Madama Butterfly di G.Puccini – Scheda

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Madama Butterfly
Musica di Giacomo Puccini (1858-1924)
libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa su David Belasco
prima esecuzione Milano, Teatro alla Scala, 17 febbraio 1904

Reduce dai trionfi di Tosca (1900), Puccini fu assalito dal timore di non riuscire a ripetersi sui medesimi livelli e, soprattutto, di deludere le aspettative di un pubblico che aveva individuato in lui l’erede del vecchio Verdi che in quel 1901 si congedava dal mondo.
Molti soggetti furono presi in esame grazie alla costante azione di stimolo di Luigi Illica, ma Puccini era restato impressionato enormemente, nel 1898, da una tragedia giapponese vista a Londra “Madame Butterfly”, riduzione teatrale curata da David Belasco (a cui il lucchese guarderà per “La Fanciulla del West”) di un racconto omonimo di John Luther Long.
Gli ultimi anni del XIX secolo vedevano il diffondersi di un fenomeno/vezzo culturale detto “orientalismo”, una moda funzionale alla veicolazione di messaggi filocolonialisti.
L’orientalismo presupponeva subdolamente o esplicitamente, una subalternità delle culture asiatiche a quelle occidentali; l’oriente veniva anche rappresentato come la parte femminile del mondo, mistificando un simbolo come il Tao e facendo del dualismo Yin-Yang una forzata allegoria oriente-occidente.
Gli accenti posti sul misterioso fascino dell’oriente fungevano da “afrodisiaco”, e l’emisfero Yin del mondo rimaneva terra di conquista, una civiltà decorativa e vacua, un luna park per occidentali arroganti e senza scrupoli.
Le imprese coloniali, stante la corrispondenza di cui sopra, divenivano allegorie di conquiste erotiche, quando non di stupro etnico.
Non di rado, tuttavia, letterati, poeti, commediografi e musicisti componevano opere di ispirazione e ambientazione esotica senza viaggiare oltre i confini dell’ Europa o degli opulenti Stati Uniti d’America.
Lo stesso Puccini aveva conosciuto le usanze giapponesi attraverso una sommaria visione di Madame Butterfly a Londra (dove egli si trovava per assistere alla prima inglese di Tosca) e grazie alla frequentazione dell’ attrice Sada Jacco e della moglie dell’ambasciatore del Giappone in Italia, Madame Isako Oyama.
La creazione dell’ “opera giapponese” durò circa tre anni, anche a causa dell’incidente automobilistico occorso al musicista nel 1903.
La gestazione di Butterfly, in vero, fu tormentata fin dall’inizio per l’opposizione di Belasco che pretendeva esosi diritti.
L’abilità diplomatica ed una serie di stratagemmi letterari consentirono a Illica di porre mano al capolavoro di Cio-cio-san.
Puccini, inizialmente concepì una tragedia che rappresentasse un netto dualismo Oriente-Occidente anche con la suddivisione in due atti con location contrapposte.
Quanto ciò derivasse da una visione estremistica dell’orientalismo, quanto dalla non perfetta conoscenza della versione originale di Belasco non è necessario approfondire.
Oggi noi conosciamo la realizzazione del 1904 con l’abbandono della sposa nipponica e con l’attesa commoventemente fiduciosa del ritorno di uno “sposo fedele” con quella romanza “Un bel dì vedremo” che si colloca sull’Olimpo delle melodie operistiche di tutti i tempi.
Questa versione è priva di visioni di vita occidentale ed è suddivisa in tre parti (primo atto, secondo atto parte prima e secondo atto parte seconda, o terzo atto).
Nelle intenzioni il “coro a bocca chiusa” e il preludio al terzo atto sarebbero dovuti essere eseguiti senza soluzione di continuità, ma forse per il gusto del tempo e per esigenze di scena, dopo le prime rappresentazioni, si è proceduto ad una suddivisione in tre sezioni che si è voluto definire “atti”.

