Se Don Giovanni Seduce e abbandona Bologna, Michele Mariotti lascia un pubblico profondamente innamorato

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La stagione d’opera del Comunale di Bologna si conclude con il Don Giovanni. E’ una delle tre opere italiane che Wolfgang Amadeus Mozart scrisse sul celebre libretto di Lorenzo Da Ponte.
A differenza, delle altre due (Le nozze di Figaro K492 e Così fan tutte K588), qui la vicenda evolve in modo drammatico. La partitura, appuntata infatti come dramma Giocoso, oscilla tra continui cambi di registro in un sottile intreccio di vicende, talvolta buffe, talvolta tragiche che coinvolgono i vari personaggi.
Il Don Giovanni mozartiano è un personaggio molto diverso da quello tramandato dalla precedente tradizione letteraria. Da Ponte per il suo libretto si ispirò quasi certamente ad uno precedente di Giovanni Bertati intitolato Don Juan Tenorio, ossia Il convitato di pietra. A sua volta Bertati pare avesse preso spunto da un dramma in versi dell’anno 1630 dello scrittore spagnolo Tirso de Molina, Il seduttore di Siviglia e il convitato di pietra (El burlador de Sevilla y Convidado de piedra). Successivamente (e prima della coppia Mozart- Da Ponte) la figura di Don Juan Tenorio, fu ripresa da Molière né il Don Giovanni o Il convitato di pietra. Tutte queste esperienze letterarie furono sicuramente mutuate per la stesura del libretto ma nell’opera del genio di Salisburgo il personaggio principale viene privato del lato umano che rendeva il Don Giovanni di de Molina sicuramente umanamente più accettabile.
Qui, il protagonista è vuoto di sentimenti, privo di qualsiasi introspezione psicologica, ossessionato solo dal numero di conquiste (ben catalogate ed archiviate da Leporello “Madamina! Il catalogo è questo, Delle belle che amò il padron mio:Un catalogo egli è che ho fatto io; Osservate, leggete con me. In Italia seicento e quaranta, In Almagna duecento e trent’una, Cento in Francia, in Turchia novant’una, Ma in Spagna son già mille e tre.“). Il suo è un amore mordi e fuggi, privo di passionalità; Don Giovanni si avventa su qualunque donna ne invada il campo visivo per una forma di superficiale e bulimica voracità sessuale in cui la donna conquistata conta meno della conquista stessa: “V’han fra queste contadine, Cameriere, cittadine, V’han contesse, baronesse, Marchesine, principesse, E v’han donne d’ogni grado, d’ogni forma, d’ogni età.”
L’Opera si articola in due atti e i personaggi ne caratterizzano fortemente il tono che, se generalmente è comico, da opera buffa, diviene di colpo drammatico e serio quando Donna Anna e Don Ottavio prendono la parola.
La caratterizzazione dei personaggi è notevole. Don Giovanni è il protagonista, ma, data la sua scarsa moralità, non può essere un eroe dalla voce tenorile. La sua parte vocale, infatti, è affidata a un baritono o un basso-baritono. Nel settecento tale registro era fortemente caratterizzante di poca virtù o di un comportamento buffo. Anche per il suo servo, Leporello, infatti, il registro scelto è quello basso; qui, però, l’estensione che va da un Fa grave fino al Mi acuto, rende la parte buffa, come il personaggio. La figura del servo, come da tradizione, è centrale nel dipanarsi della vicenda: perennemente in bilico tra l’ironia e l’insolenza, tra la sottomissione e l’insubordinazione, Leporello sarà sì complice del padrone ma anche il primo giudice delle sue malefatte.
La rappresentazione in forma di concerto, di certo priva l’opera di quell’apporto scenico ed attoriale che rende esilaranti le parti comiche e intensi i momenti più drammatici.
Sul Don Giovanni, non lo si nega, registi e scenografi si sono cimentati in interpretazioni anche poco convenzionali. Questa volta, però, è la musica ad essere padrona della scena. Lo stesso Kierkgaard, a riguardo diceva, “la musica è il medio dell’immediato”e ancora “il Don Giovanni non deve essere visto, ma ascoltato”. Don Giovanni è un seduttore “take away”, rapido, immediato. Il suo sedurre “non ha bisogno di alcun preparativo, di alcun progetto, di alcun tempo(..) perché seduce con l’immediatezza del suo stesso desiderare”.
Sia Da Ponte che Mozart avevano la fama di tombeur de femmes, non è infatti improbabile che i due si fossero immedesimati nella figura che di lì a poco avrebbero tratteggiato e regalato alla storia: il Don Giovanni.
Eppure il finale non è benevolo per il suo protagonista, il seduttore troverà la morte per mezzo dell’anima del già defunto Commendatore. La giustizia non trionfa tramite persone o istituzioni terrene ma si concretizza attraverso l’interazione con un mondo ultraterreno e quando ciò avviene, nell’ultima scena del secondo atto, il dramma si compie: La fine del Don Giovanni è anche la fine dell’opera che porta il suo nome.
Il Don Giovanni del Teatro Comunale di Bologna, andato in scena il 18 Dicembre 2018, nel complesso è piaciuto. Iniziamo dalla regia. Giudizio sospeso per il lavoro di Jean-François Sivadier (ripreso da Rachid Zanouda, Federico Vazzola, Milan Otal). Inizialmente si potrebbe aborrire sia per l’assenza di seduzione che per la scena esplicita di amore sensuale tra Leporello e la cameriera di Donna Elvira. Si potrebbe addirittura restare basiti per la presenza di comparse che non sembravano inserite nel contesto. Infine si potrebbe criticare la scenografia spoglia e le lampadine sospese che identificano le mille conquiste del protagonista. Sarebbero critiche assolutamente fondate.
Se fossimo nei panni del convitato di pietra non condanneremmo questo Don Giovanni. La regia attualizza la vicenda in questo contesto contemporaneo di desideri veloci e obsolescenti, di zapping emotivi, di seduzione diretta. Quello pensato da Sivadier è una sorta di protagonista secolarizzato, una macchietta del tempo che è, quasi una sorta di “tronista” d’opera. Deplorevole? No. Tutto sommato una lettura arguta e veloce. Andrebbe articolata un po’ meglio.
L’interpretazione generale dell’orchestra è stata nel complesso buona e i cantanti hanno convinto. Simone Alberghini, nei panni di Don Giovanni, ha dato buona prova di sé sia per presenza scenica e vivacità attoriale che per interpretazione. Merito anche di Vito Priante che interpreta un Leporello con una vocalità che spicca per chiarezza, proiezione e sensibilità.
Di questo Don Giovanni, ci hanno fatto innamorare le donne. Donna Anna su tutte. Federica Lombardi, è una giovane interprete che conferma tutto il bene di cui si dice. Bellissimo il timbro vocale e la dinamica: è amore a prima vista. Brava anche Salome Jicia ma a causa di qualche sbavatura si preferiscono le altre donne della recita a Donna Elvira. Sarà questione di karma. Un gradino più in basso la Zerlina di Lavinia Bini che non trasmette la malizia propria del personaggio. Ottimi sia il giovane Masetto di Roberto Lorenzi che il Commendatore interpretato da Stefan Kocan.
Dopo averci fatto innamorare Michele Mariotti abbandona il teatro che ha a lungo diretto. Ma diciamolo, i panni del dongiovanni non gli si addicono. Troppo innamorato, troppo emotivo e troppo legato per far sentire il suo pubblico sedotto e abbandonato. Sarà per questo che tra lui e la città è scattato il vero amore. A Bologna non c’è solo il Don Giovanni.

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