Il primo secolo di vita della Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella

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Possiamo fare risalire la fondazione della Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli al 1791 ad opera di Saverio Mattei, archiviario del Conservatorio della Pietà dei Turchini, che, prima dell’interessamento di Mattei, era sprovvisto di una biblioteca.
E possiamo considerare quasi completamente formata la parte storica della Biblioteca (con l’unica eccezione del fondo della Cappella Reale, importante repertorio di musica sacra ottocentesca acquisito nel 1940) con l’attività di Florimo e quindi nel primo secolo di vita dell’istituzione.
L’indagine sulla costituzione dei vari fondi non è agevole dal momento che il principio della catalogazione per generi e, all’interno di questi, per autore, ha rappresentato una sorta di shaker che li ha, talvolta irragionevolmente, smembrati. Sappiamo di certo, che il nucleo primitivo (di cui Mattei stesso parla nella sua Memoria del Consigliere Saverio Mattei delegato del Conservatorio della Pietà dei Turchini, del 1795), originatosi dalle donazioni dello stesso Mattei, nonché dai primi apporti di Sigismondo, constasse di circa 400-450 unità e che dovette arricchirsi, fino a raggiungere 650 titoli, per l’apporto del fondo acquisito da Maria Carolina d’Austria e per i molti manoscritti confluiti in seguito all’editto reale del 1795, sollecitato da Mattei, che imponeva agli impresari di depositare copia delle partiture delle opere rappresentate nei teatri napoletani. Verosimilmente poi, il nucleo originario (riportato nel catalogo della biblioteca della Pietà dei Turchini, del 1801, Indice di tutti i libri, e spartiti di musica che conservasi nell’archivio del Real Conservatorio della Pietà dei Turchini) derivava, inoltre, dalle donazioni di donatori «De’ sovrani ad esempio altri con danaro, altri con libri s’han subito anticipato il piacere di accrescer la nascente musica biblioteca» purtroppo rimasti anonimi «perché illodabil cosa è il pubblicare quanti pochi in una così popolata città sien coloro, i cui cuori ben fatti vogliano imitare le virtù de’ sovrani». Così dovette avvenire per il corpus dei manoscritti seicenteschi, una quarantina di opere insieme ad un numero non precisato di arie e di cantate, probabilmente appartenenti alla collezione di qualche amatore, successivamente acquistata da Mattei; si tratta comunque della quasi totalità del materiale seicentesco attualmente conservato, con poche eccezioni tra cui il codice napoletano dell’Incoronazione di Poppea. A suffragare la tesi delle donazioni alcuni indizi non banali: tre codici con segnatura Cantate 50, Cantate Ibride 16 e Arie 140, che riportano un repertorio abbastanza omogeneo, dello stesso formato piuttosto anomalo, redatti dallo stesso copista e recanti sulla prima carta rispettivamente le scritte Tomo I, II e III; ancora la circostanza che un gruppo di manoscritti della seconda metà del Seicento, che riporta di stessa mano diversa da quelle varie che redigono il testo musicale, la nota di possesso Del Sig.r Don Andrea di Gennaro. Nota di possesso che fu però scambiata per un’indicazione di autore, e troviamo così in una delle poche pagine superstiti del catalogo manoscritto del Real Collegio di Musica di San Sebastiano, redatto nel 1823 e giuntoci purtroppo talmente mutilato da essere quasi inutilizzabile, la generica attribuzione a di Gennaro di 14 manoscritti di arie e cantate antiche. In realtà i manoscritti che recano la nota di possesso sono soltanto sette dovendo sottrarvi quei codici su cui Francesco Rondinella, aiuto bibliotecario di Florimo, ha apposto di suo pugno l’attribuzione a di Gennaro, ritenendolo evidentemente un compositore. È stata recentemente rinvenuta notizia, della donazione del fondo Don Andrea di Gennaro, avvenuta nel 1795, da parte del Duca di Cantalupo (uno dei feudi della famiglia di Gennaro) che racconta di «Una collezione di musica antica, raccolta e trasmessagli da un suo antenato, buon conoscitore dell’arte».

