Melania Mazzucco a Villa Medici

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Melania Mazzucco ha inaugurato a Villa Medici, sede dell’Accademia di Francia a Roma, l’XI edizione del Festival della Bellezza, patrocinato dal Ministero della Cultura. Il festival si svolgerà in venticinque luoghi simbolo del patrimonio storico-artistico italiano, dai Templi di Selinunte, ai siti più rappresentativi del ‘900, come il Cretto di Burri, Il Vittoriale, Villa Necchi Campiglio di Portaluppi e la Sala Fontana dell’Arengario a Milano.
La scrittrice ha per l’occasione introdotto il tema del femminile nell’arte tra rappresentazione e percezione, partendo dalla descrizione di un famoso quadro di Velázquez, la “Venere allo specchio”, conosciuto anche come “Venere e Cupido”, sollecitando una serie di riflessioni sul nudo, sul nudo femminile in particolare e sulle differenti prospettive che hanno influenzato la sua rappresentazione.
Un episodio di cronaca, il gesto di una suffragetta che danneggia il famoso dipinto di Velázquez, è il punto di partenza per raccontare il modo in cui non solo il corpo della donna è stato visto nel tempo, ma anche di come è cambiato il nostro stesso sguardo rispetto all’opera d’arte.
All’inizio del ventesimo secolo, il movimento delle suffragette, di fronte ai fallimenti dei tentativi di riforma parlamentare, iniziò a porre in atto strategie di lotta alternative e, in alcuni casi, aggressive. In particolare, l’Unione Sociale e Politica delle Donne, guidata da Emmeline Pankhurst, adottò frequentemente l’utilizzo di forme di vandalismo per attirare l’attenzione verso il tema del suffragio femminile. Così Mary Richardson, devota seguace del movimento, il dieci marzo 1914, entrò alla National Gallery e danneggiò il quadro Venere e Cupido, sfondando più volte la tela con una lama. Successivamente diffuse un comunicato in cui spiegò le ragioni del gesto: “Ho cercato di distruggere l’immagine della donna più bella della storia mitologica per protestare contro il governo che ha distrutto la signora Pankhurst, la figura più bella della storia moderna. La signora Pankhurst cerca di ottenere giustizia per la femminilità e per questo viene lentamente assassinata da un governo di politici iscarioti…”.
A quel tempo la leader dell’Unione effettivamente entrava e usciva dal carcere e la sera prima dell’attentato era stata arrestata a Glasgow dopo uno scontro con la polizia ed era in quel momento in prigione. L’atto vandalico di una donna su un quadro che rappresenta una donna risultò potentissimo sul piano simbolico e suscitò un effetto mediatico immenso: la stampa si avventò sulla notizia , anche la stampa popolare, e l’attentatrice veniva ribattezzata “ Mary la squartatrice”, mentre la Venere dipinta veniva rappresentata come una persona reale, una donna ferita e mutilata con sette colpi di coltello e si descrivevano le ferite che aveva subìto al collo, alla spalla , alla vita.
Molti anni dopo però,  in un’intervista con la BBC, che è stata trasmessa il 23 aprile 1961, Mary Richardson diede una spiegazione diversa di questo gesto e del perché aveva scelto proprio quel quadro. Questa spiegazione è  sicuramente più interessante: “…non sopportavo come gli uomini stavano a bocca aperta davanti a quel dipinto. Odiavo come le donne nude fossero usate nei dipinti…” La prima cosa da sottolineare è  che siamo negli anni sessanta e che solo dieci anni prima Mary aveva scritto un’autobiografia dove non c’è traccia di questa motivazione politica, e questo ci induce a pensare che dunque i quadri non cambiano significato a seconda di come noi li guardiamo, ma è il nostro stesso sguardo che cambia. La “ Venere allo specchio” è uno dei nudi più erotici nella storia dell’arte,  che riprende però e rende moderno uno dei temi chiave della storia dell’umanità, perché la dea della fertilità,  della bellezza,  la dea nuda è all’origine di tutta la figurazione occidentale ( basti pensare alle statuette di Malta, alle statuette preistoriche delle Sleeping Ladies o alla Venere di Willendorf). Dunque è un’immagine chiave che ricorre in forme diverse nell’ arte antica, nella pittura romana e greca e basta ricordare la “ Venere marina” di Pompei, ripresa più volte nel nostro Rinascimento. Un’immagine della bellezza nuda che si eclisserà parzialmente solo in epoca medievale,  quando si impone un concetto diverso del mondo, il concetto del mondo cristiano.
