Agar et Ismaele esiliati: La madre surrogata di tutti i conflitti

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Giulia Lepore (Ismaele)

L’Associazione Alessandro Scarlatti propone, del suo compositore eponimo,  l’oratorio “Agar et Ismaele esiliati” composto probabilmente nel 1683, poco prima del trasferimento a Napoli del musicista.
La visione è in streaming sabato 13 febbraio alle 18 in première, con 3 repliche, ancora  sabato alle 21 e domenica alle 16 e alle 21 sulla piattaforma www.ilteatroinrete.it ; gli interpreti sono la Cappella Neapolitana diretta da Antonio Florio con i cantanti: Valeria La Grotta (Sara), Giulia Lepore (Ismaele) Aurelio Schiavoni (Agar ) Roberto Gaudino (Abramo) e Francesco Divito (Angelo).
Le voci si sono formate in ScarlattiLab, guidato da Antonio Florio e Dinko Fabris nato dalla collaborazione tra l’ Associazione Alessandro  Scarlatti e il Conservatorio di Napoli.
La vicenda è semplice quanto sanno esserlo le storie all’origine delle più complesse conseguenze: Sara, incredula dell’avverarsi della maternità premessa da Dio e non rassegnata alla sterilità, spinge il consorte Abramo, secondo antica prassi semitica, ad avere discendenza fecondando la schiava egiziana Agar, da cui nascerà Ismaele.
Avere una discendenza per generare il Messia era per l’antico popolo ebraico, un dovere primario che tutto relegava in subordine  giustificando quella che modernamente definiremmo “maternità surrogata”.
Abramo obbedisce, ma presto Sara cede alla gelosia e scaccia Agar, che morirebbe tra le sabbie del deserto se un angelo non intervenisse a dissetare la donna e il piccolo Ismaele.
Mantenendo la promessa, Dio dà al centenario Abramo e alla novantenne Sara un figlio che prenderà il nome di Isacco, che significa “sorriso”, con cui l’incredulo Abramo aveva accolto la notizia della tardiva paternità.
Sara scaccia la schiava e il suo figlio, ma  Dio si impegna con Ismaele: «Darà origine a dodici principi e farò da lui una grande nazione».
Il racconto biblico, da cui Domenico de Totis, forse non senza influenze della mecenate Cristina di Svezia e di un sorprendentemente ecumenico Benedetto Pamphilij, ricavò il libretto per Scarlatti, può essere letto come metafora di atavici contrasti tra ebrei e arabi, tanto antichi quanto non originati da volere divino.
La Torah, quindi, assegna alla discendenza araba una nazione così come a quella ebraica e non a caso un angelo  compie nel deserto, un’azione di misericordia per i sofferenti e gli esclusi.
Saranno le avidità degli uomini, disobbedendo al Signore, a generare conflitti solo apparentemente insanabili.

Dario Ascoli

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