Al Comunale Nouveau Figaro è uno sposo felice

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Queste «Nozze» mozartiane sono la celebrazione di tutto ciò che è ma avrebbe potuto non essere. A ben guardarci, la genesi di questo componimento assomiglia ad un percorso ad ostacoli.
Alla fine è quasi un miracolo che Figaro abbia contratto nozze e che quest’opera buffa abbia visto la luce. Troppi i contro. Oltre a quelli propri della trama, in cui i capricci del conte osteggiavano il matrimonio, si aggiungono quelli storici. All’imperatore, infatti, poco andava giù la trilogia di Beaumarchias da cui prende spunto il libretto di Da Ponte. Anzi, a dirla tutta, ci aveva proprio messo un veto. Che non gli garbasse che nella lotta di classe è il nobile a soccombere? Permaloso.
Da Ponte, poi, impegnato contrattualmente con Vincenzo Martin y Soler, non avrebbe potuto trovare il tempo per dedicarsi ad una nuova stesura. Mettici pure che la tasca di Wolfgang, se non proprio vuota poco ci mancava, che le possibilità restano ben poche. Fatto sta che quest’opera non s’aveva da fare. Fortunatamente quando il progetto è valido, le cose si mettono a posto da sé, magari con l’aiuto di una manina esterna. Così, mentre il barone Wetzlar convinceva Giuseppe II e Da Ponte chiedeva all’altro di pazientare un po’, Mozart scriveva…e scriveva così bene che, a distanza di tre secoli, lo scorso 17 Maggio al Comunale Nouveau è andata in scena l’ennesima rappresentazione de “Le nozze di Figaro”. Ed è stato un successo.
Non si banalizzi con il più classico dei pregiudizi che un’opera buffa tutto sommato piace sempre. Anche perché di commedie brutte ne abbiamo viste e ascoltate a file di tre con il resto di due. Si fatica a trovare un solo punto a sfavore di questo matrimonio bolognese, a partire dal cast vocale.
Già, proprio i cantanti sono un punto di forza di questa produzione. Tutti vocalmente a proprio agio con la parte e perfettamente calati all’interno dell’idea registica.
Facendo il gioco delle coppie, le due sono perfettamente calibrate. Non abbiamo parole da spendere per Mariangela Sicilia e Vito Priante che ben conosciamo per nobiltà del timbro e padronanza dello strumento. Anche questa volta sono protagonisti di una esibizione eccellente. Sarà anche vero che gli spazi della fiera mettono a nudo ogni difetto di emissione ma allo stesso tempo fanno emergere chi la voce ce l’ha davvero.  Ed in questo caso di voce ce n’è tanta, da riempiere la sala e arrivare ovunque.
Diversi, ma non meno bravi, gli altri due. Eleonora Bellocci è una Susanna frizzante, con una voce molto adatta al repertorio ed un vibrato ostentato e ottimamente modulato.
Giusto una spanna meno, ma solo per meriti altrui, Davide Giangregorio che resta sempre un buon Figaro. Rimbalzando tra i quattro come la biglia impazzita di un flipper agli ormoni adolescenziali, giganteggia Cecilia Molinari, magistralmente calata nella parte del cherubino. La migliore sorpresa della serata.
Per i ruoli di carattere, abbiamo nomi di gran blasone: Laura Cherici, Francesco Leone, Paolo Antognetti, Dario Giorgelè e Cristiano Olivieri, rispettivamente nei panni di Marcellina, Bartolo, Basilio, Antonio e Curzio.  Non avremmo potuto desiderare di meglio.
La concertazione con l’orchestra non lascia spazio a riletture ed esperimenti. Il giovanissimo Martijn Dendievel, ormai di casa a Bologna, ha diretto con autorevole maturità. La testa pensa nel solco della tradizione mentre la bacchetta batte un tempo svelto ma lo plasma con dinamica aggraziata. Splendido l’utilizzo del clavicembalo nei recitativi. Ventotto anni, però!
Ad Alessandro Talevi e al team creativo, invece, potremmo commissionare un tomo dal titolo “il teatro non a teatro”.
Magistrale l’utilizzo dello spazio scenico che non ha fatto rimpiangere di non essere in una grande sala d’opera. Molto bella l’idea delle pareti bianche che diventavano spazi per la proiezione di immagini che sublimano la scena senza infarcirla di elementi distonici o pretestuosi, come spesso accade con l’uso scostumato di accompagnamenti visivi.
Era quasi mezzanotte quando è finita, ma in sala tutti svegli e soddisfatti. Fortunatamente non c’è la formula americana del “se qualcuno ha qualcosa da dire, parli ora o taccia per sempre”. Perché sicuramente qualcuno avrebbe urlato “bis”.
Se avessimo ricominciato, come ad ogni matrimonio che si rispetti, saremmo arrivati al mattino alle prese con un indomabile zio ubriaco, ma questa recita ci sarebbe piaciuta ancora e ancora e… ancora.

Ciro Scannapieco

Foto Andrea Ranzi ®

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