Al Paladozza va in scena un Elisir d’Amore da 3 punti.

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Non smettiamo di guardarci attorno mentre aspettiamo il fischio d’inizio, pardon il corale LA di accordatura. Stenteremmo a definire questa situazione come normale. Ma cosa è normale? Forse tutto, forse nulla.  E se il “new” normal non fosse poi tanto diverso da quello vecchio?
Allora proviamo a cogliere le differenze tra questa nuova normalità rispetto al recente passato. Partiamo con un dato di fatto: per tutta la durata della recita nessuno ha tossito (quando dico nessuno, intendo proprio nessuno, come se la tosse d’opera fosse un vezzo da non potersi concedere dato il periodo).  Già questo, da solo, potrebbe essere considerato un incidente inedito e sbalorditivo o forse solo qualcosa da conservare per la futura normalità.
Poi, cos’altro? La mancanza di vere e proprie quinte, di un sipario, un proscenio in versione small/size. A questo punto immagino ci sia già chi storce il naso. Fortunatamente, con il viso coperto da mascherina, risultano celate anche le smorfie dei più radial chic.
Ok, senza essere pignoli si può ammettere che non sia il massimo ma non è questa la prospettiva da cui osservare il mastodontico sforzo che tutti stanno producendo! E poi, c’è un cast, un’orchestra, una regia, un’opera da recitare per il pubblico! C’è perfino il pubblico! Cosa si vuole di più? Bentornata normalità. Parafrasando il sovraintendente Macciardi, si rinuncia a quel quid per continuare a vivere la stessa magia. Che abbia ragione?
L’opera torna a Bologna con uno dei titoli più apprezzati dal pubblico di tutto il mondo: L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti.
Lo spettacolo va in scena dopo la sospensione per le risapute conseguenze della pandemia, a distanza di sei mesi rispetto alla programmazione originale. Ma che vuoi che siano pochi mesi per un Elisir? Per amore c’è chi aspetta anche una vita.

La produzione, realizzata in collaborazione con l’Auditorio de Tenerife e con il Teatro dell’Opera e del Balletto di Tbilisi è proposta nell’ambito di Opera Next, il consueto momento della stagione dedicato ad un cast di giovani interpreti.
Simpatica la regia di Pablo Maritano che sceglie di ambientare la vicenda su un set cinematografico dove la bevanda magica diventa un prodotto da televendita. Qualche elemento registico ci ha convinto molto. Buona la caratterizzazione di quasi tutti i personaggi ad eccezione di Belcore che non è sembrato ben inserito in questa scelta. I soli cartelloni pubblicitari “I want You” in stile americano, non sono bastati ad integrarlo nel contesto cine-televisivo.
Se fosse stata una partita di pallacanestro, avremmo fischiato subito fallo! Non è cosa semplice cantare in queste condizioni: l’orchestra alle spalle (con i cantanti costretti a riferirsi ad un monitor per la direzione), il coro defilato, e tantissimo riverbero sono condizioni proibitive per chiunque. Tutto sommato non è andata nemmeno male, nonostante il gioco fosse diventato sporco e il canto a tratti sfocato. Ne abbiamo tenuto conto prima di essere affrettati nei giudizi.
Ne è stato un lampante esempio l’Adina di Maria Rita Combattelli la cui intonazione in qualche passaggio è risultata insicura e gli attacchi un paio di volte sbilenchi. E’ un peccato perché il timbro e la presenza scenica sono veramente notevoli. Ci si riserva di ascoltarla in teatro per formarci un’opinione. La stoffa c’è.
Klodjan Kaçani non è una novità per il pubblico bolognese; mai, però, aveva avuto in città un ruolo di tal prestigio. Il suo Nemorino è stato sostenuto da una bella voce tenorile dal timbro convincente. Qui e lì abbiamo annotato qualche sbavatura che si vuole attribuire alle condizioni ambientali veramente ostili.
Ci è piaciuto anche Alberto Bonifazio, sia per proiezione sonora che per interpretazione.  Il suo è un piacevole Belcore che pecca solo in agilità (vocale).
Alla fine gli è andata anche piuttosto bene. E’ vero che perde Adina ma guadagna la bellissima Leonora Tess. Lo diciamo con un po’ d’invidia perché la sua Giannetta è valsa per interpretazione attoriale – da sola – mezzo spettacolo. Il ruolo è sostenuto da una voce fresca che ben regge le note acute dell’intervento solistico. Brava.
Che dire Givi Gigineishvili (Dulcamara)? Bravo in scena e dotato anche di una bella voce che – ahimè- per tutta la recita ha ingaggiato e perso un duro conflitto con problemi di dizione in lingua italiana.
Cosa sarebbe successo se avesse bevuto qualche elisir in più prima della messinscena? E se l’avessimo bevuto noi? L’avremmo capito di più?Non ci è dato saperlo.

Difficile la valutazione dell’orchestra guidata da Jonathan Brandani, situata dove mai dovrebbe stare, ovvero in fondo al palcoscenico, dietro i cantanti.  Tutto sommato l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna ci sembra la parte che abbia sofferto di meno delle condizioni ambientali.
Non si può dire lo stesso per il Coro diretto da Alberto Malazzi a cui va tuta la nostra solidarietà, troppo defilato e soffocato dal riverbero del Paladozza.
Che nessuno si azzardi ad essere snob nelle critiche. Lo avremmo detto a prescindere per ogni evento di Opera Next ma quest’anno lo diciamo consapevoli delle difficoltà tecniche che tutti hanno dovuto superare. L’importante era esserci ancora! Poco importa se al Paladozza l’acustica è difficile e non c’è un sipario da chiudere alla fine. Anzi, a maggior ragione, speriamo non si chiuda più!

Ciro Scannapieco

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