Sigismondo è, senz’altro, il bibliotecario che, assieme a Florimo ha lasciato maggiori tracce della sua presenza: 100 libri di madrigali autografi delle sue composizioni (che dovrebbe corrispondere quasi completamente all’attuale fondo madrigalistico della biblioteca) gli autografi delle sue composizioni e la sua preziosissima collezione di manoscritti.
Quest’ultima merita la massima attenzione per quei numerosi manoscritti copiati da Sigismondo stesso, probabilmente a partire dagli anni di studio, ma poi lungo tutta la sua vita; sono frequenti le attestazioni di donazione di pugno dello stesso Sigismondo.
La prima importante acquisizione, quasi contemporanea (1795) alla fondazione ufficiale della biblioteca, ovvero quella della collezione di Maria Carolina d’Austria consta di circa 170 titoli, quasi tutti i manoscritti e in massima parte opere rappresentate al Teatro San Carlo di Napoli, ma non solo.
«Quindi siccome si soglion presentare specialmente di spartiti del Real Teatro di San Carlo alla M. della Regina, che unisce agli infiniti suoi pregi la non leggera cognizion della musica, così se la M. S. ne ha qualcheduno che non degna più dei suoi Reali sguardi, e volesse passarlo alla biblioteca musica della Pietà, contribuirebbe anche per questa parte ad aumentarla, mentre i tali spartiti rimarrebbero sempre a disposizione dell’amabilissima sovrana». Anche se il catalogo della musica donata dalla regina di Napoli è andato purtroppo perduto, dal momento che sull’inventario della Pietà dei Turchini i volumi sono contrassegnati dalla sigla S. M. (Sua maestà) la ricostruzione del fondo è abbastanza agevole. I volumi sono riccamente legati in marocchino di vari colori con decorazioni in oro, sulle coste originali, alla fine del XIX secolo, ne è stata applicata un’altra in tela verde con le indicazioni di titolo, autore ed un giglio (simbolo dei Borboni), che, assieme alla caratteristica rilegatura, ne consente la riconoscibilità a prima vista. È evidente, seguendo date e luoghi di rappresentazione delle opere, che i manoscritti abbiano accompagnato Maria Carolina in pratica per tutta la vita: si parte, infatti, da titoli relativi ad opere rappresentate a Vienna negli anni intorno al 1760, quando la futura regina di Napoli aveva appena otto anni, ma era già dedicataria ed esecutrice di componimenti d’occasione di Hasse, per continuare con partiture di rappresentazioni milanesi e veneziane del 1767 evidentemente acquistate o avute in dono durante il viaggio da Vienna a Napoli (il matrimonio con Ferdinando IV avvenne per procura nel marzo 1768), ad arrivare al grosso della collezione che copre quasi venti anni di rappresentazioni del Teatro San Carlo.

Un ricchissimo patrimonio di autografi costituisce uno dei principali vanti della Biblioteca. La collezione, iniziata ad opera dei suoi predecessori, è andata arricchendosi in maniera esponenziale durante l’Ottocento per l’instancabile opera del bibliotecario Francesco Florimo. Furono da lui acquisiti interi fondi di compositori, come gli autografi di Domenico Cimarosa, acquistati dal figlio Paolo, e quelli di Giovanni Paisiello, parimenti acquistati dagli eredi e, inoltre, gli originali delle composizioni di autori quali Piccinni, Pergolesi, Sarro, Vinci, Leo, Porpora, Durante, Jommelli, Tritto. Furono in tal modo assicurati alla Biblioteca capolavori della Scuola napoletana del Settecento quali Il matrimonio segreto di Cimarosa, Nina pazza per amore di Paisiello, Cecchina o la buona figliola di Piccinni, Il Flaminio di Pergolesi, Le Zite ‘ngalera di Vinci. Ugualmente all’opera di Florimo ed al prestigio che già nell’Ottocento egli era riuscito ad assicurare alla Biblioteca, si devono le acquisizioni di partiture autografe di compositori quali Rossini (La Gazzetta, Ricciardo e Zoraide), Bellini (Il Pirata, Zaira), Donizetti (tra le molte: Roberto Devereux, L’elisir d’amore ), Verdi (il celebre Quartetto per archi). Nella compilazione La Scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori 1881 di Florimo, continuando la disamina, si incontra il nome di Giovanni Carafa, duca di Noja e Governatore del Conservatorio. Il suo apporto alla Biblioteca consistette di soli manoscritti dal valore qualitativo elevato, alcuni pezzi sembrano acquistati sul mercato antiquario forse proprio con lo scopo della donazione.
Altre donazioni, soprattutto arie d’opera della metà dell’Ottocento, vennero da un altro duca di Noja, Pompeo Carafa. Le due ultime raccolte cui rivolgeremo attenzione, sono quelle di Pasquale Caracciolo marchese di Arena e di Clotilde Capece Minutolo, si tratta di materiale della metà del XIX secolo. La collezione del marchese di Arena e di sua moglie Eleucalia, acquisita non prima del 1882, è composta per la maggior parte di arie di opere rappresentate a Napoli e fornisce uno spaccato dei gusti musicali di un amatore e collezionista dell’Ottocento. Le indicazioni sulle copisterie ci parlano di quattro o cinque di queste che gravitavano attorno ai teatri cittadini, ma ciò che colpisce è la fiorentezza della copiatura artigianale ancora dopo la metà del secolo. Più composito il fondo Capece Minutolo, acquisito dalla Biblioteca nel 1882 «formato con indicibile cura dall’ottimo maestro Giuseppe Balducci e dalle sue tre allieve: Paolina, Adelaide e Clotilde Capece Minutolo», come apprendiamo dall’inventario redatto dall’ultima proprietaria Clotilde. Alla componente collezionistica si sommano, per questo fondo, quella della musica da studio e da esecuzione, durante le serate musicali in casa Capece Minutolo: partiture complete di opere, musica strumentale sacra, arie sciolte. La formazione data alle tre sorelle da Giuseppe Balducci doveva essere stata esente da pregiudizi italianistici, vista la cospicua presenza di classici viennesi, evidente anche un certo interesse per la musica del passato. La Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella conferma, com’è naturale, di essere sempre stata specchio fedele della vita musicale napoletana, e la ricchezza di quest’ultima si riflette nella enorme quantità di materiale eterogeneo accumulato nel corso dei secoli.

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