“Variazioni su Variazioni” un Concerto Italiano filologico ma non ortodosso

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“Nessuna pretesa di ortodossia. Piuttosto un divertissement.”, con queste parole Rinaldo Alessandrini ha esposto il pensiero dietro il programma che il Concerto Italiano, l’ensemble da lui fondato e diretto, ha presentato nella Stagione Concertistica della IUC, lo scorso 2 febbraio presso l’Aula Magna dell’Università Sapienza di Roma. “Bach: Variazioni su Variazioni” questo l’emblematico titolo del concerto che ha incantato il pubblico presente, composto da  conoscitori della musica antica, ma anche da amatori, tutti incuriositi dalla spiazzante affermazione -o meglio negazione di intenti- proveniente da parte di uno dei più celebri interpreti del repertorio rinascimentale e barocco, quali Alessandrini è. Ma se è vero che l’ortodossia non è stata protagonista della serata di sabato scorso, non si può dire invece che sia mancato l’amore per la prassi storica, una lezione per i troppi interpreti contemporanei che rifiutano il confronto con la filologia temendo di annoiare la claque. Il Concerto Italiano, in formazione ridotta -quartetto d’archi, violone e clavicembalo-, si è cimentato nelle rielaborazioni delle Variazioni Goldberg”, della “Passacaglia in do minore” BWV 582), dell’ “Aria variata alla maniera italiana” (BWV 989) e della “Canzona in re minore” (BWV 588) di Johann Sebastian Bach, brani originariamente destinati al cembalo o all’organo, nel caso della Canzona, e adattati da Alessandrini per archi e tastiera. Sfruttando dunque la struttura dei brani in programma, i quali presentano diverse forme di variazioni, ovvero invenzioni musicali su un tema, il Concerto Italiano ha dipinto di nuovi colori timbrici i brani del Kantor di Lipsia. L’“Aria variata alla maniera italiana”, trascritta in sol minore per una maggiore risonanza degli strumenti ad arco, è tornata alla sua ipotetica forma originale per violino e basso continuo, eseguita con pregevole cura nell’emissione di suono e brillantezza da Boris Begelman al violino, Ludovico Takeshi Minasi al violoncello e Rinaldo Alessandrini al clavicembalo. Realizzate per ensemble d’archi al completo, data la loro composizione a quattro parti, sono state la “Passacaglia”, trascritta anch’essa nella nuova tonalità di re minore, e la “Canzona”. Diversamente il lavoro di elaborazione e trascrizione compiuto sulle “Variazioni Goldeberg” ha richiesto un maggior intervento del trascrittore. Le 20 variazioni e i 10 canoni non sono infatti tutti a quattro parti; alcune variazioni, come la Variazione 11, hanno mantenuto la struttura a due resa dai violini, Boris Begelman e Antonio De Secondi, del quale si è apprezzata molto la qualità di suono che tuttavia, per la difficile acustica dell’Aula Magna, troppo spesso era sproporzionata rispetto agli altri componenti dell’ensemble. Sorte simile, seppur inversa, è toccata al violoncellista Ludovico Takeshi Minasi la cui precisione tecnica sarebbe risultata ancora più gradevole se rivestita della giusta risonanza armonica.  Degno di nota ed elogi Ettore Belli alla viola, sia per la qualità di suono nei passaggi tematici sia per la prontezza di emissione, non facile sullo strumento mezzano, nei rapidi passaggi di scale e arpeggi che fungono da basso al costrutto tematico. Musicisti davvero pregevoli, tra i quali è doveroso ricordare Matteo Coticoni al violone e naturalmente Rinaldo Alessandrini, che oltre a curare la trascrizione dei brani di J. S. Bach e dirigere l’ensemble, si è esibito al cembalo con la maestria che lo contraddistingue e sulle note dell’Aria delle “Variazioni Goldberg”, suonate  dal quartetto d’archi prima lasciando solo poi lo strumento a tastiera, che solo aveva iniziato, si è concluso il concerto, salvo regalare ancora una piccola gemma con la Suite n. 3 BWV 1068, meglio nota come “Aria sulla quarta corda”. 

Emma Amarilli Ascoli

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