Una Norma non retorica che al mito preferisce il sentimento

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Rivela le recenti suggestioni del genere fantasy l’allestimento a firma di Lorenzo Amato della Norma di Vincenzo Bellini, in scena dal 12 al 20 febbraio, sul palcoscenico del Teatro San Carlo di Napoli.
La passione della sacerdotessa druida, epurata dai consueti luoghi comuni e dall’opulenza e attingendo alla mitologia, si colloca in uno scenario fantastico, da leggenda senza tempo e senza una collocazione geografica precisa.

Il sipario si solleva al termine dell’ouverture e rivela uno spazio chiuso di connotazione nordica, di sapore quasi pregotico, un tempio o delle rovine abbandonate dove la natura ha preso il sopravvento. Due bambini, figli della protagonista si imbattono in un cadavere, a sottolineare l’infanzia negata e rubata dalla guerra. Successivamente da questo ambiente chiuso, grazie all’utilizzo di videoproiezioni, in senso mai realistico o cinematografico ma sempre pittorico, prende vita il bosco fantastico. «Abbiamo lavorato a lungo per rendere viva questa foresta che deriva direttamente dalla tragedia di Saumet, fonte principale dell’opera. Una foresta carica di vita e di misteri, che insinua nei Romani superstizioni e paure e che contribuisce a conferire anche quel clima di misticismo e magia che si percepisce dall’ascolto della partitura», racconta Amato. E continua: «Ho chiesto, inoltre, che i costumi esplicitamente suggerissero un ambiente naturale, ostile e freddo». Venerdì 14 febbraio alle ore 20 la sala gremita ha assistito alla prova del secondo cast.
L’interpretazione di Angela Meade, nel ruolo del titolo, è risultata stilisticamente ineccepibile, il soprano dalla eccezionale vocalità, ha infatti messo in luce un’eccellente tecnica belcantista. Scenicamente calamitante e carismatica ha, a tratti, oscurato Il Pollione di Mikheil Sheshaberidze. Il tenore non ha entusiasmato, la difficoltà di raccordo tra il registro grave e quello acuto non sempre è stata risolta a favore della morbidezza e del legato nel fraseggio ma piuttosto con spinte ed eccessive aperture della bocca che hanno finito con l’ostacolare la corretta emissione sul fiato. Ha fatto bene la Adalgisa di Silvia Tro Santafè, nonostante l’esordio calante su recitativo e cavatina iniziali. Bel timbro e buoni volumi, ottima l’intesa con la protagonista, accorato il duetto. Adeguato l’Oroveso di

Ildo Song. A completare il cast Fulvia Mastrobuono/Clotilde, Antonello Ceron/Flavio, due fanciulli figli di Norma e Pollione Yohara Vetrone e Pietro Faticati. Ottima, a tratti compassata, la direzione del giovane Francesco Ivan Ciampa, felice performance dell’orchestra del Massimo napoletano. Il coro preparato da Gea Garatti Ansini ha dato buona prova, eccedendo a volte in accenti eroici.
Suggestive le scene di Ezio Frigerio che si sono avvalse di materiali semplici e delle immagini di Riccardo Massironi. Costumi di Franca Squarciapino

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