La leggerezza del musical“ Lady, be good!” di  Gershwin sulle scene del San Carlo di Napoli

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Il musical Lady, be good! dei celebri fratelli George e Ira Gershwin, dato al teatro San Carlo di Napoli giovedì 21 novembre scorso con repliche successive fino al 24 (abbiamo assistito alla replica della serata seguente alla prima) offre l’occasione di una rievocazione dell’epoca di evasione vissuta dall’America tra il termine del primo conflitto mondiale e il terribile momento della Grande depressione, seguito dalla successiva catastrofe del secondo conflitto mondiale. Così restano soprattutto nelle orecchie le accattivanti melodie, i ritmi danzanti, i colori sgargianti della produzione realizzata dal Teatro de la Zarzuela di Madrid con la direzione  musicale di Timothy Brock, la regia di Emilio Sagi e le coreografie di Nuria Castejon.
Tale musical, che data 1924, lo stesso anno della celebre Rhapsody in blue, fu il primo successo teatrale del compositore americano di famiglia  israelita costruito dai librettisti Guy Bolton e Fred Thompson, destinato primieramente ad altri due grandi artisti di origine ebraica, i  fratelli Fred e Adele Astaire quali primi interpreti che incarnarono anche sulla scena i due fratelli protagonisti dell’esile trama, Susie e Dick Trevor.
In tale lavoro il jazz invase il genere del musical, questa sorta di equivalente dell’operetta di oltreoceano, che traduceva lo spirito esuberante di una cultura giovane, eclettica e multietnica. La cifra elegante della pièce di Gershwin caratterizzata da un seguito di canzoni  garbatamente musicate  sui testi forniti dal fratello Ira, che si distinguono per i godibilissimi giochi di parole, l’attenzione alla costituzione “mono e bisillabica” della lingua inglese, lo slang che ben si sposa alla morbidezza e all’andamento della musica, ha trovato il suo corrispettivo nella regia equilibrata e senza sbavature di Sagi che ha messo in risalto di volta in volta, nella coralità del vivace movimento scenico, i singoli personaggi e i distinti pezzi musicali. Così, affidati ad un cast di specialisti, si sono susseguiti in maniera accattivante celebri brani quali, per citarne alcuni,  “Hang on to Me” (Appoggiati a me) che introduce il clima dell’opera interpretato dalla brillante e vocalmente dotata Jeni Bern e dal disinvolto Nicholas Garrett nel ruolo dei due fratelli, il  brano corale A Wonderful Party, ritmato ed evocante l’ultimo ballo alla moda degli anni venti, il charleston,  presente anche in seguito (in I’d Rather Charleston), quindi “We’re Here Beacause” (Perchè siamo qui) intonato dai personaggi Dayse (Susanna Wolff)  e il fidanzato Bertie (Jonathan Gunthorpe).
L’altra coppia  affidata a Manuela Custer (Josephine) e a Troy Cook (Watty Watkins) intona poi l’amabile “Nice Work If You Can Get It” (Bella cosa se ce la fai), canzoni spesso diventate cover dei grandi jazzisti ed entrate nel repertorio di cantanti come Frank Sinatra. Dominic Thighe impersona il ruolo di Jack Robinson, personaggio chiave della trama di cui si innamora la protagonista,  mentre la parte di Sherley Vernon, amata da Dick è Lynette Tapia. A completare il cast Francesco Cordell nei panni dell’amministratore legale Ronald Park). Tra le voci è da segnalare per impostazione e carattere timbrico quella di Troy Cook, mentre una bella prova ha fornito Carl Danielsen (Jeff White) in qualità di pianista intrattenitore e di ballerino di tip tap, nella migliore tradizione del musical. L’orchestra sancarliana traduce con spirito i giusti ritmi, le sincopi, i coloriti timbrici e i toni ora seducenti ora ironici del tessuto strumentale in equilibrio con le voci e con il movimento scenico guidata dalla bacchetta di Brock, cui forse non avrebbe nuociuto un pizzico di libertà e rilassamento maggiori, più affini all’anima di questo tipo di musica, sì “energica, rumorosa, impetuosa e perfino volgare”, citando lo stesso compositore nella sua definizione del jazz, ma anche carezzevole e morbida, nella scrittura levigata e ricercata di Gershwin. Emergono su tutti il sensuale brano “The Man I Love” intriso di blues e di malinconia, paradossalmente tagliata in altre storiche edizioni, ma presente nella versione sancarliana, l’ironica conclusiva Lady be good!  che dà titolo all’opera, il delicatissimo “Little Jazz Bird” (L’uccellino jazz), e, per il ritmo,  il vorticoso “Fascinating Rytme” (Ritmo affascinante).
Il corpo di ballo del Teatro San Carlo, diretto da Giuseppe Picone, ha eseguito vivacemente le coreografie che attraversano l’intero spettacolo, incastonate come un elemento un po’ separato dagli altri ingredienti del musical, genere per sua natura composito cui evidentemente la professionalità dei primi interpreti che riassumevano in sé contemporaneamente le arti di canto, recitazione e danza, offriva una versione irripetibile. Appropriati gli interventi del coro del Teatro presente in misura ridotta, guidato da Gea Garatti Ansini.
I colori accesi di scene e costumi rispettivamente di Daniel Bianco e di Jesús Ruiz  e le luci di Eduardo Bravo hanno contribuito allo smalto radioso dello spettacolo. Applausi calorosi di un pubblico soddisfatto.

Rosanna Di Giuseppe

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