Quanto variegato mondo in questa Lady, be good !

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È fortemente segnato da due coppie di fratelli di famiglie ebraiche la prima rappresentazione al Liberty Theater  di Broadway nel 1924 di “Lady, be good !”, una di autori, costituita da George e Ira Gershwin e l’altra di interpreti con Fred e Adele Astaire, facendoci immaginare una città sul quarantunesimo parallelo decisamente non antisemita: quella oltre Atlantico.
Che il suo titolo si scriva con o senza il punto esclamativo finale, c’è da esclamare di fronte a un simile poker di artisti e il successo ininterrotto di cui quel musical gode da quasi cent’anni conferma quanto meno il talento degli autori, benché Fred Astaire (nato con il cognome di Austerlitz da una famiglia di ebrei austriaci) nei decenni successivi si sarebbe, a prescindere, affermato come “il più grande ballerino nel cinema del XX secolo” secondo il giudizio di Rudolf Nureyev.
Quanto ai fratelli George e Ira Gershwin (nati rispettivamente come Jakob e Israel Gershowitz da una famiglia ebrea ucraino-lituana) la celebrità del primo è destinata a rimanere nella storia della musica.
La trama del musical del 1924 di Gershwin, che narra di vicende di cui protagonisti sono due fratelli, deve dapprima avere stimolato i due autori e poi suggerito un cast “familiare” per la prima newyorchese.
Ebbene, dopo il successo di My Fair Lady dello scorso anno, il Teatro di San Carlo mette in scena dal 21 novembre “Lady, be good!”, in una produzione del Teatro della Zarzuela di Madrid in prima esecuzione in Italia, con la regia di Emilio Sagi e la direzione di Timothy Brock.
Le coreografie sono di Nuria Castejon e saranno eseguite dal Balletto del Teatro di San Carlo, Daniel Bianco e Jesùs Ruiz firmano rispettivamente scene e costumi che avranno le luci di Eduardo Bravo.
Come quasi sempre accade nei musical nati per Broadway, sul palco agiranno degli specialisti come Nicholas Garrett (Dick Trevor), Susie Trevor, Jeni Bern (Susie Trevor), Carl Danielsen (Jeff White), Troy Cook (“Watty” Watkins).
La vicenda è ambientata negli stessi anni in cui il musical vide la luce, anche se molte sono state le reinterpretazioni e in questa produzione iberica il regista annuncia una New York rappresentata da colori e frenesia delle coreografie; un’America descritta da quattro ebrei mitteleuropei degli anni ’20 del novecento e riproposta da interpreti spagnoli del secolo successivo.
Una guerra, distante e poco partecipata dagli USA, era appena terminata, nuove e più gravi catastrofi si profilavano all’orizzonte e al decadentismo europeo l’America rispondeva con una vivace e multietnica trasposizione dell’operetta: il musical.

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