Il senso di desolata attesa creato dal mirabile coro senza parole né vocali doveva condurre all’epilogo
tragico, alla delusione, al dolore; l’interruzione, invece, se per un verso dà spazio all’applauso e all’asciugatura di qualche ciglio bagnato, per l’altro scompagina ombre e profumi accendendo le luci sui foyer con gli olezzi delle bibite, dei caffé e del pubblico profumato oltre misura dei teatri; circostanze che non giovano alla costruzione drammatica ma soddisfano i gestori delle bouvette.
Anche la finestra sull’occidente rappresentata dalle scene locate nel consolato di Nagasaki venne soppressa nella stesura finale estesa su tre parti anziché sui due voluti dal musicista: “uno il tuo (rivolto a Illica) e l’altro di Belasco”.
Protagonista cessava così di essere la contrapposizione tra due civiltà, diveniva centrale, piuttosto, l’impossibilità di contaminazione culturale reciproca dovuta all’arroganza menzognera dello yankee e forse del colonialismo occidentale intero.
Musicalmente il maestro toscano adottò il 3/4 per le esibizioni muscolari dell’occidente, mentre Il tempo 2/4 caratterizzava le melodie orientali, per lo più ispirate a canzoni che la Jacco e la Oyama gli avevano cantato e del cui testo l’ottimo Giacomo si curava ben poco se è vero che la preghiera di Suzuki (un miscuglio tra Buddismo e scintoismo) del secondo atto è splendidamente derivata dalla canzone “Takai Yama” che tratta di …. “cetrioli e melanzane”.
L’opera “giapponese” di Puccini è più convenzionale di quanto si possa immaginare se si escludono gli aspetti formali che vedono prevalere le forme aperte, anche le romanze più celebri (“Un bel dì vedremo” e “Addio fiorito asil”) e il suggestivo “Coro a bocca chiusa” non si preoccupano di conservare la continuità contestuale.
Pinkerton viene tratteggiato come uno spregevole cow-boy della marina statunitense, lo pensiamo maturo se non attempato e sulla sua condotta aleggia una ripugnante aria di pedofilia: la sua “sposa” giapponese, ci informano tanto la tragedia teatrale quanto il libretto del melodramma, è appena quindicenne!
Si ascolti “Dovunque al mondo lo Yankee vagabondo” per comprender quale considerazione e rispetto egli avesse per le donne “non americane” ma pensiamo anche per le non WASP (bianche, anglosassoni e protestanti) !
Lo stesso soprannome Butterfly rimanda inequivocabilmente tanto alla farfalla come effimera e leggiadra creatura degna di un ornamento per un vaso o una seta del sol levante, quanto ad un oggetto da collezione da infilzare con un spillo in un quadretto: Cio-cio-san: “Dicon che oltre mare/se cade in man dell’uom,(con paurosa espressione)/ ogni farfalla da uno spillo è trafitta /(con strazio)
ed in tavola infitta!”, ma Pinkerton aveva già manifestato le proprie intenzioni :”qual farfalletta svolazza e posa / con tal grazietta silenziosa / che di rincorrerla furor m’assale /se pure infrangerne dovessi l’ale”
La trama sarebbe piuttosto semplice, l’origine della tragedia è l’abbandono di una giovane donna da
parte di un uomo amato, ma ciò che costituisce il tratto originale in Butterfly è che quest’ ultimo non è un eroe come Teseo o Giasone, chiamato a grandi imprese mitologiche, ma un pusillanime, vigliacco ufficialotto che, terminata la “vacanza” erotica ( a spese del contribuente del suo paese, ndr) , torna in patria per sposare un’americana “vera” tutta chiome bionde, ciglia svolazzanti a incorniciare occhi blu d’ordinanza, dedita a sfornare bimbi stelle e strisce e immancabili torte di mele!
Al cospetto di un ceffo simile persino il sensale-ruffiano Goro, che pur traffica in geishe, acquista una parvenza di dignità: egli non mente circa il proprio mestiere e non adopera patrii vessilli a proprio vantaggio.
A ben osservare Illica e Puccini trattano con sufficienza e superficialità la cultura orientale, troppo spesso l’ingenuità di
Cio-cio-san viene rappresentata con una tale banalizzazione da lasciare sottintendere, con retrogusto razzista, una presunta limitatezza intellettiva della donna; la frammentarietà delle liriche, le espressioni di personaggi giapponesi, con un piede in una posticcia e inventata tradizione e l’altro ad accennare passi di danza a beneficio del trastullo degli occidentali “colti”, celano con qualche difficoltà un atteggiamento di sprezzante superiorità.
