Trio Metamorphosi a Palazzo Reale

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Appuntamento di assoluto rilievo musicale, che ha visto protagonista  quello che è oggi  riconosciuto come uno dei Trii più importanti della scena nazionale, il Trio Metamorphosi,  con Mauro Loguercio al violino, Francesco Pepicelli al violoncello e Angelo Pepicelli al pianoforte, mercoledì 22 marzo 2017  al Teatro di Corte di Palazzo Reale, nell’ambito  della stagione concertistica dell’Associazione Scarlatti.  Il Trio Metamorphosi, ex   Trio Modigliani,  ha cambiato  nome quasi a voler denotare «un inno al processo continuo di cambiamento, così necessario in ambito artistico, e che intende sottolineare il processo di crescita di un complesso cameristico mai schiavo dell’abitudine, anzi, sempre pronto a mettersi in gioco con la volontà di creare prospettive di unicità in ogni performance»  spiegano gli artisti.
Un Trio  di grande notorietà e di notevole spessore artistico, costituito da interpreti appassionati del repertorio romantico: i tre musicisti hanno scelto, infatti,  un programma  monografico dedicato a  Robert Schumann, «semplicemente perché è un’esigenza vitale della nostra ricerca e crescita artistica», come hanno riferito durante un’intervista, che ha previsto, oltre che un caposaldo  del repertorio ottocentesco per trio con pianoforte, il Trio n. 1 in re minore op. 63,   da considerarsi capolavoro della maturità cameristica schumanniana, nonostante sia il primo da lui composto, anche  il Trio n. 2 in fa maggiore op. 80 e i Phantasiestücke  op. 88 n. 4, in prima esecuzione assoluta a Napoli e che non si ascoltava  nelle sale da concerto da oltre 150 anni.
Phantasiestücke, oggetto,  insieme a una composizione giovanile di L. Bernstein, del doppio  bis richiesto a gran voce dal pubblico entusiasta,  originariamente,  erano stati concepiti come pezzo conclusivo di un primo Trio di Schumann ma   mai  pubblicato dal compositore in quanto risultava sbilanciato rispetto al resto della composizione, poiché  durava ben 12 minuti.  Schumann lo pubblicherà anni dopo,  avendolo accorciato di 6 minuti  e rendendolo formalmente perfetto, «un  ponte fra lo straordinario decennio giovanile e quello più equilibrato della maturità».
E  al Trio Metamorfosi è toccato l’onore di aver realizzato  la prima registrazione mondiale di questo pezzo nel CD della Decca che è stato pubblicato nell’ ottobre 2016 come secondo capitolo dell’esecuzione integrale delle opere per trio di Schumann. Insieme al quartetto d’archi,  il Trio con violino, violoncello e pianoforte è stimato essere la seconda forma cameristica per eccellenza. Molti compositori vi si sono infatti cimentati basando le loro creazioni sulla prevalenza dello strumento a tastiera che funge da terminale di congiunzione tra i due archi dalle sonorità agli antipodi.
E  Robert Schumann è  uno di questi. I  Trii costituiscono un aspetto significativo della sua  personalità  e sintetizzano  la modalità di  composizione  dell’artista, che si avvicina certamente al modello beethoveniano di questo genere musicale, evidenziando, però,  una più articolata e asimmetrica struttura armonica e contrappuntistica, rispetto «all’impeto giovanile ed immortale» delle sue prime composizioni  pianistiche .
È noto che Robert Schumann affrontò per gradi la composizione dei diversi generi musicali. Pianista per rivelazione e predestinazione iniziale, egli, nei suoi primi dieci anni di attività creatrice, dal 1830 al 1840, non scrisse che per il pianoforte. Nel 1840 non appena coronato con il matrimonio il suo lungo e travagliato  romanzo d’amore, Schumann si accosta al Lied per canto e pianoforte; l’anno seguente alla Sinfonia per orchestra e infine, nel 1842, alla cosiddetta musica da camera. Più tardi verranno poi l’oratorio profano, la Messa e l’opera.
Il Trio in re minore op. 63  e l’altro in fa maggiore op. 80 risalgono, entrambi, al 1847.
Una lunghissima evoluzione aveva reso l’antica Sonata a tre un efficacissimo mezzo di espressione romantica: le tre individualità del violino, del violoncello e del pianoforte si erano andate definendo  sempre meglio, dando vita a quella  Forma-Sonata successiva all’avvento di Ludwig van Beethoven.
Il Trio in re minore venne composto nel mese di giugno del 1847, quando l’artista si era trasferito a Dresda, tra varie vicissitudini familiari anche negative, come la morte del figlio Emilio di un solo anno. In esso si possono ritrovare tutte le caratteristiche essenziali dell’arte schumanniana in  un periodo di singolare vigore creativo: il secondo tema cantabile nel primo «tempo» o  alcune dissolvenze sonore nel terzo, ci presentano uno  Schumann che, in realtà,  non ebbe più seguito.
Molti pensano, infatti,  che, fra i tre Trii di Schumann, quello più ricco d’invenzione, di spontaneità e di libera fantasia sia proprio il primo, op. 63.
Ma sicuramente anche  nel trio n. 2  op. 80, dello stesso anno,  si riflettono i vari stati d’animo dell’artista, secondo un modo di sentire che fu tipico del compositore romantico che  non ha  più una visione classicistica e razionale dell’arte, ma segue sensazioni e sentimenti dettati dall’esigenza creativa del momento, pur nel rispetto di un linguaggio che ubbidisce ad una forma e ad una architettura sonora  ben distanti  dal virtuosismo, dal facile effetto e dalla  superficialità. Indubbiamente, un genere di musica destinata, più che agli amatori, ai musicisti: lo Schumann cameristico sembra scendere nelle parti più intime della musica stessa, quasi a voler risvegliare gli elementi più segreti della propria sensibilità, per comunicare agli altri sentimenti ed emozioni, alla ricerca di autentici valori espressivi.

Katia Cherubini

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