LO STAR SYSTEM di HOLLYWOOD

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Agli inizi del 1900 il “padre padrone” del film era il produttore, ma si sollevò un problema, in quanto il produttore agiva nell’ombra e non creava interesse da parte del pubblico. Perso l’interesse per l’autore e per il regista, era necessario istituire una facciata che attirasse il pubblico nelle sale cinematografiche. Nacque il divo, ma ancor di più la “DIVA”, che negli anni della nascita di Hollywood incarnò l’enorme e irresistibile potere seduttivo che il cinema pretendeva di esercitare sul pubblico.
E nacque così lo Star System, incoraggiato dai padroni produttori attraverso campagne pubblicitarie imponenti, che tendevano a creare intorno ai divi, atmosfere da leggenda. Lo Star System è stato il metodo di creare, promuovere e valorizzare le stelle del cinema holllywoodiano. Gli Studios avrebbero selezionato promettenti giovani attori e attrici con l’intento di creare personaggi per loro, spesso dando loro anche un nome nuovo, nome d’arte. Esempi di stelle che sono passate attraverso lo Star System sono Cary Grant, Joan Crawford, Rock Hudson. Lo Star System porrà l’accento sull’immagine piuttosto che sulla recitazione (anche se in forma leggera la recitazione, la voce e le lezioni di ballo venivano curati all’interno degli studios). Rigide clausole di moralità, come dovevano comportarsi o vestirsi o truccarsi, erano inseriti nei contratti dello Star System per i giovani attori. Proprio come dei veri e propri dirigenti aziendali degli studios, gli agenti degli attori lavoravano in simbiosi con i loro clienti e gli studios per creare la “star”, per coprire incidenti o stili di vita che ne avrebbero danneggiato l’immagine pubblica. Successivamente, probabilmente il divismo sfuggì al controllo di chi lo aveva fortemente voluto. I molti detrattori accusavano il cinema così ridotto di sostituirsi alle religioni, e il divo addirittura al divino. La chiesa puritana si scatenò contro il tempio di tale sacrilegio, Hollywood, promuovendo campagne contro l’empietà di un mondo che si alimentava dei propri mali.
Molti divi furono accusati di fare uso di stupefacenti, di partecipare a orge, di essere degli assassini. Nacque così la MPDA, Associazione Produttori Distributori Americani, capeggiata dal puritano William Hays che promosse un programma di autocensura per frenare qualsiasi tentazione da parte degli autori del cinema. Hays scrisse in seguito un “codice del pudore”. Furono proprio le sregolatezze nate dal divismo che spinsero Hays, soprannominato “lo zar del cinema” a coniare il codice, che imponeva il divieto a rappresentare l’atto sessuale, le scene di nudo integrale, le scene di parto, tutte le forme di perversioni sessuali, eventuali attentati alla santità del matrimonio. Cecil Blount De Mille fu tra i registi che meglio rappresentarono il nuovo corso inaugurato a Hollywood. E’ risaputo che l’industria hollywoodiana concesse a De Mille, per la realizzazione del colossal I Dieci Comandamenti 1924 e de Il Re dei Re 1927 i fondi che erano stati negati a Griffith.
Fra i grandi registi americani che con stile seppero produrre un cinema di consumo, senza che la legge del profitto prevalesse completamente sul’’arte, ricordiamo King Vidor, che arrivò al successo nel 1925 con il film La Grande Parata e successivamente nel 1928 grazie ai proventi del precedente film, potè realizzare un film in piena indipendenza dai dettami hollywoodiani. La Folla narra la storia di un piccolo impiegato che cerca inutilmente di elevarsi al di sopra della propria condizione di mediocrità, è un’amara parabola sul sogno americano che si distacca nettamente dal cinema voluto dalle major.
Fatte poche eccezioni la legge dello star System e quella del box office, portarono in breve tempo ad un decadimento artistico dei film, che solo una dignitosa scuola di comici e l’apporto di grandi registi stranieri riuscirono ad arginare. A rappresentare entrambe le categorie, comici e stranieri, ricordiamo fra tutti Charlie Chaplin, inglese trapiantato negli Stati Uniti, che nel 1920 con Il Monello interpretò e diresse il suo primo lungometraggio.  

Gabriella Spagnuolo

 

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