Tomas Arana: Creatività e disciplina

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Un grande attore è un misto di creatività e disciplina. L’intervista con Tomas Arana, protagonista di grandi film come il Gladiatore, The Bodyguard e tanti altri, si chiude con una piccola promessa.
Solitamente l’intervista con un personaggio noto prende le mosse da un argomento ben preciso, ovviamente collegato alla professione e a come questa professione ha impattato la vita personale del protagonista.
Nel caso di  Tomas Arana, attore americano naturalizzato italiano che non ha certo bisogno di troppe presentazioni, posso con certezza affermare che si è trattato di un viaggio che ha spaziato tra arte, danza, formazione, incontri di respiro internazionale, cinema, talento e Napoli. Ammetto che la mia velocità di scrittura dall’altro capo del telefono  ha avuto qualche difficoltà nel mantenere il passo con l’incredibile quantità di informazioni ed esperienze che Tomas Arana ha voluto gentilmente condividere con me.

Tomas, ci racconti il tuo rapporto con l’Italia? In cosa sei stato influenzato dal nostro Paese e cosa pensi di aver portato di te in Italia?

Non so esattamente quale possa essere stato il mio contributo all’Italia, di certo la mia presenza qui con ruoli differenti in vari film. La mia nascita vera e propria da un punto di vista italiano comincia grazie a Lucio Amelio. Per 5 anni sono stato il suo assistente, erano i tempi della mostra Terrae Motus, la collezione che ha creato per rendere omaggio, attraverso le opere di grandi artisti, alla catastrofe del terremoto del 1980 e per trasformare il disastro del sisma in forza creativa. E’ stato proprio in quegli anni che ho avuto modo di entrare in contatto con il gruppo composto da Angelo Curti, Andrea Renzi e Mario Martone, che ha dato vita a Falso Movimento, gruppo teatrale fondato appunto da Martone nel 1977. Da lì poi è arrivata la fusione con Teatri Uniti   con Toni Servillo e  Licia Maglietta. Da assistente di Amelio sono arrivato così al teatro ma poi, ad un certo punto, avevo ben chiara in mente l’intenzione di voler fare cinema. Mi sono trasferito a Roma per 4 anni e poi da lì sono tornato in America,  a  New York e Los Angeles. Il resto lo conoscete.

Parliamo dunque di cinema. A suo parere in cosa gli italiani sono imbattibili?

Sicuramente la visualità, la forza del linguaggio visivo. Se solo pensiamo che l’Italia è il Paese che ha vinto più premi Oscar come miglior film straniero abbiamo già conferma di quanto sto affermando. Penso a  Paolo Sorrentino, a De Sica, a Tornatore, ai vari direttori della fotografia, costumisti, scenografi. Gli italiani sono imbattibili nel creare capolavori di grande forza visiva per quanto riguarda la coreografia,   la scenografia e i costumi. Anche se, in alcuni casi, non si tratta di film eccezionali, c’è un’artigianalità incredibile, da veri maestri. Sicuramente molto è dovuto al retaggio del mondo classico e dei grandi interpreti dell’arte, penso a Caravaggio e a tutta la sfilza di artisti che hanno in qualche modo educato e influenzato tutti i campi, dal cinema al teatro.

So che sei a Roma in questi giorni e che stai lavorando ad un nuovo progetto: potresti anticiparci qualcosa?

In realtà a breve sarà pubblicizzato il mio prossimo lavoro di cui, purtroppo, non posso anticipare nulla prima appunto dell’annuncio ufficiale.

Dei numerosi ruoli che hai interpretato, qual è quello a cui sei maggiormente legato?

Più che di ruoli, preferirei parlare di film. Penso al film Limonov di Kiril Sebrennikov,  tratto dal libro di Emmanuele Carrere. E poi c’è un bellissimo progetto di Gabriele Salvatores che si chiama Napoli New York. Il film  è tratto da una sceneggiatura di Federico Fellini e Tullio Pinelli ritrovata nel 2006 e racconta la storia di due bambini di circa 10 anni che sono i veri protagonisti del film. Sullo sfondo di una Napoli piegata dalla miseria del dopoguerra, la trama eviscera il viaggio insolito dei due protagonisti verso New York. Tra gli attori ci sono Pierfrancesco Favino ed Antonio Catania.
Non voglio svelare di più sulla trama, posso dire che è probabilmente uno dei film più belli che ho fatto. Nutro da sempre una grande ammirazione per Salvatores, che ho avuto modo di incontrare dai tempi di Falso Movimento ma questa è stata la prima volta in cui ho lavorato con lui.
Ammiro tantissimo anche Pierfrancesco Favino, un talento incredibile e ovviamente l’amico e collega Toni Servillo, che definisco un Picasso della recitazione. Per rispondere alla tua domanda, sono sicuramente legatissimo al Gladiatore, film che mi ha toccato nel profondo.

