«La Damnation de Faust»: Berlioz musica il “Don Giovanni della Riforma”

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Dopo quello di Don Giovanni, il mito più musicato in quella che con qualche approssimazione di troppo definiamo età moderna, è quello di un altro dissoluto punito: Faust.
Di un tale Johann Faust, scienziato e dissoluto, chimico e seduttore, vi è testimonianza storica che lo colloca nel Württenberg  in procinto di Riforma tra il 1480 e il 1540, nella narrazione del 1587 di Spiers che lo presenta, forse non casualmente, quasi perfetto contemporaneo di Lutero.
Nel rituale di cessione dell’anima al diavolo comincia ad apparire un elemento documentale, la firma del patto, cui si vuole fare assumere sovraordinazione sulla somministrazione del battesimo cristiano in cui la «Rinuncia a Satana» è espressa oralmente.
È la conseguenza, tanto determinante inizialmente nel mondo luterano, della diffusione della lettura attraverso la nuova invenzione della stampa.

Per il seduttore spagnolo il riferimento letterario in epoca “moderna” si rinviene in Tirso da Molina e Moliere, per il borghese depresso che si affida Mefistofele per uno scellerato patto di perdizione, è Goethe la sorgente ipotestuale cui i librettisti e compositori, a partire dal romanticismo, scelgono di riferirsi.
Hector Berlioz, non ultimo, ma nemmeno primo, potendosi elencare ispirazioni in Schubert, Spohr, Wagner, Mendelssohn, si fece affascinare dallo scritto di Goethe, anche se dichiarando di volerlo, oggi diremmo, destrutturare e ricostruire.
In effetti Goethe auspicava che la sua travagliata opera letteraria, cui si dedicò per decenni, venisse musicata, pur ponendo una condizione irrealizzabile: «Bisognerebbe che la musica fosse del genere di Don Giovanni – scriveva aggiungendo- è Mozart che dovrebbe scriverla!».
Ma Faust e Don Giovanni sono due gemelli separati alla morte, almeno lo sono in Goethe, che salva il suo Faust nel momento del trapasso, laddove Da Ponte condanna Don Giovanni al fuoco eterno.  Cosa faranno De Nerval e Berlioz? Precipiteranno in un baratro infernale Faust e destinano ad un’ascensione tra i beati Marguerite. Similmente faranno con Gounod i librettisti di «Faust» Barbier e Carré,

Faust e Mefistofele appaiono per la prima volta nel catalogo musicale di Berlioz in «Huit Scènes de Faust» del 1829, mentre la prima esecuzione, in forma di concerto, di «La damnation de Faust» è del 1846 alla Salle Favart di Parigi, con la definizione di «Leggenda drammatica in quattro parti per soli, coro e orchestra», a sottolinearne la destinazione, quasi preferenziale, all’esecuzione oratoriale. Per assistere ad una rappresentazione scenica occorrerà attendere il 1890 a Montecarlo.
A bene ascoltare, la partitura di Berlioz non presenta una continuità drammaturgica da melodramma, dipanandosi piuttosto tra tableaux e situazioni in cui anche le diverse collocazioni geografiche non favoriscono omogeneità e legame, andando dalle pianure di Ungheria, al Nord della Germania, a interni di taverne a boschi e praterie che conducono inaspettatamente alla camera da letto di Marguerite, unica ambientazione a conferire una temporanea cornice narrativa stabile, prima di frenetiche corse verso la perdizione degli abissi, per Faust e al Parnaso per Marguerite.
Anche la musica alterna caratteri diversi, dal popolaresco al dotto, dall’irrisione dello stile severo, ad un neo-rinascimento tra diatonismi di arpe e cori celestiali, per non dire di armonie che non percorrono, ma schizzano su tonalità lontane, tutto coerente al disegno di eludere le convenzioni del melodramma.
Paradossalmente, Berlioz aveva anticipato l’irrequietezza che sarebbe stata dell’imminente decadentismo, ma il musicista francese opta per un linguaggio in cui tutto possa coesistere, dal cromatismo, alla neo-modalità al ritorno al contrappunto, alla dilatazione della tonalità, ponendosi tuttavia in una posizione agnostica, che lo mette al riparo dall’onere della scelta.
Prende le distanze da Goethe, Berlioz, che si sente in dovere di precisare: «Basta il titolo di questo lavoro per indicare che esso non è basato sull’idea principale del Faust di Goethe, poiché nel grande poema Faust è salvato».
Non c’è salvazione per un personaggio che sembra rappresentare un mondo privo di slanci e di motivazioni, un’umanità in preda ad una depressione verso la quale Méphistophélès si presenta inizialmente con un atteggiamento che lo assimila a uno di quegli spacciatori di oppio, ben noti al compositore. Il patto di perdizione dell’anima giungerà molto dopo, solo a seguito dell’infatuazione per Marguerite e, quasi contraddicendo il dichiarato progetto iniziale, Berlioz ricorre a un modello romantico tipico: la salvazione, quasi una ascensione, di Marguerite.
L’Europa post-illuminista, delusa dagli ideali traditi, si avvia verso un consolatorio romanticismo che, in fondo, a Mefistofele attribuisce la colpa di non avere mantenuto la promessa di immortalità che la scienza aveva barattato con un patto di ateismo: non resta che l’amore, confidando nell’arrivo, sul finire di millennio, di un Mefistofele in camice bianco, capace di insaporirlo con una chimica sessualità sempre giovane.

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