“Diversity in Performance Art” di Chiara Mu

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Cosa hanno in comune la Performance Art e il movimento di liberazione omosessuale? Questa è la domanda che ha fatto da filo conduttore alla serata del 5 ottobre scorso organizzata dall’Ambasciata Britannica in collaborazione con il Circolo Mario Mieli. Intitolato Diversity in Performance Art l’evento realizzato in questo 2021 conclude la collaborazione tra l’ambasciatrice britannica Jill Morris e il presidente del Circolo Mieli, Claudio Mazzella, le cui cariche sono in scadenza, ma, ci auguriamo, segna anche l’inizio di un nuovo paragrafo che raccoglierà la florida eredità di eventi socio culturali come quelli organizzati nei passati anni.
Come ha infatti ricordato Morris “riconoscere, accettare e celebrare la diversità come un valore è fondamentale per crescere come società, non è solo giusto eticamente ma è anche la chiave del successo”. Un messaggio di forte impatto, quello dell’ambasciatrice, perfettamente in linea con il discorso di apertura del Circolo Mario Miele nel quale si è voluto ricordate la ribellione dei corpi non conformi che si oppongono alla narrazione dominante o che in essa riescono a creare rotture che danno vita a nuovi codici estetici. 

Tra i nomi di quanti e quante riuscirono a plasmare la cultura di massa non si può non ricordare David Bowie che, pur non ottenendo mai il legittimo riconoscimento della propria identità di uomo bisessuale, ha stravolto ed influenzato la musica, la moda e la cultura. David Bowie, come tante altre figure celebri, ma soprattutto come tante persone comuni che appartengono alla comunità LGBTQIA+, hanno celebrato fatti privati come politici attraverso il proprio corpo, alcune volte come consapevole e forte presa di posizione, altre volte in maniera obbligata semplicemente essendo se stessi e se stesse in una società che punta il dito contro la diversità.

 

Torniamo quindi alla domanda con cui abbiamo aperto questo racconto, cosa hanno in comune la Performance Art e il movimento di liberazione omosessuale? La risposta ci giunge attraverso la voce e le opere di Chiara Mu, ospite dalla serata tenutasi presso Villa Wolkonsky, sede dell’Ambasciata Britannica:

Il corpo

Esattamente come il movimento per la liberazione omosessuale pone al centro il corpo della persona che non vuole conformarsi alla narrazione eterocispatriarcale, la perfomance art crea un’azione performativa che mette in relazione la persona che ha ideato l’istallazione e la persona che ne fruisce, spesso in un rapporto uno a uno che può essere anche fisico.
L’artista italobritannica o angloitaliana – lei stessa non sente necessario scegliere fra le definizioni – Chiara Mu ha presentato tre fra le sue opere, raccontando il processo dietro di esse e mostrando riprese video delle performance: Stigma (Milano 2012), Listen to me (Roma 2019), Esercizio di trasmissione (Milano 2020).

Stigma

http://chiaramu.com/it/works-it/stigma/

Rappresentato in occasione della Giornata internazionale per il superamento della violenza contro le donne (23 novembre) Stigma è un’azione performativa di notevole impatto che prevede che l’artista, dopo un breve istante di abbandono, si volga rapidamente verso il primo uomo nel suo campo visivo e lo fermi fingendosi, con il sorriso sulle labbra, una sua vecchia conoscente. La performance giunge però ad un’inattesa accusa “Ricordi? A quella festa, quando hai cominciato a picchiare la tua ragazza, abbiamo provato a fermarti in tutti i modi”.
La rappresentazione, racconta Chiara Mu, durò meno del previsto poiché prima ancora che l’organizzazione, come previsto dall’azione stessa, potesse avvicinare uno degli uomini fermati durante la performance, questi si è rivolto in maniera violenta ed aggressiva nei confronti dell’artista: “Non ho mai picchiato una donna, ma con te forse è il caso che comincio”.
Ad oggi, racconta Chiara Mu, non riporterebbe tra le strade Stigma, non solo per la paura di un nuovo attacco, dal momento che la performance art prevede sempre un margine di esposizione e dunque di rischio per l’artista, ma per motivi etici: mancava il consenso senza il quale non si può istaurare quella simmetria tra rischio e fiducia che sta alla base dell’arte performativa. Ciò nonostante Chiara Mu non si rimprovera, e non avrebbe motivi per farlo, di aver realizzato Stigma e di averlo fatto in un modo così energico, poiché l’esigenza che ha dato vita all’opera partiva da una forte rabbia nei confronti della sistematica violenza patriarcale sui corpi delle donne. C’è ancora tanto lavoro da fare in questo campo, aggiunge l’artista, ma rispetto al 2012, forse c’è maggiore speranza anche grazie al lavoro comune che svolgono le associazioni femministe e LGBTQIA+ e alla crescente consapevolezza da parte degli uomini di essere parte del problema. 

