrali nelle quali trovano maggior spazio anche il violino secondo (Paolo Cantamessa) e la viola (Pasquale Lepore). Ancora una opera giovanile invece la Sonata in sol maggiore per violino violoncello e basso continuo (RV 820), probabilmente la prima composizione da camera scritta da Vivaldi, eseguita da Federico Guglielmo al violino e Bettina Hoffman al violoncello, sostenuti da Nicola Domeniconi al contrabbasso e Gianluca Geremia alla tiorba. Da poco riscoperte le due opere giovanili si sono aggiunte al corpus vivaldiano anch’esso di recente costituzione. Dalla morte del compositore veneziano a Vienna nel 1741 fino al 1925, infatti le musiche di Vivaldi giacciono tacite e dimenticate, colpevoli di non essere in linea con la moda napoletana di Leonando Leo, Nicola Porpora e del giovane Pergolesi, e diventano merce di scambio di bibliofili e collezionisti fino ad arrivare a Genova attorno al 1790 presso la famiglia Durazzo nella cui biblioteca verranno dimenticate come dimenticato fu il loro compositore. Furono le menti esperte di Alberto Gentili e Luigi Torri, il primo musicologo dell’Università di Torino e il secondo

direttore della Biblioteca Nazionale, a cogliere finalmente il valore di una musica rimasta sopita per secoli e riscoperta fortuitamente nel 1925. La sorte di questi manoscritti, come ha raccontato Sardelli, nel suo romanzo storico edito nel 2015 e al pubblico dell’Argentina lo scorso 7 marzo, si lega a quella di due bambini: Mauro Foà e Renzo Giordano, due bambini qualunque morti troppo presto, due anime giuste la cui memoria resterà in eterno. A loro infatti è dedicato il corpus vivaldiano il cui acquisto da parte della Biblioteca di Torino fu reso possibile dalle generose donazioni dei loro genitori. Furono tre ebrei, Alberto Gentili, Roberto Foà e Filippo Giordano, a restituirci uno tra i più splendidi corpus musicali del 1700, la loro fede sembrerebbe una precisazione superflua, ma così non è poiché le leggi razziali del 1938 costrinsero i tre alla fuga oltre i confini italiani e il primato della riscoperta dei manoscritti venne attribuito ad Alfredo Casella e all’Accademia Chigiana, almeno fino al 2015 quando Federico Maria Sardelli ha raccontato la vera storia de “L’Affare Vivaldi”.

E così un compositore dimenticato fu riscoperto grazie all’amore per due bambini, che legati alle musiche di Vivaldi saranno sempre ricordati, mentre un bibliotecario di “razza ebraica” fugge oltre il confine privato della sua dignità e del suo lavoro affidandosi alle note e alle parole del Salmo 111 “In memoria aeterna erit justus“. E così è in verità.

 

Emma Amarilli Ascoli

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