Una spina nella carne

0

Il titolo è tratto da un versetto biblico ed in più si ricollega a Paolo di Tarso; l’entrata del personaggio, una donna con un ampio manto azzurro madonnesco, è su un canto di chiesa, e a noi lo spettacolo è sembrato una laica e dolorosa Via Crucis, con cui si ricostruisce e si commemora il percorso di tanti poveri cristi, donne e uomini che nulla avevano a che fare con la follia, crocifissi sul Golgota, sepolti vivi in manicomio. Una spina nella carne, prodotto dal Teatro di Anghiari ed interpretato da Francesca Ritrovato che ne ha elaborato anche il testo e la regia, con le musiche suggestive di ispirazione folk/calabra dal vivo eseguite da Fabio Macagnino alla chitarra, è una storia che attinge alla terribile realtà, in quell’archivio dell’ospedale di Girifalco in provincia di Catanzaro, dove nel 1879 fu ideato e realizzato il primo manicomio del Sud Italia. La prima “stazione” un nome c’è l’ha: Leonida. Era una ragazza semplice, che nel 1943, a venticinque anni, viene rinchiusa dopo una fuga d’amore che la svergogna agli occhi di tutti e la stigmatizza come “paccia”. La famiglia non esita a punire “il disonore” con un compiacente medico che sigla il referto di schizofrenia. Le cure, i sedativi, gli elettroshock ed inimmaginabili angherie la renderanno per sempre muta, due parole costituirono il suo vocabolario, quando nel 1987, uscì dal lungo oblio: non mi toccate! Altre streghe da far tacere, altre indemoniate esorcizzate da carnefici clericali, altre ribelli da domare, altre isteriche da castrare, altre anime in cerca di amore costrette al manicomio per malcostume e dicerie, altri liberi pensatori e dissidenti, altri inadatti alla vita, altri diversi, subiranno questo vero e proprio oltraggio alla coscienza civile del nostro Paese. L’attrice incarna alcune di queste voci dimenticate, con accenti diretti, genuini, talvolta con sprazzi lirici e dolenti, su di un palcoscenico nudo, forse unico ed ultimo luogo di verità e di denuncia.
Il pathos narrativo è nelle parole, negli sguardi, nei gesti, che riassumano e sintetizzano frammenti di vite, schegge della memoria, ma/donne che salgono al calvario. Un breve ma significativo scorcio di una Italia precedente la legge Basaglia, dunque non troppo lontana, che ancora “
oggi non trova purificazione d’animo”. Un viaggio tra solitudini e sofferenze, tra desideri e reclusioni impietose e disumane, che lascia il pubblico, a luci spente, attonito. Dedicato alle donne e agli internati, lo spettacolo ha avuto molti riconoscimenti ed è stato apprezzato anche da noi sabato 13 aprile 2019, al Teatro Genovesi nella serata conclusiva del Festival XS di Salerno
.

Dadadago

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.