Quanto vale un nichelino? American Buffalo al Teatro Bellini di Napoli

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Il dramma di David Mamet scritto nel 1975 e del quale si ricorda anche una trasposizione cinematografica con Dustin Hoffman, è stato rielaborato da Maurizio de Giovanni e ambientato magicamente non più in un “junk store“ americano, ma in una “puteca” (bottega in dialetto napoletano)  di un rigattiere nella Napoli contemporanea per lo spettacolo “American Buffalo” in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 14 al 19 novembre, produzione Teatro Eliseo di Roma.
Lo scena molto bella, curata da Carmine Guarino, è infatti una delle tante botteghe di robivecchi che ancora è possibile trovare a Napoli, a ridosso di via Toledo, nei quartieri Spagnoli, o lungo Via Foria nei pressi della Sanità….uno spazio polveroso, pieno di oggetti più o meno inutili, in genere recuperati da cantine che i proprietari intendono svuotare. Un luogo improbabile, dove il tempo si è fermato, dove si può trovare di tutto e dove ci si può perdere. Trasuda vite passate questo spazio, vite finite e dunque dimenticate…come gli oggetti che si accatastano polverosi sugli scaffali di metallo, oggetti ormai ritenuti inutili e quindi buttati.
Lo slang yankee viene sostituito da una lingua napoletana popolare che nulla  sottrae al ritmo e alla musicalità del testo originario, arricchendo, viceversa,  di colori e di sfumature i dialoghi dei protagonisti.
La velocità delle espressioni, la possibilità immensa che possiede il dialetto napoletano di riassumere in una parola un intero universo di emozioni, vengono felicemente evidenziate nel lavoro di de Giovanni, che va molto oltre la “traduzione”  per reinventare un testo giocato in una lingua che unisce due mondi apparentemente distanti, ma in realtà molto simili per le reazioni viscerali, per l’energia che emanano e l’infinito mare delle possibilità.
Napoli è la città del possibile, a Napoli può nascere e morire un sogno, ma si può sognare….
Una moneta da mezzo dollaro,  raffigurante un bisonte (l’American Buffalo del titolo) è  diventata l’ossessione di Donato , detto Don, il proprietario di un negozio di robivecchi.
Ha venduto questa monetina ad un cliente, probabilmente un collezionista, per una cifra che ritiene irrisoria e da quel momento vive nell’angoscia di essere stato imbrogliato e progetta in tutti i modi di riappropriarsi dell’oggetto.
Con la complicità del giovane Robbi, suo protetto, e di un amico, compagno di poker, ‘O professore , ordirà quindi un piano per rubare e riavere l’American Buffalo.
Questo dunque l’inizio, una bottega da rigattiere, tre personaggi che vivono un’ esistenza chiusa al mondo, di grande solitudine, deformata dalla loro marginalità.
Il rigattiere Don, interpretato da un meraviglioso Tonino  Taiuti,  vive rinchiuso nella sua  bottega , preso dai suoi miseri traffici.
Tutto il suo mondo ruota intorno al povero commercio e ai soldi che avidamente riesce a racimolare, nella convinzione di dover sempre “fare l’affare”, di essere più furbo, di trarre vantaggio da qualsiasi situazione. La sua passione è tutto ciò che è americano, si veste come uno hippie, ascolta il blues, ne raccoglie spasmodicamente gli oggetti.
A un certo punto però qualcosa va storto , qualcosa inceppa il funzionamento di questa esistenza autistica : Don è stato (o pensa di essere stato) truffato e l’equilibrio del suo piccolo mondo incomincia ad incrinarsi. Ha venduto una monetina, una piccola insignificante moneta americana, senza immaginare quale valore potesse avere e il dubbio lo logora, si sente tradito e ingannato, vuole la sua rivincita, riavere l’American Buffalo e riaffermare il controllo nella sua esistenza.
Perché di questo si tratta , aver costruito un’esistenza arida, di solitudine, senza affetti, ai limiti dell’emarginazione ma con argini ben definiti dal calcolo, dall’interesse , nella sicurezza di non aver mai rischiato nulla. Ed ora qualcuno sembra averlo truffato…quanto avrebbe potuto ricavare dall’American Buffalo? Quanto vale?
Non  lo saprà e non lo sapremo mai, perché a questo “quanto vale” si lega il significato delle stesse vite dei tre protagonisti, si lega il significato dell’amicizia, del tradimento, del dubbio, della paura, dell’inganno…
Il dubbio avrà il sopravvento e così il giovane Robbi, un ragazzo tossicodipendente che Don ha preso sotto la sua benevolenza, interpretato dal bravissimo Vincenzo Nemolato,  inconsapevolmente diventerà prima complice e poi vittima dei piani del rigattiere: neanche di lui ci sarà più da fidarsi,  le sue risposte sono evasive o sembrano tali,  forse ha parlato con altri e questi hanno già provveduto a rubare la preziosa moneta. Ma perché lo ha fatto? Perché ha bisogno sempre di soldi probabilmente o…..perché anche lui vuole un ruolo , un ruolo qualsiasi purché riempia di senso la sua esistenza a cui una società distratta non attribuisce alcun peso. E per avere valore bisogna aggrapparsi ad una progettualità, avere uno scopo, qualsiasi esso sia  Ora lo scopo c’è, riavere la moneta e forse, attraverso questa, rivendicare l’affetto di Don, suo mentore malgrado tutto, e la sua stima.
Terzo ma non ultimo , ‘O  professore, un incredibile e irriconoscibile Marco D’Amore, che cura anche una attenta regia, compagno di poker del rigattiere, alcolizzato, ai limiti della psicosi. Anche O professore vuole riaffermare un suo ruolo e un suo valore, così si offre di andare a rubare la moneta penetrando nella casa del collezionista. Ma lui vuole essere anche l’amico di Don, il vero e solo amico, l’unico complice, quello che “vale”….
Non esita dunque ad insinuare i sospetti sul tradimento di Robbi, sulla sua incompetenza ed a rivendicare la parte principale nell’organizzazione del colpo. In realtà pare voler dire soltanto ecco, ci sono anche io, con la mia vita e questa vita “vale” …io servo…io sono utile, fosse solo per riavere l’American Buffalo.
Non c’è malafede nel suo comportamento, anche quando mente, perché vittima della sua psicosi a tal punto da convincersi di essere un abile rapinatore, a tal punto da vendere il suo orologio per comprare una pistola falsa con cui atteggiarsi a duro, a tal punto da uccidere pur di difendere il proprio ruolo di amico , vittima della sua stessa allucinazione.
Ritorna dunque la domanda che ci seguirà per tutto lo spettacolo….”quanto vale” rivendicare una propria identità quando questa è cancellata da una vita di miseria, di emarginazione, di solitudine, di mancanza di amore.
Un nichelino può essere nulla e tanto , può valere più o meno, ma può essere tutto se nella nostra esistenza non c’è più spazio per altro,: si può piangere per un nichelino, si può mentire ,si può tradire,  si può uccidere.
E così in poco meno di una giornata si consumerà la tragedia di tre vite umane, nell’indifferenza del mondo, che resta e resterà sempre al di fuori della porta della piccola bottega. Perché è l’indifferenza quella che ferisce, quella che inutilmente porterà i tre personaggi a dire “io ci sono”, “io valgo”, non fosse altro perché riavrò la monetina, in una disperata ricerca di un riscatto che non avverrà mai: il mondo continuerà ignaro del loro fallimento e della loro sconfitta, perché la loro stessa vita si gioca in una partita di dadi con un destino indifferente, perché forse per il mondo la loro stessa vita vale molto di meno di un misero American Buffalo.

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