Alziamo il volume delle immagini. Alla scoperta dell’arte di Giulio Pedaci

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«Quando vedo le immagini sento la musica. Mi batte in testa fortemente».

Parte così, lo scorso 13 Maggio questa piacevole chiacchierata. Il protagonista è Giulio Pedaci, artista digitale con una lunga carriera nell’ambito della post-produzione, dove ha collaborato con note aziende italiane e multinazionali per campagne pubblicitarie di gran successo.

Il suo 2023 è segnato da due progetti ambiziosi. Oltre alla personale Contaminazioni, che ha riscosso un grande successo nella splendida cornice del Teatro di villa Aldrovandi-Mazzacorati, c’è il progetto Opere per l’Opera con il Teatro Coccia di Novara. Partiamo proprio da questa collaborazione. Una nuova Opera di arte digitale per ogni titolo in cartellone. Com’è dare l’immagine alla musica?

«Per me è normale ascoltare le immagini. La musica classica e quella sinfonica, sono le mie Muse ispiratrici per eccellenza. Quando la melodia e le parole toccano l’anima, la innalzano a livelli sublimi e ci portano a volgere lo sguardo verso l’incanto. Sono appena rientrato da Novara dove ieri (12 Maggio Ndr) è andata in scena la prima del Barbiere di Siviglia. Sa come funziona, dopo la recita abbiamo fatto tardi».

Giulio, non sembra affatto stanco. Eppure, è appena tornato da Novara.

«Stanco? Forse quando tornerò a casa e realizzerò tutto questo avrò un po’ di stanchezza. Ora c’è tanto orgoglio e tanta soddisfazione. Ho ricevuto un riscontro molto positivo. La mia Rosina (L’infinito nei suoi occhi Ndr) è piaciuta. È un omaggio a tutte le donne»

 

Parliamone. Lei dipinge (virtualmente) come se fosse uno scultore. Rosina si protende nello spazio come una scultura. Esce dalla tela, dalla pagina del libretto, dallo schermo.

«Quando ero in accademia dipingevo in modo materico. Usavo dello stucco in polvere per creare un effetto tridimensionale, come se il colore volesse sfuggire alla tela. Oggi uso il digitale e questo mi permette di trattare la “tela” come se fossi uno scultore, togliendo materia. Per Rosina mi sono ispirato alla Danzatrice con il dito al mento di Canova. Le sue opere sono sensuali e delicate nello stesso tempo, quasi angeliche. Un marmo levigato e fluido. Come la mia Rosina».

Già, il marmo. Quello che colpisce sono le texture, molto realistiche.

«Vengo dalla post-produzione, lì ho imparato a manipolare il colore. Per raggiungere questo risultato ho lavorato molto. Oggi uso una tecnica personale, che ho affinato negli anni. Le possibilità del digitale sono sterminate, bisogna conoscere a fondo il programma».

Vale anche con l’analogico, immagino. La competenza è importante, un artista è prima di tutto un artigiano.

«Ero in accademia e mi incaponivo a cercare un determinato risultato quando passa l’insegnante e mi fa “perché non usi un pennello piatto?”. Da lì fu molto più semplice mettere in pratica la mia idea. Conoscere le tecniche ti rende libero di utilizzarle per concretizzare la tua creatività».

Qual è la sua creatività?

«Scultura, pittura, post-produzione fotografica. Sembrano mondi molto distanti, ma possono incontrarsi per conformare una visione inaspettata.  Nei miei lavori racconto una storia. Vengo dal surrealismo, la vicenda è nei dettagli, nei particolari che rimandano ad un messaggio più profondo. In tutto quello che metto nei miei lavori, dal titolo alle musiche, piuttosto che nell’immagine stessa, c’è un messaggio. Poi, è solo una partenza comune. Se davanti ad un dipinto ti poni delle domande, allora funziona. Ognuno ci troverà le sue risposte».

Sembra un approccio narrativo…

«Io ho già la storia, così come chi guarda un mio lavoro ha una storia legata alla sua vicenda personale. Se davanti ad un’opera si sprigiona un’emozione, è automatico che si attivi un meccanismo di reminiscenza potentissimo. Felicità e tristezza sono sempre abbinate ad un ricordo. Ricordo, che rivissuto nel presente di quella sensazione, si attualizza in nuove idee e sensazioni. Non esistono emozioni mute, sono sempre legate alla musica, a qualcosa di sonoro. Bisogna darsi il tempo per scoprire e riscoprirsi in quello che uno guarda».

Non Le sembra esserci una certa distonia rispetto al mondo della pubblicità?

«Assolutamente no. Che sia moda o automotive, fino al food & beverage le immagini raccontano vicende. Lo sviluppo è più veloce ma c’è una storia che ti deve rimanere in testa».

Anche nella pubblicità la musica ha un ruolo fondamentale.

«Non solo nella pubblicità, ma nella vita delle persone. Su di me la musica ha un effetto devastante. Posso ascoltare centinaia di volta La Traviata o Il Macbeth ma ci sono delle parti che ogni volta mi commuovono. È qualcosa che vibra talmente forte dentro di me».

Come mai il digitale?

«Portare il dipingere dall’analogico al digitale è stata un’esigenza per velocizzare l’atto creativo. Sentivo il bisogno di fermare quello che mi accade attorno. Io non vedo mai la tela bianca. Ho sempre un’immagine che mi batte in testa… e suona»

Cosa aveva in testa dipingendo il Confutatis Maledictis?

«L’atrocità di questa inutile guerra mi sconvolge. Il Confutatis Maledictis nasce così. Ero così disgustato da quello che vedevo in televisione che non ho potuto non sentirmi coinvolto, ispirato. Il mio lavoro viene dall’immensa scultura di Gaetano Cellini “L’umanità contro il male”. Un’opera di grande impatto dove l’umanità viene schiacciata al suolo.  Nel mio, prendo l’immagine dei grandi maestri come ispirazione ma la interpreto. La terra diventa una tela che lui tira, scoprendo una nuova tela bianca».

Come mai bianca?

«Sì, bianco. Il bianco è il colore della speranza. Tirando la terra, ne scopre una nuova, vergine. Bianca, per l’appunto, come una nuova tela da riempire con una storia diversa. Il mio personaggio nel Confutatis Maledictis non nega questa atrocità, ma si ritaglia un angolino bianco per sperare in qualcosa di migliore»

E come lo immagina questo bianco? Come lo riempirebbe?

«Di Bianco, io ritaglio un pezzettino di tela perché tu devi creare qualcosa di bello. Non devo dare una risposta ad una domanda che nessuno mi ha nemmeno fatto. Che senso ha dare una risposta? Io posso dare con questo bianco uno spazio per il tuo desiderio di un mondo migliore. Uno spunto per farsi delle domande e trovare delle risposte personali. Se ho svegliato in te qualcosa vedendo quel particolare»

Nella sua mostra Contaminazioni consiglia l’utilizzo di auricolari. Non esistono emozioni mute?

«Le immagini devono essere ascoltate per essere veramente viste. Le opere esposte in sala, oltre al titolo avranno uno o più QRcode che integreranno l’esperienza della visione, la completeranno e, in alcuni casi, la sveleranno. Si potrà ascoltare la musica sinfonica o l’aria d’opera che mi ha ispirato per la realizzazione di quell’immagine. Non posso mettere una manopola per alzare il volume ad un quadro ma posso dare un QRcode così che sia tu a farlo».

Alla vista, che è il senso proprio della pittura, ne aggiunge un altro: l’udito.

«L’uomo ha più dei canonici cinque sensi. Miro a risvegliare gli altri».

Ciro Scannapieco

 

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