Il 17 luglio, per la rassegna San Carlo opera festival, al teatro Massimo napoletano, il capolavoro verdiano su libretto di Francesco Maria Piave, “Rigoletto”, ha incontrato la regia di impianto tradizionale di Mario Pontiggia e le belle scenografie di Francesco Zito.
Al termine del preludio, in cui è già annunciato il tema della maledizione che aleggia sulla vicenda e che riecheggerà per tutta la durata della narrazione fino al tragico epilogo, il sipario sembra aprirsi su di una parata militare come di truppe passate in rassegna sotto il bel campeggiare di un monumento equestre a celebrare la gloria e il valore di un condottiero.
Ben presto si comprende di trovarsi in realtà ad un ballo aristocratico in sfarzosi saloni animati da nobili e musici. Saimir Pirgu nei panni del Duca di Mantova ha incarnato con gusto le contraddizioni del suo personaggio, propendendo per la resa, che pare più moderna e meno evocativa, di un nobile giovane e libertino piuttosto che di un malvagio stupratore. Squillo, ottimi volumi e perfetta dizione gli hanno garantito una buona performance, forse non la migliore che ci si potesse attendere dal suo riconosciuto talento. George Petean ha regalato una memorabile interpretazione di Rigoletto, facendo vivere con partecipazione al pubblico le fasi alterne e i sentimenti contrastanti di un progressivo disvelamento del suo personaggio che si lascia scavare e scorgere a fondo. Evoluzione psicologica che ha difettato alla Gilda di Patrizia Ciofi, il suo personaggio è mancato di freschezza, sicuramente di quella necessaria ad intonare un brano “Caro nome che il mio cor festi primo palpitar” con reminiscenze belcantistiche e ricco di fioriture a sottolineare proprio il candore virginale della fanciulla e il timido affacciarsi del primo amore.
In particolare la discutibile scelta stilistica di una reiterata sequenza: attacco in pianissimo e crescendo è risultata poco accattivante e non funzionale alla comprensione dei testi.
Lo Sparafucile di George Andguladze ha visto compromessa la sua prova da una costante retroproiezione dei suoni.
La scena del terzo atto si è presentata come da tradizione divisa in due tra lupanare ed esterno e Nino Surguladze ha fatto il suo ingresso in scena impersonando una Maddalena carnale ma mai volgare e vocalmente ineccepibile.
Ottima la resa di Giovanna Lanza nei panni della governante-carceriera non incorruttibile Giovanna. Notevoli i volumi e la recitazione di Gianfranco Montresor ne il conte di Monterone. Angela Fagnano ha mostrato bel colore vocale ma una fisicità inadatta al ruolo dell’avvenente Contessa di Ceprano. A completare il cast il Marullo di Donato Di Gioia, il Matteo Borsa di Cristiano Olivieri, il conte di Ceprano del giovane Enrico di Geronimo. La direzione di Pier Giorgio Morandi è stata equilibrata anche se ha mancato di sottolineare i diversi stili che si susseguono e talvolta coesistono nella scrittura verdiana e, in qualche occasione, nel suggerire adeguati fraseggi ai cantanti. Buona prova per l’orchestra.
Il Coro, preparato da Marco Faelli, nella funzione strumentale e di colore che il compositore emiliano ha voluto attribuirgli, è parso sufficiente anche se ha incontrato qualche difficoltà a disporsi in scena. Dalle ricche fogge e dai colori sgargianti i costumi di Giusi Giustino. Luci di Bruno Ciulli.
Mariapaola Meo
Foto F.Squeglia ©