Ricordo anche la tua interpretazione in Limitless con Bradley Cooper.

Si, anche quello è stato un bel film: innovativo per contenuti e lavorazione. E poi Bradley è una persona eccezionale e un amico fantastico.

Tomas, cosa fa di un attore un grande attore? La tecnica, il talento innato, lo studio?

Posso dirti che alcuni attori hanno una maggiore “disponibilità”, intendo duttilità, predisposizione. Ti porto come esempi alcuni amici e colleghi che non hanno mai fatto classi di recitazione come Russell Crowe, William Dafoe che ho conosciuto durante la lavorazione dell’Ultima tentazione di Cristo, Joaquin Phoenix  o Servillo. Innegabile che si tratta di tre talenti immensi ma ciò che li contraddistingue, è la loro capacità di mettersi in gioco, di voler creare qualcosa di nuovo, di immaginare e poi, fondamentale, una disciplina ferrea. Toni Servillo ha realizzato spettacoli per il teatro in cui il movimento è tutto, dialoghi ridotti all’osso ma il suo modo di muoversi, ha fatto lo spettacolo.
Pensiamo al suo modo di muoversi in alcuni film: al suo modo di camminare nella Grande Bellezza, ad esempio Lì rende  palese il fatto che lui mantiene costante  il suo passo indipendentemente da ciò che accade intorno, se ne frega,  procede sicuro. O magari nel Divo, in cui interpreta Andreotti: lì i suoi movimenti sono paragonabili a quelli di una geisha.
Per Russell Crowe, vale lo stesso. Lui aveva ottenuto soltanto qualche ruolo da giovane in musical come Grease, essendo anche un valido musicista. Ma poi attraverso la disciplina e la creatività è arrivato ai ruoli che conosciamo. Anche Joaquin è un esempio di creatività immenso: creatività che si unisce al rigore e alla caparbietà che in questo lavoro è fondamentale. Non puoi permetterti di arrenderti o di rinunciare alla prima sconfitta: se cento provini sono andati male e volti le spalle alla carriera,  non potrai mai sapere se il provino numero 101 sarebbe stato quello decisivo.

I grandi del passato con cui ti sarebbe piaciuto lavorare?

Di certo Federico Fellini e Sergio Leone, ma anche De Sica e Bertolucci. Oggi farei i salti mortali per poter lavorare con loro. Ho avuto modo di conoscere Sergio Leone alla prima a Venezia dell’Ultima Tentazione di Cristo. Ci parlammo, lui mi rivelò di avere un ruolo adatto a me per un suo prossimo film sull’assedio di Leningrado, ma poi, purtroppo, due anni dopo è venuto a mancare. Ho poi incontrato Bertolucci e Fellini fuori dal set: il primo ad un matrimonio, il secondo al Bar Canova dove ebbi modo di invitarlo ad uno dei nostri spettacoli. Invito che purtroppo non fu raccolto.

A chi vuole dire grazie oggi Tomas Arana?

Sicuramente  a Lucio Amelio e a tutti i miei amici e colleghi di Falso Movimento e Teatri Uniti, loro sono la mia famiglia a Napoli, insieme a tanti altri in giro per l’Italia. Colgo dunque l’occasione per ricordare a Tomas Arana che Ravello e il Caruso non sono poi così distanti da Napoli e che magari in un periodo di pausa dal lavoro o di vacanza, potrebbe raggiungerci. Mi risponde con grande garbo e sincerità: “Mi definisco un uomo senza weekend: quando lavoro sono davvero in vacanza. Sono abituato a stare sempre in giro,  a dormire per mesi negli alberghi  durante la lavorazione di un film, a viaggiare molto. Il mio ideale di relax è avere un po’ di tempo per me libero per leggere o magari  nuotare in una bella piscina e fare esercizio”.

Lo incalzo: il Caruso ha una delle piscine più belle del mondo da cui il cielo e il mare si stringono in un abbraccio. Ci provo, insisto, lo invito, appena tornerà a Napoli. E  forse gli ho strappato una piccola promessa: tra Los Angeles e Roma, un passaggio al Caruso sembra starci d’incanto.

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