Al TCBO le risate suonano intonate. Un buon Barbiere di Siviglia regala un sincero sorriso al pubblico felsineo.

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Ma quanto è bello il suono di una risata sincera. La prima del barbiere di Siviglia andata in scena a Bologna il 17 Marzo 2019 non ha deluso le aspettative anche se, è doveroso dirlo, vincere con questa opera rossiniana è come giocare sul velluto.
L’aveva capito anche l’allora ventitreenne compositore che la scrisse in poche settimane. Il barbiere di Siviglia è un’opera in due Atti di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais. Per accorciare la gestazione e rispettare le scadenze previste dal committente, il pesarese riciclò materiale già edito ed utilizzato per altri lavori. L’ouverture, ad esempio, fu composta originariamente per l’opera seria Aureliano in Palmira, riutilizzata per l’Elisabetta regina d’Inghilterra, prima di legarsi a doppio filo al Barbiere.  Anche per la storia fu scelto un titolo di successo. Prima di Rossini, infatti, il Napoletano Giovanni Paisiello aveva già messo in scena il libretto nel 1782. Anche in quella occasione fu un successo. La prima del 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina a Roma, invece, terminò fra i fischi, boicottata dai sostenitori della versione di Paisiello. Ma fu solo una parentesi. Il successo arrivò già con la seconda recita ed oggi il Barbiere è tra i titoli più apprezzati dal pubblico.
Metti assieme una storia d’amore tra una giovane donna e un baldanzoso nobile ostacolate dalle brame di un vecchio precettore, prendi l’ingegno di un complice gioviale per catalizzare gli eventi ed il gioco è fatto. Ma si sa, l’intreccio comico dai tempi di Aristofane ai cinepanettoni di vanziniana memoria non ha mai fallito. In questa tradizione si inserisce il testo di Beaumarchais che, non essendo tra i più geniali e raffinati, deve di certo il successo alla sublimazione musicale operata da Rossini (e Paisiello prima). Nulla da dire: Il Barbiere piace al pubblico.
Non fa eccezione la recita felsinea, nonostante questa piacevole regia non abbia fatto annotare nulla di rivoluzionario. L’allestimento di Federico Grazzini, leggero e multicolore con elementi mobili (pensati da Manuela Gasperoni) che costruiscono di volta in volta l’esterno o l’interno di una casa è interessante. Le scene sono così vive e colorate da strizzare l’occhio all’anime giapponese: bello, allegro, leggero. Di tanto in tanto vengono accennati anche degli elementi metafisici che risultano lampi ironici buttati un po’ a casaccio nella frivolezza generale.  Ad onor del vero, il finale del primo atto con una palla da demolizione a distruggere la scena è stato il momento più riuscito della regia e questo ci lascia l’amaro in bocca pensando a quello che sarebbe stato se la direzione avesse realmente imboccato la pericolosa strada simbolista.  Non lo sapremo mai.
Anche perché la compagnia ha svolto egregiamente il proprio lavoro. Non è dispiaciuto Antonio Siragusa. Il suo Almaviva ha convinto più per la voce che per la verve attoriale, conquistando il pubblico con un buon “Cessa di più resistere”. Stesso discorso per il Figaro di Roberto de Candia, autore di una prova solida.
Ancor meglio le prove di Rosina, Basilio e Bartolo. Marco Filippo Romano è un esperto di questi ruoli buffi rossiniani, anche dal punto di vista vocale mentre Andrea Concetti ci regala un Basilio veramente ben riuscito. Di Cecilia Molinari, invece, ci si invaghisce a prima vista e ci si innamora alla prima nota. L’ottimo registro acuto ed una buona gamma media la fanno spiccare nelle due arie. Bella e Brava.
Nulla da recriminare sulla Berta di Laura Cherici, sul Fiorello di Nicolò Ceriani e sull’Ufficiale di Sandro Pucci. Buona la prova del Coro preparato da Alberto Malazzi.
La direzione di Federico Santi è stata senza sbavature e L’Orchestra del Teatro Comunale ha avuto un suono pulito e frizzante. Ad essere pignoli in qualche punto la dinamica ci è sembrata troppo piatta e talvolta troppo in primo piano rispetto al canto. Ma sono solo noiosissimi puntini sulle i.
Quel che conta è il suono delle risate: vere e sincere. Il Barbiere deve far ridere e quello del TCBO ha mantenuto le promesse.

Ciro Scannapieco

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