Il Castello del principe Barbablù: molto più di un concerto, ma il rimpianto resta

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Non è la brevità a giustificare l’esecuzione in forma di concerto di un dramma per musica; non possono esserlo motivazioni di budget quando i magazzini di una Fondazione custodiscano le scene di una propria precedente produzione.
Parliamo de “Il castello del principe Barbablù” di Bartók, che nel 2008 aveva visto sul podio il compianto Jeffrey Tate, la voce fuori campo era di Umberto Orsini e l’impianto scenico di Nicola Rubertelli, artista in house; e pensare che modesti allestimenti di altre fondazioni vengono riproposti fuori abbonamento…
A 10 anni di distanza, l’atto unico di Bartók ha aperto i due appuntamenti della stagione sinfonica del Teatro di San Carlo del 20 e 21 gennaio 2018, e ci sforziamo di assumere la collocazione nel cartellone dei concerti come motivazione per l’opzione non scenica.
Il cast di assoluto livello, con il soprano Violeta Urmana e il basso-baritono Gabor Bretzv, protagonisti e il direttore musicale Juraj Valčuha sul podio, avrebbero ben meritato altra cornice, ma tant’è.
La favola di Barbablù è nota alla gran parte degli occidentali nella versione che ne trasse Perrault da una preesistente novella slava.
In entrambe si narra di un uomo ricco e potente dalla barba blu (come la notte) che corteggia più sorelle (3 o 4) e che sposa la più giovane ed ingenua di esse, a disposizione della quale mette ogni proprio avere, senza limiti e proibizioni se non quella di aprire una porta segreta.
Che sia la curiosità della giovane sposa che durante un’assenza del Duca Barbablù la porti a dischiudere quell’uscio misterioso o che siano le sorelle maggiori ad indurla alla disobbedienza è una delle differenze tra la tradizione orientale e il testo di Perrault; ma la conclusione è la macabra scoperta di  violenze sulle precedenti mogli.
Il libretto di cui si servì Bartók fu scritto da Béla Balázs con i toni cupi da leggenda slava, senza il lieto fine, quel sauvetage che è funzione narrativa ineludibile nel modello occidentale di racconto fiabesco.
Al San Carlo, imponente ed espressiva è stata la prova di Violeta Umana; in un ruolo che vede il personaggio di Judith sottomesso a Barbablù, nella spasmodica ricerca di verità, il soprano lituano ha formulato una richiesta di condanna per i soprusi e le violenze, ovvero una requisitoria da “pubblico ministero” del genere femminile per la sentenza che gli spettatori non possono astenersi dall’ emettere.
Profondo, ma anche seduttivo il Barbablù di Bretzv, con buona presenza vocale su un’orchestra dal colore e dai fraseggi sinfonici, ma nel ‘900 operistico i confini con la sinfonia sono assai sfumati persino nello stesso Puccini.
Protagonismo a Valčuha, e alla “sua” orchestra nella seconda parte del programma, con la Sinfonia n.8 il sol maggiore di Dvoràk, opera di svolta del compositore ceco, ben resa dalla compagine sancarliana, con una diligenza che, se non entusiasma, si rivela adeguata al blasone del San Carlo, attenta al gesto direttoriale e quasi sempre equilibrata nelle dinamiche.
Lo “Scherzo” della Sinfonia, si sarebbe, a nostro avviso, giovato di un fraseggio più danzante e danubiano.
Pubblico moderatamemte soddisfatto e non numerosissimo, come accade quando non vi sia la presenza, agevolata, delle scolaresche; diretta radiofonica su RadioRai 3.

Dario Ascoli

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