Un ottimo «Oedipus Rex» al TCBO

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Pochi autori riescono ad incarnare il secolo breve come Stravinskij. Forse il più hegeliano dei tempi, così in bilico tra orrore e edonismo, tra profonde innovazioni e riletture storiche. La musica dell’autore russo sembra suonarne una perfetta sintesi.
C’è chi lo considera un neoclassico, chi uno spregiudicato iconoclasta, chi entrambe.
Se ha un merito è quello di aver racchiuso in un unico involucro fatto di figure musicali appuntite e invenzioni ritmiche originali il suono del suo tempo.
L’Oedipus non fa eccezione.
Se da un lato l’autore padroneggia il linguaggio operistico, dall’altro la messinscena rifugge da ogni riferimento bibliografico. In questa partitura non si troverà né il dramma verdiano, né l’epica wagneriana. Anche perché l’affilata penna di Cocteau difficilmente avrebbe potuto partorire un testo di repertorio. La lingua supporta la musica nel gesto di rottura anche per mezzo del libretto in latino che – come scrisse lo stesso Stravinskij – «presentava inoltre, il vantaggio che avrei lavorato con una materia non morta, ma pietrificata, divenuta monumentale e immunizzata contro ogni trivializzazione». Nell’originale il latino era intermezzato da una narrazione in francese (qui in italiano), dove lo speaker era così preso da sé che finiva per perdere di vista gli eventi: «Ed ora udrete il celebre monologo, ‘La Divina Giocasta è morta’»  annuncia, ma senza che segua alcun monologo.
Il titolo, non di certo frequente, aveva fin da subito suscitato il nostro interesse. Sia per l’autore, sia per la sua rarità.
Inoltre, vedere Oksana Lyniv sul podio e
Gabriele Lavia alla regia, erano ulteriori elementi di curiosità.
La bacchetta ucraina tra queste note era nel suo. Ha guidato l’orchestra con fermezza di gesto e grande disposizione musicale. Ne esce un suono monolitico in cui le varie sezioni sono un “uno” di tanti strumenti. Gli attacchi sono precisi e le dinamiche sono spinte con molta saggezza.
Non c’è un aspetto del discorso musicale che non sia d’eccellenza: Timbrica, Agogica, dinamica, ritmo. La buca è stata certamente aiutata dal coro diretto da
Gea Garatti Ansini che – interpretando il popolo di Tebe – ha sublimato la solennità del testo. Ma da loro non ci aspettiamo che grandi prestazioni.
Il cast dei cantanti era chiamato ad una prova molto impegnativa, sia per la complessità della partitura, sia per la scarsezza di riferimenti.
Il testo in latino – poi – presenta molte insidie ritmiche con linee che si intrecciano tra i cantanti in un cappio che può risultare fatale se non domato.
Sicuramente ottima la prova di
Gianluca Terranova nei panni di Edipo che convince sia per la profondità di interpretazione che per la bellezza timbrica.
La sua voce è sempre cristallina senza mai divenire aspra, con la parte alta del registro che sembra essere ammantata di morbida seta.
Buona la Giocasta di Atala Schlöck che ha dovuto cimentarsi con una parte molto complicata mentre la parte da basso di Tiresia è stata sostenuta magistralmente dalle doti di emissione di Sorin Coliban.
Bravi gli altri, Sven Hjörleifsson nei panni del Pastore e Anton Keremidtchev nel doppio ruolo di Creonte e del Messaggero. Inaspettata l’ottima prova di Gabriele Lavia nei panni del narratore che ha potuto osservare la sua macchina registica direttamente dal palcoscenico. L’intenzione è tutto sommato fedele alle indicazioni dell’autore, seppur limando l’eccessiva fissità degli attori che nel testo originale dovevano grottescamente essere immobili come statue.
Come consuetudine per gli spettacoli al Nouveu, le scenografie risultano molto schiacciate. Alessandro Camera pensa ad uno spazio buio, illuminato da una serie di faretti puntati verso il terreno che abbassano oltremodo lo spazio scenico.
La rappresentazione è stata preceduta da tre preludi sinfonici per orchestra per l’Edipo Re di Sofocle” di Ildebrando Pizzetti, accompagnati dalla proiezione, quasi in un ossequio da par condicio,  di alcune immagini del cinematografico “Edipo Re” di Pasolini. Sono tre cartoline che hanno sorpreso per varietà di carattere. Lyniv ha sublimato l’orchestra con una direzione di piglio nel bellissimo e ritmico secondo per poi rarefarsi nell’adagio del terzo. Alla fine, il pubblico della prima applaude. Non poteva essere altrimenti.

Ciro Scannapieco

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