The Terror (prima stagione): la morte corre sul ghiaccio

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Nella primavera del 1845, il 19 maggio, due navi salpano dal molo inglese di Greenhite. Sono imbarcazioni gemelle, due bombarde risalenti al 1813, dall’alberatura ridotta e lo scafo robusto, originariamente impiegate nella guerra contro gli Stati Uniti (1812-15). Prima della partenza, hanno subito importanti modifiche che ne garantiscono la modernità: entrambe le navi possiedono un motore ausiliare a vapore, eliche e timoni di ferro, e persino un sistema di riscaldamento interno. Lo scafo, già destinato ad assorbire il rinculo dei mortai, è stato ulteriormente rinforzato con placche d’acciaio per navigare nelle regioni polari del globo; abbondanti razioni alimentari riempiono le cambuse, e tra le comodità disponibili a bordo, sono presenti librerie con oltre mille volumi; diverse attrezzature scientifiche, adatte alle misurazioni e alle esplorazioni, completano l’equipaggiamento. Si tratta insomma di velieri all’avanguardia, la quintessenza della flotta britannica.
Lo scopo del viaggio è tra i più ambiti: scoprire il mitico passaggio a Nord-Ovest, e cioè una rotta che, attraverso l’oceano Atlantico settentrionale, permetta di raggiungere il Pacifico senza dover circumnavigare l’intero continente americano (il canale di Panama verrà realizzato all’inizio del Novecento, quasi settant’anni dopo). Dall’eventuale successo dell’impresa si attendono enormi vantaggi economici e commerciali.
A capo della spedizione vi è l’ammiraglio Sir John Franklin, esploratore e comandante della Royal Navy, che sulla soglia dell’anzianità, vanta già tre viaggi compiuti nelle zone artiche. Le due navi si chiamano HMS – sigla che sta per His Majesty ShipErebus e HMS Terror.

François Etienne Musin, “La nave HMS Erebus tra i ghiacci”, 1846

Nomen omen: nella mitologia greca, Erebo nasce dal Caos, insieme alla sorella Notte, con la quale genera a sua volta Emera (il giorno), Etere (il cielo più alto), Ipno (dio del sonno), Caronte e le tre parche; per estensione, Erebo è anche il fondo tenebroso dell’Ade, ossia l’insieme delle lande sotterranee dove risiedono i morti, di cui parla ad esempio Virgilio nell’Eneide.
Pensati per incutere timore in battaglia, i due nomi sembrano preannunciare la tragica sorte a cui va incontro la spedizione di Franklin. I mari artici, infatti, intrappolano le navi in una morsa glaciale, costringendo gli equipaggi a una feroce lotta per la sopravvivenza. La Erebus e la Terror, con a bordo centotrenta uomini, dopo un ultimo avvistamento presso la baia di Baffin, scompaiono nel nulla. Solo recentemente, nel 2014 e nel 2016, a seguito di molte ricerche infruttuose, i relitti sono stati rinvenuti lungo la costa sud-occidentale dell’Isola di Re Guglielmo, nell’Arcipelago artico canadese.

Il relitto della HMS Terror, ancora in ottime condizioni

Errore umano o imprevedibile fatalità: quali le ragioni del disastro?
Nei centosessant’anni successivi alla scomparsa della spedizione, in molti si sono interrogati sull’argomento, e la vicenda è divenuta oggetto di varie teorie, tali da ispirare quadri, libri e documentari. Tra gli autori più recenti, lo scrittore statunitense Dan Simmons, nel romanzo The Terror (2007), ricostruisce gli avvenimenti con grande rigore storico, ipotizzando una serie di cause tanto naturali quanto sovrannaturali.
Al romanzo di Simmons fa riferimento l’omonima serie televisiva, The Terror (2018), ideata da David Kajganich (anche sceneggiatore per Guadagnino dei film A Bigger Splash e Suspiria) e distribuita da Amazon Prime Video. Ridley Scott vi partecipa come produttore esecutivo con la sua Scott Free Productions.

