Le mani di Dulcamara sulla città

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Lo scritto che segue è frutto di considerazioni scaturite a margine di una messa in scena in forma ridotta, di Elisir d’amore di Donizetti al Teatro Bellini di Napoli, curata da Maria Luisa Bigai ed Emma Innacoli.
“Un sorso di Elisir” si finge nella Napoli degli anni ‘50, quella che vede il suo territorio stuprato dall’edilizia autorizzata o abusiva che sia; è il periodo del “laurismo”, dell’armatore padre padrone, codificatore del voto di scambio e amministratore senza scrupoli, sotto il cui potere la mafia s’incunea nel mondo delle costruzioni e del movimento di terra, mentre sempre più fiorente è l’attività del contrabbando dei tabacchi.
“Ajssera a piazza Dante a panza mia era vacante, si nun era p’’o cuntrabbando io già stevo ‘o campusanto”
E quanto Francesco Rosi mostra in “Le mani sulla città” , una città in cui echeggiano ancora tammurriate nere di donne che danno alla luce figli non solo “niri”, frutto di violenze più o meno vissute come tali, ma sempre di vigliaccheria maschile.
E’ una Napoli che si solleva dalla guerra e che si ritrova per l’ennesima volta occupata, ora da truppe a loro dire amiche, ma troppo spesso arroganti e sbruffone.
“American express, damm’’o dollaro ca vaco ‘e pressa”. L’ironia non abbandona la città e i suoi figli più arguti fanno di essa un marchio distintivo; parliamo di Totò, di Eduardo De Filippo e di suo fratello Peppino, ma anche di chi napoletano non è di nascita ma di elezione come Vittorio De Sica.
Il mito della sirena Partenope, in quegli anni rivive nelle sinuose e rotonde forme di Sofia Loren, che conquista il mondo ed esporta un modello di napoletana femminile e mai sottomessa.
L’aristocrazia sostituisce il sentimento di nostalgia con una forzata eccentricità che si manifesta nei soprannomi come nell’abbigliamento e nei riti sociali; Bebè, Gegè, Mimì, Zazà sono vezzeggiativi dalla nuance francese che si diffondono a Posillipo e al Vomero e i comici li prendono di mira, come Nino Taranto in “Dove sta Zazà”, in cui non è estranea la metafora del perdersi della ragazza alla moda nel bel mezzo di una delle più antiche e popolari feste di popolo, quella di San Gennaro che è chiamato a sempre nuovi miracoli.
Le grandi famiglie teatrali napoletane, i Maggio, i De Filippo, I Santella, i Taranto e tanti altri, modellano la drammaturgia sui temi della rinascita e dell’adattarsi ad una realtà che definitivamente relega quella che era stata una capitale, in una dimensione forzatamente tanto provinciale nell’economia quanto ancora dominante nella cultura, mai urlata e che viene diffusa dalla voce elegante e lieve di Roberto Murolo.
La musica cosiddetta leggera, che a Napoli è sempre intrisa di classicismo, fa proprie le armonie e i ritmi che arrivano dagli USA, ma senza rinnegare modi e scale propri; gli strumenti amplificati si affiancano ai plettri tradizionali e il dominatore delle serate è Renato Carosone.
Un titolo segna l’inizio del decennio, si tratta di “Anema e core”, portato al successo dal più grande tenore del tempo, Tito Schipa, celebrato Nemorino in Elisir d’amore e che aveva avuto il suo grande debutto al San Carlo nel 1914 in Tosca.
Ma già Carosone all’entrare del sesto decennio del secolo, con un pittoresco Gegè Di Giacomo, dal cognome decisamente “ingombrante”, vende migliaia di 78 giri con “Scalinatella”, che è una rampa di ascesa verso il nascente formato 45 giri, mentre i primi apparecchi televisivi fanno la loro comparsa nei bar a metà degli anni ’50.
Napoli trova un riscatto dalla dominazione culturale americana facendo leva sull’ironia e proprio Renato Carosone giocherà la carta dell’irrisione delle nuove mode con “Tu vuo’ fa’ l’americano”, in cui trovano spazio, nei versi di Nicola Salerno, ovvero Nisa, anche descrizioni del nuovo modo di abbigliarsi con pantaloni a campana, cappelli con visiera, da Happy Days di via Toledo.
E le ragazze, indossando calzettoni bianchi e mocassini, iniziano ad accorciare le gonne che a quel tempo sono in prevalenza plissettate e a ruota per giocare maliziose nei vortici di un boogie woogie vesuviano in coreografie a due tra pin up e Fonzie rigorosamente in giubbotto di pelle.
Il divo del rock and roll, Elvis Presley non può fare a meno di cantare una cover swingata di “’O sole mio” con “It’s now or never”.

Mariapaola Meo

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