Lucia di Lammermoor al TCBO: Un cast vocale eccellente evita lo schianto

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«Raggiungete l’uscita e gonfiate il salvagente solo prima di abbandonare l’aereo, tirando le maniglie rosse».
Non credo che nessuno di noi si sia mai sentito rassicurato dalla liturgia del decollo. Meglio non pensare che l’aereo su cui si è seduti possa avere anche solo un’infinitesimale possibilità di ammaraggio.
Se già parti con un motore in avaria, però, tutti i mezzi di riduzione del rischio diventano vitali e confortanti. Allora meglio prestare attenzione.
È il caso della Lucia di Lammermoor del TCBO su cui siamo saltati a bordo last call, solo per l’ultima recita dello scorso 25 Febbraio.
«Vi raccomandiamo di tenere allacciate le cinture per le turbolenze sul percorso, a nome di tutto l’equipaggio vi auguro buon viaggio».
Parliamo del motore rotto. Cosa ci lascia perplessi della lettura di Daniel Oren, sono innanzitutto i tagli, sebbene ampiamente frequentati.
Aver privato la vicenda del duello tra Lord Enrico ed Edgardo ha reso incomprensibile lo sviluppo drammatico di tutto il secondo atto.
Vero è che il taglio della scena della torre è di tradizione, ma se Tenore e Baritono non fanno a botte qualcosa si perde, anche nei film di Bud Spencer e Terence Hill, figuriamoci nel dramma operistico.
Difficile valutare la regia di Jacopo Spirei, a cui concediamo il beneficio del dubbio. Forse nel contesto originario di Bergamo, senza i tagli e con il libretto in francese, avrebbe trovato maggior compiutezza. Inoltre, aver voluto incastrare ad ogni costo l’elemento di denuncia woke è risultato un po’ forzato. Perché, se è vero che Lucia risulta costretta in questo gioco maschile di potere, è altrettanto vero che la scena degli abusi nel bosco, con tanto di guantino in lattice nero, è, non solo esteticamente abusata ,ma anche avulsa alla narrazione.
In Spirei, Lucia diventa voce di tutte quelle donne che non possono scegliere, vessate dal potere maschile. Che barba, che noia! Che noia, che barba! Ma tant’è che -oggi- dell’elemento ideologico alla moda non si può trascendere, anche se si finisce di perdere di vista lo sviluppo tragico del libretto o il messaggio universale (che nasce femminista antelitteram, anche senza riletture che ammiccano ad un certo ideologismo pop). Non che sia sbagliato secolarizzare il messaggio, attualizzando una vicenda per provocare le coscienze. Se lo si fa senza forza, però, si rischia di aggiungere agli annali solo un dimenticabile elemento di costume. Ai posteri l’ardua sentenza. Tralasciando la modalità, salviamo solo l’intenzione di dar impulso ad un condivisibile elemento di denuncia sociale.
In questa confusione narrativa anche i costumi di Agnese Rabatti sono sembrati incoerenti.
Sarà che l’uso ormai abusato degli abiti scuri tipo Man in Black sembra sempre più nascondere una certa pigrizia creativa, così come l’Edgardo in chiodo e t-shirt bianca a mo’ di giovinastro di periferia non sembra una gran trovata. In mezzo a questi elementi, spunta un po’ a casaccio un Kilt, a ricordarci che siamo nella Scozia di fine sedicesimo secolo. Si chiude con la carcassa spoglia di una Lancia Thema, a cui si da fuoco a fine secondo atto…con un discutibile gioco di luci a simulare l’incendio.
Quanto descritto avrebbe fatto schiantare qualsiasi vettore, se non fosse stato per l’eroico lavoro dell’equipaggio. In pratica, quando tutto viene meno, se hai un cast vocale di altissimo livello ed un direttore che si riscatta nella gestione musicale, nulla può andare male. Ed infatti -nonostante i presupposti – è andata più che bene.
Jessica Pratt nel ruolo eponimo si carica la recita sulle spalle, forte di una mastodontica presenza scenica che compensa la debolezza registica di cui abbiamo già accennato.
I numeri musicali sono magistrali, sia nella cabaletta del primo atto che nella temibilissima scena della pazzia nel secondo. Sottolineata da applausi scroscianti, l’intensa e virtuosistica “Ardon gl’incensi”, accompagnata dalla glassarmonica di Philipp Marguerre.
Altrettando solido è l’Edgardo di Iván Ayón Rivas che – per voce – è artefice di una prova attoriale credibile nonostante la mise indossata. Vocalmente ha un timbro scintillante che riesce ad ammansire di mille sfumature. I duetti con la Pratt sono eccellenti per l’equilibrio di volumi ed affinità di timbro.
Se non è amore questo!
Bella la proiezione vocale di Lucas Meachem, il cui Enrico riempie il palco per stazza e la sala per emissione vocale.
Infine, sebbene autore di una parte penalizzata dai tagli, Marko Mimica è un Raimondo dal bel timbro Bene gli altri.  Lord Arturo Bucklaw di Vincenzo Peroni, Alisa di Miriam Artiaco ed il Normanno di Marco Miglietta. Bene – come al solito – il coro di Gea Garatti Ansini.
Di Oren abbiamo già detto. Come spesso accade, talvolta non ne comprendiamo le scelte ma alla fine si fa sempre perdonare per qualità musicale e sapienza concertativa.
Che dire, alla fine sono applausi. L’aereo tocca terra nonostante tutto.
«Abbiamo raggiunto l’aeroporto di destinazione. Fuori c’è il sole».
Baciamo terra.

Ciro Scannapieco

Foto Andrea Ranzi

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