«Il senso delle cose è una coperta stesa male»: «La Madre» al Teatro Quirino

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Pubblico delle grandi occasioni, con molti nomi del cinema e del teatro, per la prima romana del lavoro di Florian Zeller, La Madre, in scena al teatro Quirino fino al 26 marzo.
L’allestimento vede la regia di Marcello Cotugno e Lunetta Savino nei panni della protagonista, Anna.

Il testo fa parte di una trilogia (seguono infatti Il padre e Il figlio) con cui l’autore ha portato al centro del suo lavoro il complesso universo delle costellazioni familiari e il loro dissolversi, in una dimensione umana e sociale dove i contorni dei ruoli e i confini delle relazioni sono labili, difficili da definire, ricollegandosi al pensiero della dinamicità ed incertezza della contemporaneità di Zygmunt Bauman.
A volte dentro queste relazioni c’è un silenzio assordante, quello delle parole non dette ma pure quello dei desideri mancanti, il vuoto dei pensieri.  Non si hanno risposte e le poche vanno semplicemente a soddisfare i bisogni materiali più immediati e più di tutto sono anticipazioni che azzerano il tempo del desiderio.
Al centro della commedia ci sono dunque il dolore e la solitudine di una madre che vede il suo figlio maschio (interpretato da Niccolò Ferrero), ormai adulto, abbandonare la casa familiare per andare a vivere con una ragazza (Chiarastella Sorrentino) .
Un episodio banale, quasi normale nell’evoluzione della vita, che però la protagonista vive come un tradimento; pian piano la donna perde il suo radicamento nella realtà e la narrazione non lineare del testo come la suggestiva scenografia, fatta di porte e di specchi riflettenti, restituiscono allo spettatore questo senso di spaesamento, di non riconoscimento, spingendolo a percorrere un labirinto,  che è quello appunto dei pensieri di Anna.
Magistralmente interpretata da Lunetta Savino, la madre descrive una quotidianità complessa, difficile, dove anche l’amore per eccellenza, quello materno, viene messo in discussione in relazione alle più profonde emozioni e debolezze dei protagonisti, che a turno appaiono sulla scena accanto ad Anna, attratti e respinti da sentimenti contrastanti, da sensi di colpa ma anche da desideri di sperimentare un’esistenza altra.
La donna disperata perché abbandonata a se stessa,  si sente come un oggetto a perdere, anela la sicurezza di un legame,  il più forte , quello con il figlio, ma nello stesso tempo ne intuisce l’ ambivalenza percependolo anche come prigione per entrambi,  perché solo nella fine di questo rapporto potrà avere una possibilità di ricostituire se stessa, ritessersi.
Le emozioni più profonde riescono a manifestarsi alla nostra coscienza solo attraverso la frustrazione che provocano, allorché quello per cui abbiamo speso una vita va in malora, svanisce, tradisce le nostre aspettative e cosi la madre, di fronte a quello che considera un vero e proprio abbandono, inizia a interrogarsi su quello che resta , il vuoto.
Lo stesso rapporto con il marito (Andrea Renzi) è  sempre più superficiale e da tempo la routine ha sostituito la passione e lei sospetta o sa i suoi tradimenti, alimentando sensi di frustrazione e amarezza . «Dovevo badare ai miei due figli, o meglio ai tre figli, visto che ho dovuto badare anche a te proprio come una  madre. Tu invece?  Sei un antipadre!»,  rimprovera e recrimina Anna.
Ma proprio questo sarà il momento di ascoltare una parte più profonda di sé,  di non essere più il riflesso di altri  (Come è andata oggi? Mi sembri pallido…Per quanto tempo resterai?), sarà il momento di comprare un vestito rosso , forse solo sognato, e,  proprio in preda ad uno strazio profondo,  solo per un attimo, sarà il momento di sperare una autentica partecipazione a quella vita , da cui si sente esclusa ma anche da cui si è esclusa.
E qui l’immagine di Lunetta Savino, vestita di rosso, che danza lieve sul palco, in una dimensione di straniamento della realtà ma anche di leggerezza, è di una bellezza poetica, in doloroso contrasto con il candore bianco del camice ospedaliero della scena conclusiva, perché si sa, e la madre ce lo ricorda alla fine, «il senso delle cose è una coperta stesa male».

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