Muti: « L’umano e il divino cadono e risorgono insieme »

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Foto Marco Borrelli

«Un concerto alla Reggia di Caserta è una combinazione di musica, natura, scultura, arte, bellezza: le ragioni per cui l’umanità dovrebbe esistere»
Sono parole del maestro Riccardo Muti, sul podio del Teatro di Corte di Caserta nel concerto in onda  domenica alle 21,15  su RAI 5.
Un concerto ispirato da un dipinto esposto al Museo di Capodimonte, eseguito nella Reggia di Caserta e composto da un allievo di Porpora: Masaccio e Haydn si danno idealmente  appuntamento in Campania grazie al  maestro Riccardo Muti.
“Le Sette Parole di Cristo” del compositore austriaco, partitura eseguita nel Teatro di Corte di Caserta da Riccardo Muti alla guida dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, è un lavoro della maturità di Haydn, composta 15 anni dopo la commissione ricevuta da un canonico di Cadice, consta di 7 Sonate, precedute da un “Introduzione”  e seguite da un “Terremoto”, ciascuna ispirate ad una frase del Cristo sulla Croce.
Sui parallelismi tra la “Crocifissione” di Masaccio, esposta a Capodimonte e la pagina di Haydn, Massimo Cacciari ha conversato con Muti e dal dialogo è nato un volumetto, best seller nelle vacanze natalizie, per i tipi “Il Mulino”.
«Il chiaroscuro delle note trafigge la coscienza e la pone di fronte al mistero della Croce, dove l’umano e il divino cadono e risorgono insieme – ha spiegato il maestro Muti – Il silenzio del Venerdì Santo si scioglie in una sonorità che segna la drammaticità delle ultime frasi di Cristo. Le parole cedono il passo alla musica e l’ascoltatore interrompe il pensiero per affidarsi al sentimento del divino che scopre dentro di sé».
E il fascino del luogo ha conquistato il grande direttore: «Questo è un luogo unico che chiamare teatrino è riduttivo. Anche l’acustica è straordinaria; raramente nel mondo, anche nelle grandi e sofisticate sale europee e americane, ho trovato un’acustica così perfetta dove i suoni si riproducono in maniera naturale. In questa sala meravigliosa si ripresenta l’emozione di essere immersi tra la storia e la bellezza, come è stato a Paestum».
Caserta, Paestum, la Campania e un compositore legato a Napoli aleggiano nelle parole e nei pensieri del grande concertatore; Haydn è infatti il più partenopeo dei compositori austriaci: «Non componevo in modo corretto fino a che non ebbi la fortuna di apprendere i principi fondamentali della composizione dal signor Nicola Porpora, che era allora a Vienna – racconta Haydn – Non mancavano certo gli “asino”, “coglione”, “birbante”, o le gomitate nelle reni, ma non me la prendevo, perché da Porpora appresi molto di canto, di composizione e di italiano». L’interpretazione di “Die sieben Worte unseres Erlösers am Kreuze” è stata preceduta, forse più ancora di quanto nelle meticolose consuetudini del maestro Muti, da analisi e considerazioni filosofiche e teologiche sulle quali appone il suggello Cacciari: «Di Dio non vi può essere altra immagine se non quella che immagina la sua stessa irrappresentabilità. (…) La musica onora Dio ponendosi al suo ascolto e in uno – tu (rivolto a Muti) lo hai mostrato – ascoltandone le stesse immagini».

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