Il terrore del titolo, oltre a indicare una delle imbarcazioni, diviene allora l’impulso dominante nel cuore dei marinai, travolti da una natura vasta e inesplorata, uno scenario estraneo alle consolazioni dell’idillio e della pietà religiosa, dove tutto sembra tramare contro l’uomo. Ogni barlume di civiltà, presso le regioni polari, è condannato a regredire gradualmente, e infine a sparire sotto la gelida coltre di neve, con esemplare forza simbolica: il quadro di Caspar David Friedrich, Il mare di ghiaccio (1823-24), capolavoro del Romanticismo tedesco, sintetizza gli esiti di questa sconfitta, mostrando un vascello venire frantumato e sommerso da un tumulo di ghiaccio.

Caspar David Friedrich, “Il mare di ghiaccio”, 1823-24

Sospesa nel tempo e nell’immobilità, si spalanca una terra inospitale, una distesa arida e desolata, patria degli Inuit e di culti immemori nei quali il freddo, il sangue e la magia sciamanica si fondono insieme. È qui che il pioniere occidentale assiste con orrore alla punizione della sua superbia prometeica; qui l’ottimista vede annientate le “magnifiche sorti e progressive” dello Storicismo e del Positivismo; qui, immerso in un biancore immacolato, l’uomo spera ardentemente di ascoltare la voce di Dio, senza udire altro che un assordante silenzio; qui il conquistatore si scopre esposto alla violenza emanata non solo dall’ambiente, ma anche da se stesso: una volta crollate le gerarchie e le leggi della convivenza, una volta rovesciati gli equilibri e le fratellanze, resta valida l’unica regola, cruentissima, dell’homo homini lupus. Per quanto alcuni membri dell’equipaggio preservino la tempra più a lungo degli altri, ciò non basta a impedire l’imbarbarimento collettivo, dilagante come un’epidemia fisica e morale.

Illustrazione del Frankenstein a cura di Bernie Wrightson (1983)

Ai confini del pianeta, dove la Natura si riappropria dei suoi misteri, e dove la scienza sembra perdere appiglio ed efficacia, il terrore è il solo compagno di viaggio a non svanire mai. Un’ambientazione analoga, d’altronde, compare già nel Frankenstein di Mary Shelley (1818), con notevoli somiglianze tematiche e narrative: nelle prime pagine del romanzo, il giovane Walton, capitano di un vascello salpato dalla Russia, mira anch’egli a raggiungere il Pacifico settentrionale, mediante il cosiddetto passaggio a Nord-Est (impresa riuscita solo nel 1878-79). S’imbatte così nell’anziana figura di Frankenstein, che al termine di una lunga caccia forsennata, tenta in ogni modo di raggiungere la Creatura per vendicarsi della sadica persecuzione subita in gioventù. Accolto a bordo, lo scienziato racconta le vicissitudini della propria vita; intanto la nave resta bloccata tra i ghiacci, e il capitano rischia l’ammutinamento. Alla fine, compreso il valore della testimonianza di Frankenstein, Walton accetta d’invertire la rotta, non prima che la Creatura sia apparsa in lacrime sulla salma del proprio creatore.
Luoghi estremi, insomma, evocano azioni estreme, e con esse scatenano la minaccia del sovrannaturale.
Anche prima della Shelley, le alte latitudini si associano a diverse entità fantastiche: nella Ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge (1798), l’assassinio dell’albatros avviene nell’Antartide, dove i mari brulicano di spiriti che non tardano a punire il sacrilegio. Altri autori ne seguono il modello, in particolare Edgar Allan Poe (Storia di Gordon Pym, 1838), che al termine di molte peripezie marittime, fa approdare il protagonista al Polo Sud, dove una surreale presenza bianca sfila avvolta in un sudario (dopodiché la narrazione, già rarefatta, s’interrompe bruscamente). Jules Verne e H.P. Lovecraft recuperano a loro volta quel tipo di suggestione, rispettivamente nei romanzi La sfinge dei ghiacci (1897) e Alle Montagne della follia (1936); mentre la celebre balena di Herman Melville, col suo colore spettrale, ne costituisce un’ulteriore declinazione estetica (Moby Dick, 1851).