Listen to me

http://chiaramu.com/it/works-it/listen-to-me/

Ospitato al MACRO di Roma, Listen to me è un’istallazione che ha coinvolto delle performer cieche incaricate di guidare in una stanza in semioscurità una persona ciascuna del pubblico. La persona doveva quindi lasciarsi guidare da chi, secondo l’immagine comune, ha a sua volta bisogno di una guida.
Il pubblico quindi riponeva totale fiducia nelle performer e si lasciava toccare e muovere da loro seguendo ed eseguendo movimenti non casuali ma rappresentativi di un determinato concetto privato e personale scelto da ogni performer. Le persone dovevano quindi ascoltare (listen) le artiste che potevano raccontare ad esempio il proprio concetto di maternità o di sguardo. il tutto senza proferire alcuna parola.
Questa scelta ha messo in forte difficoltà le artiste, ma le ha anche poste in simmetria con il pubblico togliendo ad entrambe le parti un senso di percezione ed indirizzando entrambe sulla fisicità.
Una sola parola era prevista, quella che alle fine della performance racchiudeva il concetto che si era esperito insieme.

Esercizio di trasmissione 

http://chiaramu.com/it/works-it/esercizio-di-trasmissione/

L’ultima opera presentata da Chiara Mu rappresenta una sfida vinta con non poche difficoltà.
Era stato chiesto all’artista infatti di rappresentare il concetto di trasmissione in arte, concetto non facile di per sé, ma ancor più in un anno, il 2020, nel quale la parola trasmissione era associata esclusivamente al virus. Chiara Mu ha sfruttato la situazione mondiale ed ha trasformato la divisione e separazione rappresentata dalle mascherine in un oggetto che, invece di ostacolare la trasmissione, trasmettesse vicinanza e spirito comunitario. Ha proposto al pubblico della città di Milano, fortemente colpita dalla pandemia, di fidarsi di lei ed di indossare sopra o al posto della propria mascherina quella da lei distribuita, seguendo le opportune norme sanitarie, ma senza chiedere il perché. Terminata la distribuzione l’artista ha indossato anch’essa una delle mascherine e si è seduta al microfono: qui ha letto una sua composizione scritta di getto e creata con spezzoni di articoli di giornale che raccontavano il tragico incendio della Grenfell Tower (2017) a Londra, nel quale persero la vita due giovani Gloria e Marco in intrappola mentre i genitori dall’Italia assistevano in stato di impotenza alla morte dei due restando al telefono con loro. Un racconto toccante che non ha lasciato nessuna persona indifferente e che anzi ha trasmetto l’odore acre e soffocante dell’incendio attraverso le mascherine.


La serata si è conclusa con i ringraziamenti dell’ambasciatrice, che per tutto il corso dell’evento ha anche dialogato con Chiara Mu, del Circolo Mario Mieli e del pubblico in sala, che pure non avendo potuto fruire dello scambio diretto della performance ha avuto modo di arricchirsi di queste esperienze pregresse.

Emma Amarilli Ascoli

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