Quanta forzatura genetica, inoltre, nel presentare il figlio di Butterfly e Pinkerton come biondo con gli occhi blu; come se persino i cromosomi si fossero opposti all’ibridazione e da tale battaglia, ancora una volta, ne fosse risultata sconfitta, oseremmo dire annientata, la parte orientale, yin, femminile, subalterna! (“Chi vide mai a bimbo del Giappon occhi azzurrini? E il labbro? E i ricciolini d’oro schietto?”)
La difesa dell’onore occidentale viene affidata a Sharpless, console di Nagasaki, a cui il libretto offre qualche sporadico tratto di umanità e di coerenza ma sempre in salsa coloniale.
Limbica, inerte, e suo malgrado, invisa, la figura di Kate, la “vera ” americana che corre il rischio di cadere vittima di un discriminatorio eccesso di antirazzismo; troppo breve però la sua presenza nella vicenda perché possa efficacemente rappresentare quella che è un’altra vittima del machismo “stars and stripes” e con fardello della propria sterilità che la espone al ripudio.
Una specie di “buffo” da opera settecentesca risulta infine Yamadori, un ricco nobile vetusto signore, reduce da molti matrimoni che cerca di ottenere in sposa la giovane Butterfly, tanto prima che dopo le nozze con l’americano.
Di tutta l’opera senz’altro il momento più elevato è la fantasticazione di Mrs Cio-cio-san Pinkerton circa il ritorno dell’amato ufficiale; scritta nell’occidentale 3/4, Butterfly esordisce, come a voler chiedere complice conferma a Suzuki, con la prima persona plurale al futuro: “Un bel dì vedremo” per poi sostanziare un presente al singolare che viene dopo un avverbio che, viceversa, sposterebbe ad un ulteriore futuro: “E poi la nave appare, poi la nave bianca entra nel porto”, ma la dolcezza del ricordo, trasfigurata nella speranza, ricondurrà il tempo verbale ad un transitorio futuro seguito da un forzato presente, che nell’oscillazione pentatonico-tonale della melodia, sortisce l’effetto di un vento di morte su un freddo sudore: “egli alquanto in pena chiamerà, chiamerà: piccina mogliettina, olezzo di verbena: i nomi che mi dava al suo venire (a Suzuki) Tutto questo avverrà, te lo prometto. Tienti la tua paura,io con sicura fede l’aspetto”.
Magistralmente Puccini disegna con il suono del violino solo e dei clarinetti il “fil di fumo” sulle “onde” per attribuire alle viole e ai violoncelli il ruolo di rappresentare la nave che entra nel porto; la vuota desolazione di Cio-cio-san viene distillata nella nuda povertà armonica degli unisoni.
Qualcuno ha correttamente osservato il ritorno a quell’ atteggiamento giocoso infantile (espresso nel giorno delle nozze), rappresentato dagli “indovinelli” : “Chi sarà,. che dirà..”, sia espressione di un voler tornare indietro nel tempo; nello stesso momento in cui la donna abbandonata vuole autoconvincersi di un improbabile ritorno, introdurre un elemento di rimpianto e, forse, di rimozione.
Il successivo ristabilirsi del clima di attesa fiduciosa dopo il Fa acuto di “è venuto” propone il nipponico 2/4: la coppia si è ricomposta nella Terra del Sol levante, secondo la fantasia di Butterfly, e il clima musicale si adegua.
Capolavoro di retorica musicale anche la strutturazione di quel “per non morire al primo incontro” con la frammentazione al centro della frase che sembra affermarne l’epilogo fatale e persino allegorizzarne lo strumento: il pugnale.
Il finale tragico si presenta con un’altra reminescenza/rimpianto: Butterfly s’inginocchia di fronte ad
una statua di Budda; “Con onor muore chi non può serbar vita con onore.” è la frase che la protagonista legge incisa sul manico del pugnale con cui si taglia la gola, secondo quanto le regole orientali impongono alle donne a cui la parità è non è concessa nemmeno nell’atto dell’estremo sacrificio.

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