Assorbendo questi motivi, The Terror li arricchisce di echi letterari e cinematografici: il massacro che decima la ciurma britannica, di cui è responsabile una mostruosa creatura appartenente alla mitologia eschimese, ricorda ad esempio la sanguinosa traversata della Demeter su cui viaggia nascosto il conte Dracula, o le raccapriccianti apparizioni di mostri e lamie nei racconti di William Hope Hodgson. L’orrore va distillandosi poco alla volta, senza mai rinunciare alla raffinatezza formale, con tempi lunghi dai quali l’inquietudine dello spettatore esce vertiginosamente rafforzata.
Se ne ottiene così una perfetta immagine del Sublime definito da Edmund Burke, e cioè una sensazione di “dilettoso orrore” sperimentata sull’orlo dell’abisso. Il Sublime sgorga infatti dal terrore, ma perché esso sia davvero tale, occorre rispettare una certa distanza di sicurezza che preservi l’incolumità dello spettatore; e questa distanza è garantita dall’Arte. Grazie allo sforzo eroico della lotta, su cui la Storia proietta un soffuso alone di solennità, gli eventi ci seducono con la loro efferatezza, mostrando ciò che, a distanza ravvicinata, rifiuteremmo in preda allo sgomento.

L’alto budget della serie televisiva, targata AMC, favorisce una messa in scena tra le più pregevoli e accurate. Un lavoro capace di valorizzare ogni piccolo dettaglio scenografico delle imbarcazioni, dagli alloggi del comandante ai dormitori dell’equipaggio, dall’infermeria alla cambusa, dai corridoi alla sala macchine, fino all’intero ponte di ciascuna nave. La dimensione interna degli spazi si contrappone a quella dei set esterni, alcuni ricostruiti in un teatro di posa con l’ausilio del green screen, altri situati sull’isola di Pago, in Croazia, i cui paesaggi deserti replicano luoghi e scenari del Circolo Polare Artico. Eppure, tanto a bordo dei vascelli, quanto sulla terraferma, la morte resta sempre in agguato.

Nonostante il gran numero di figure maschili, è difficile confondere volti o caratteri, poiché ogni personaggio, sorretto da un’eccellente interpretazione, possiede una concretezza che lo distingue dagli altri. La maschera severa dell’ammiraglio Franklin (Ciarán Hinds), ad esempio, ben s’accompagna alla sua devozione religiosa e al carisma esercitato sugli uomini; il sorriso gentile del dottor Henry Goodsir (Paul Ready), lo sguardo orgoglioso del comandante James Fitzjames (Tobias Menzies) e il ghigno malevolo di Cornelius Hickey (Adam Nagaitis) risaltano ugualmente; ed anche i personaggi minori appaiono connotati in modo efficace. Ma ad attrarre le nostre simpatie è senza dubbio il capitano Francis Crozier (Jared Harris), del quale seguiamo la complessa evoluzione psicologica, segnata da una costante malinconia, dalla paura e dalla titubanza, e poi dalla rinascita, dal coraggio e da una sofferta umanità.
The Terror è una serie antologica, per un totale di dieci episodi: nell’ultimo, si conclude la storia.
Alla prima stagione è seguita una seconda, distribuita nel 2019, che però non ha alcun legame con la precedente.

Emanuele Arciprete

THE TERROR

Voto: 8½ / 10

 

Anno: 2018
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Ideatore: David Kajganich
Soggetto: Dan Simmons
Regia: Edward Berger, Sergio Mimica-Gezzan, Tim Mielants
Sceneggiatura: David Kajganich, Soo Hugh, Gina Welch, Josh Parkinson, Vinnie Wilhelm, Andres Fischer-Centeno
Musiche: Marcus Fjellström
Interpreti: Jared Harris, Tobias Menzies, Paul Ready, Adam Nagaitis, Ian Hart, Nive Nielsen, Ciarán Hinds
Genere: Horror

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About Author

Nato nel 1990, napoletano di nascita, bolognese di adozione. Cinema, Musica e Letteratura costituiscono il centro gravitazionale di tutte le mie attività materiali e spirituali.

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