Piazza degli Eroi: macerie del Novecento – Successo al Teatro Mercadante

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Liberarsi del carico emozionale dirompente di un luogo che ci ha visti testimoni e vittima di orrori è possibile solo a patto di uccidere la memoria in noi stessi e, in definitiva, di scegliere la soluzione estrema del suicidio.
È quanto, contornato da altri forti messaggi, viene affermato in “Piazza degli Eroi”, uno degli ultimi lavori teatrali del letterato e drammaturgo austriaco Thomas Bernhard, datato 1988, che ha inaugurato la stagione del Teatro Mercadante – Teatro Stabile Nazionale, mercoledì 20 ottobre.
Si tratta di un testo dal contenuto letterario predominante rispetto alla messa in scena, le cui tematiche appaiono senza tempo se universalizzate e che quasi si oppone alla drammaturgia, nella messa in scena di Roberto Andò, che lungi dal teatralizzare, fa sbalzare in evidenza proprio i tratti più letterari fino al rischio di proporre un reading a più voci, a scapito dei dialoghi.
Si tratta di un testo visionario che con agghiacciante lucidità rileva lo Zeitgeist novecentesco più cupo, esprimendo la fine di un’epoca incapace di riconoscere il ripresentarsi degli orrori, dove l’intellettuale organico può solo evidenziare i mali della società senza poterli risolvere, rassegnandosi a constatare l’esaurimento di ogni funzione del teatro stesso.
Piazza degli Eroi – Heldenplatz fu criticata aspramente al suo debutto in Austria, e l’autore accusato di essere un detrattore della sua nazione oltre che di avere realizzato un testo anti-teatrale.
Il testo Piazza degli Eroi in realtà rientra nel filone narrativo di Bernhard che criticava aspramente la società influenzata dagli accadimenti senza assumere un pensiero/comportamento critico, accettandone tutti i mali e vivendo il suicidio/morte come ultimo confine libertario per esprimere le idee dissenzienti dal rassicurante coro.
Piazza degli Eroi vede nell’antefatto la genesi e l’annunciarsi del leit motiv del testo: il suicidio del professor Schuster, ultimo atto di libertà per protestare contro l’avanzare della barbarie antisemita, lui che aveva dovuto abbandonare Vienna cinquant’anni prima perché ebreo, quando in quella piazza Hitler aveva proclamato l’Anschluss e dove rivede nuovi consensi verso inciviltà che apparivano sopite, ora rinate nella folla/popolo che agita la piazza e asseconda il leader di turno.
La piazza è un esterno che incombe, oltrepassa la finestra che su essa affaccia e scardina infissi e vetrate con il suo vento di memoria di persecuzioni, di violenze, di rastrellamenti e di uccisioni.

Il suicidio di Schuster è l’atto di chi non si riconosce in una società che proclama nei documenti i valori dell’inclusione e del rispetto delle diversità rinnegati quotidianamente dalla piazza inferocita per i propri diritti rinnegati convinta di riacquisirli e si scaglia contro un nuovo antico nemico: il diverso.
È una successione di lunghi monologhi dove, di volta in volta, emerge la tecnica e la capacità interpretativa dei diversi protagonisti.
I tre atti appaiono come slegati tra loro, ognuno indipendente nella sua visione, il cui unico tratto unificante  il suicidio del professor Schuster in una Vienna anni ottanta decadente come tra le due Grandi Guerre.
Il primo atto vede la presentazione della figura più intima del professor Schuster, il matematico, il racconto delle motivazioni del suicidio, nel trambusto del trasloco per trasferirsi nella casa di campagna, svelata dalla governante la signora Zittel, la vera compagna della sua vita, interpretata da Imma Villla, che ha dominato i cinquanta minuti del primo atto come in un lungo monologo intervallato da piccolissime battute dalla cameriera Helga interpretata da Valeria Luchetti.
Il secondo atto, il giorno del funerale del professor Schuster dove prima le figlie ricordano la figura del padre e il non essere radicato in nessun posto Vienna Oxford Vienna… il disagio del ritornare in un luogo da cui si è stati scacciati e il disagio di doversi inserire in un luogo altro.
Essere sempre erranti e stranieri al luogo.
Le figlie interpretare da Silvia Ajelli/Anna e Francesca Cutolo/Olga, si sono interfacciate con lo zio il professor Schuster filosofo, fratello del suicida,  ammalato e sopravvissuto, interpretato da Renato Carpentieri.

Il suo lunghissimo monologo sulla finitezza della vita, sull’impossibilità di migliorare il mondo, sul non poter esprimere i propri sentimenti più veri, è un resoconto della decadenza di una classe intellettuale che, per di più, costretta a rimuovere i decenni del nazifascismo, mescola nostalgia e riacquisizione di un presente traguardato attraverso spesse cataratte di stanca difesa dalla realtà.
L’affermazione estrema proclama che “il teatro è morto”, non ha più motivo di esistere, sia per le pièce sia per gli attori che per il pubblico. Emerge come la società europea sia ormai al suo collasso, abbandonata alle politiche  del populiste nel ricercare la rassicurante guida dell’uomo forte.
Il suicidio del professore Schuster è la metafora dell’autodistruzione della società, sedotta da sirene di arte e di bellezza ma con la rotta segnata e ineludibile verso il naufragio, evento estremo che tuttavia si configura come unica opzione di libertà.
Il terzo atto è la vera parte teatrale, citazione di  drammaturgia russa ottocentesca, dove al termine del funerale, la famiglia e gli amici si riuniscono in un’ultima cena nella casa che deve essere abbandonata perché venduta e ci si deve trasferire in una piccolissima cittadina di campagna, dove regna il silenzio e l’inattività, un altro tipo di morte.
La scansione del tempo di una cena in cui Andò dispone i commensali in palstica citazione leonardesca, è battuta dall’attesa della vedova, durante la quale i convitati riflettono  sul mondo in trasformazione, sulla cultura ormai naufragata, riaffermando ancora una volta come la morte resti l’ultima scelta liberatoria.
Il cast si è completato con  Betti Pedrazzi (Imma Schuster,) Paolo Cresta ( Lukas il figlio), Stefano Jotti  (Landauer), Enzo Salomone (professor Liebig), Vincenzo Pasquariello (pianista).
Piazza degli Eroi è in scena al teatro Mercadante di Napoli dal 20 al 31 ottobre per la regia di Roberto Andò, testo tradotto da Roberto Menin, scene e luci di Gianni Carluccio, costumi di Daniela Cernigliaro suono di Hubert Westkemper nella produzione del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia – Fondazione Teatro della Toscana.

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