C’è anche un po’ di Russia, in Napoli mon Amour

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“Napoli mon amour“ (Edizioni NN), romanzo d’esordio di Alessio Forgione, grazie all’adattamento di Mariano D’Amora,  è  ora lo  spettacolo proposto al Ridotto del Mercadante fino al 20 marzo, con la regia di Rosario Sparno.
Viene quindi portato in scena quello che è stato un piccolo caso letterario: il romanzo ha tra l’altro vinto il premio Berto 2019 e il premio Intersezioni Italia – Russia ed è stato tradotto in vari paesi.
Protagonista del romanzo come dello spettacolo è Amoresano, un giovane trentenne napoletano (interpretato dal bravo Marcello Manzella) che passa le sue giornate tra la vita con i genitori, le partite del Napoli, le serate con l’amico Russo (Gennaro Apicella) e coltivando vaghe ambizioni letterarie.
Amoresano in realtà è immobile, aspetta che qualcosa accada  ( “ forse mi ero seduto sul ciglio della strada ad aspettare…” esclama sconsolato) e aspetta l’amore e quella vita vera  che per un attimo sembra concretizzarsi nell’incontro con la giovane e sfuggente Nina (una deliziosa Angela Fontana, forse la presenza scenica più interessante).
Sogna di andare via , come tutti i giovani della sua generazione, di partire, ma non ne ha la forza. Sogna di scrivere un romanzo e incontra Raffaele La Capria, riferimento principe con il suo romanzo “Ferito a morte “, al quale ha mandato alcuni suoi testi, sembra voler seguire finalmente i suoi slanci ideali verso la letteratura e lo stesso scrittore, benché in tono beffardo, sembra incoraggiarlo e infine Nina appare come un uragano  nella sua vita.
Ma la realtà si impone nella sua nudità, senza orpelli, stretta tra necessità contingenti (“ ho millecinquecento euro di tempo” mormora dopo aver visto il saldo del suo conto ), la realtà si risolve nel vuoto chiacchiericcio con l’amico di sempre che ben presto si ridurrà in silenzio.
Perché Amoresano sogna ma senza più forze , le parole d’amore restano soffocate e Napoli diventa luogo di solitudine disperata, di silenzio, emblema di una società che non può e non sa mantenere quello che promette.
E qui si compie il sortilegio del racconto e lo spettacolo riesce a trasmetterlo con una certa intensità   : l’esistenza  dilaniata di Amoresano entra a far parte della coscienza personale di ciascuno di noi, come se le speranze che vengono narrate diventassero parte del nostro vissuto, un sortilegio in grado non di farci assistere ad una storia ma di farcela vivere in prima persona , in modo intimo e profondo.
A questo punto entriamo nel limbo in cui si dibatte il protagonista: il nucleo familiare è limbo, Napoli è spiaggia e deserto , una condanna  “ blu “ da cui fuggire restando, illudendosi che il mare possa bastare. “ Un centesimo dopo l’altro “,  come i pochi soldi , spariscono i desideri ritrovati e la speranza di una vita diversa.
Sicuramente tutto questo c’è nel romanzo di Forgione e certamente la riduzione teatrale e  la regia ne danno riscontro, ma va detto anche che se la messinscena ha brillantemente conservato l’efficacia e la forza della lingua dell’autore,  se ne distacca affiancando al registro più intimo (proprio del romanzo) anche un registro ironico e farzesco, quasi grottesco, attraverso una musica francese e sbarazzina e battute veloci e spiritose.
La scenografia e i costumi rafforzano questa suggestione e dunque la sabbia, il costume rétro di Nina, l’ombrellone a righe anni ’50, il telo di plastica turchese (forse anche mare o isola). Tuttavia  il tentativo, assolutamente lecito, non sempre appare ben riuscito.

Dora Iannuzzi

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