Dal 26 settembre 2025 torna al Teatro Bellini “Morte accidentale di un anarchico”, una delle commedie più famose di Dario Fo e Franca Rame. “La morte accidentale” è quella dell’anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra del quarto piano della questura di Milano nel 1969. Indagato tra i responsabili della strage di Piazza Fontana, si “suicidò”, vittima di un sistema di depistaggi, di contraddizioni, di malagiustizia, di “fake news” e la contro-informazione costruita da un potere corrotto, ieri come oggi. “Morte accidentale” non racconta in modo diretto la vicenda di Pinelli ma si serve di un artificio: la storia di un anarchico, Andrea Salsedo. Nel 1921, arrestato dall’FBI, il tipografo italiano “volò” fuori da una finestra del palazzo della polizia di New York.
“Nel testo” – spiegava Fo – “ho usato la chiave che ho sempre preferito da quando scrivo per il teatro, e cioè la farsa. Ma l’ho caricata di significati satirici espliciti, l’ho costruita in modo che si dica tutto sulla strage di stato e sull’assassinio di Pinelli ma allo stesso tempo, attraverso la convenzione della vicenda analoga, si ammicchi, si alluda, si stabilisca un rapporto diretto con l’intelligenza del pubblico”.
“Morte accidentale”, come “Mistero Buffo”, è cresciuto per anni, aggiornato con le ultime novità della cronaca. Il testo di Fo, per il quale subì 40 procedimenti giudiziari, è ancora attuale nel denunciare le mistificazioni e i giochi del potere.
Il cast
Firma la regia Antonio Latella, la drammaturgia Federico Bellini. Il cast è composto da Daniele Russo, Caterina Carpio, Francesco Manetti, Edoardo Sorgente, Emanuele Turetta. Le scene sono di
Giuseppe Stellato, i costumi di Graziella Pepe; musiche e suono di Franco Visioli. Le luci sono di Simone De Angelis, i movimenti di Isacco Venturini. I costumi sono stati realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa. La produzione è a cura della Fondazione teatro di Napoli – Teatro Bellini.
Il regista
Latella scrive nelle sue note di regia: – “Fo non era mai altro da sé, il suo modo di stare in scena e recitare consisteva nell’abitare la scena come totale atto anarchico; nessun personaggio per nascondersi o da interpretare ma un continuo tentativo di fare della non-interpretazione un fatto artistico persino pericoloso. Questa è l’eredità che ci lascia, difficile da emulare, dato il nostro esser troppo borghesi e forse condizionati. (…) La sua forza era una risata che riusciva a scardinare ogni argomento facendo diventare la risata stessa un atto rivoluzionario, dissacrante, ma soprattutto scandaloso. Fo, con questo testo, parlava di scandalo; la sola cosa che vorrei riuscire a fare, graffiando con una risata da Joker, è quella di non dimenticare cosa e chi siamo stati. Provare a non cambiare la storia, ma tornare sul luogo del delitto non per attaccare coloro che non ci sono più, ma per comprendere e non ripetere gli stessi errori. Si può riuscire con una regia? Forse no, ma si deve provare”.
La messa in scena

Un momento della messa in scena
L’azione si svolge in una questura, dove il commissario Bertozzo incontra un Matto, capace di impersonare più ruoli. La platea del “Bellini” è in gran parte occupata da una sagoma di legno a forma di uomo disteso, come il disegno di un cadavere sull’asfalto quando la polizia fa i rilievi dopo gli omicidi. Gli spettatori sono nei palchi e su di una tribuna disposta di fronte al palcoscenico, e nella quale tre posti sono occupati da pupazzi di kantoriana memoria. Il Matto, un bravissimo Daniele Russo sul quale Latella ha cucito un in-credibile personaggio, è un mitomane, il “fool” shakespeariano e, in quanto tale, l’unico in grado di mettere a nudo l’ipocrisia e le menzogne della politica. Ora giudice della Corte di Cassazione, ora psichiatra, ora sovrintendente, intelligente e astuto, affabulatore, dichiara di voler aiutare i protagonisti della storia di Pinelli, tutelandoli da ulteriori indagini e dagli accertamenti della stampa. Parla agli uomini di legge, il commissario, il questore e l’ispettore, discute con la giornalista, dura e pura, che verrà a intervistarli, ma soprattutto si rivolge direttamente al pubblico, smascherando ipocrisie e insabbiamenti, manipolazioni e giochi di potere ammantati di giustizia, di democrazia. Tutti bravissimi gli attori; bravo Latella, che lavora per sottrazione, lasciando spazio alla parola sottolineata solo da sapienti e costanti tagli di luce, da un suono ritmato e costante, come un ingranaggio di una macchina, il ticchettio di una bomba, lo scorrere implacabile del tempo. Parlare di politica ritrova il senso di polis, e il testo di rottura di Fo parla al tempo presente. Una regia perfetta consegna il prezioso testo al pubblico con un cast abile nella parola ma anche nella postura e nella fisicità, nella narrazione corale. Nel finale, tutti gli attori e i pupazzi, dai quali fuoriesce fumo, sono distesi sulla grande pedana. Non è più tempo neanche di fare sarcasmo, poiché la realtà ha superato di gran lunga il surreale, la drammaticità di avvenimenti che sono ad un tempo memoria e presente.
Lunghi applausi alla “prima”.