La Bibbia infatti ci racconta che Adamo ed Eva erano felicemente nudi nell’Eden, tuttavia non sapevano di esserlo, non ne avevano consapevolezza. Ma poi c’è l’incontro con il serpente, che invita la donna a mangiare il frutto dell’albero proibito, e nel famoso dialogo usa esattamente queste parole : “… nel giorno in cui ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e Voi diventerete come Dei , conoscitori del bene e del male”. Allora la donna mangiò il frutto e lo diede al suo uomo. In quel momento si aprirono gli occhi di entrambi e capirono di essere nudi, provarono vergogna e coprirono con delle foglie di fico i loro sessi, nascondendosi anche  da Dio, perché avevano mangiato il frutto dell’albero della Conoscenza. La cosa che colpisce di questa lettura è  la frase “ aprite gli occhi”, perché la nudità era la  condizione originaria felice di Adamo ed Eva, che da un certo momento diventa insostenibile, come se fossero stati denudati: erano vestiti della Grazia, dell’ Innocenza, poi sono nudi. E la nudità da quel momento diventò qualcosa di negativo, come una privazione, uno stato che si determina quando l’uomo e la donna cambiano il loro modo di stare al mondo, perché essi ora sanno, conoscono l’attrazione,  la sessualità e la mortalità. Il peccato non ha creato il male, ma lo ha rivelato e questa rivelazione passa attraverso la nudità. Da quel momento nel mondo cristiano la nudità è vergogna, è punizione, colpa. Ma contemporaneamente è anche nostalgia,  la nostalgia della purezza originaria dell’Eden, quando eravamo innocenti,  ignari e inconsapevoli del legame fra nudità e sessualità.
Proprio questo nesso tra nudo e sesso avrà implicazioni decisive  nella storia della pittura e anche nella nostra percezione.
Con il Rinascimento ritorna la visione pagana della nudità e quindi ritorna anche l’immagine della dea Venere, della fertilità, dal Botticelli col ritratto di Simonetta Vespucci alla “Venere dormiente” di Giorgione (o Venere di Dresda) , a Tiziano, alla “Ninfa alla fonte” di Dürer, fino a Tintoretto e Rubens. Ora proprio quest’ultimo introduce una novità,  perché si passa da una figurazione ideale della dea, della bellezza,  della donna che incarna la dea, a una donna vera. Le donne di Rubens, sono delle donne reali e questo passaggio non avverrà senza traumi nella storia dell’arte, diventando il nudo femminile luogo di infinite problematiche,  questioni estetiche, stilistiche, morali , perché un crocevia di codici culturali. È interessante sottolineare che nessuno di questi dipinti suscitò scandalo, al massimo qualche imbarazzo, accompagnato però da un generale consenso, fascinazione, emulazione e desiderio di riproduzione. In realtà queste opere non furono visibili ad un pubblico di massa, un pubblico generico. Questi dipinti si trovavano in spazi privati, palazzi, regge, in luoghi inaccessibili alla gente comune e a volte anche agli stessi cortigiani. Solo i proprietari e pochi intimi potevano effettivamente vederli. Il nudo femminile era un privilegio, un privilegio di sangue, di casta, di cultura,  ma non di genere, cioè  non era destinato soltanto al piacere degli uomini.
La regina Cristina, per esempio, che visse anche a Roma nel XVII secolo, è stata una delle più grandi collezioniste di tutti i tempi e adorava il nudo sia maschile che femminile. Per la sua galleria se ne accaparrò alcuni dei più spettacolari, come la sensualissima e gioiosa “Danae” di Correggio, poi rimasta proprio a Roma e conservata alla Galleria Borghese.
Ora Velázquez quando dipinge la sua Venere conosce le opere della Corte di Spagna e tra l’altro ha compiuto molti viaggi anche in Italia. Tuttavia fa qualcosa di diverso: non solo volta di spalle la dea ( in fondo lo avevano già fatto Rubens e Tiziano), ma sposta anche lo specchio che ora raffigura il volto della donna , di Venere, di questa persona che viene chiamata Venere. Il volto dello specchio è un volto dipinto in modo diverso dal corpo, che pure è  sublime, perché è un volto quasi realistico, anche se sfocato, iniziando ad introdurre una importante questione sulla raffigurazione.
Non si sa per chi fosse stata dipinta in origine questa Venere, ma certamente arrivò nella collezione del Marchese di El Carpio, un grandissimo collezionista che visse a Roma in qualità di Ambasciatore del Regno di Spagna e pare amasse i quadri quasi quanto le donne. Per molto tempo pare, almeno fino al XIX secolo, per questi grandi collezionisti le donne dipinte e quelle reali furono quasi intercambiabili.
Successivamente il quadro finì nelle mani della Duchessa d’Alba, diventata famosa per essere stata a sua volta la modella delle due Maya di Goya, ovvero la Maya vestìda e la Maya desnuda, uno dei pochi altri nudi femminili dipinti in Spagna.
Si trattava sempre di rivisitazioni dei nudi rinascimentali di Tiziano Vecellio , con la donna che ripete uno dei dettagli chiave della “Venere di Urbino” ovvero gli occhi aperti che guardano lo spettatore, ma con una rappresentazione realistica della nudità, perché  nel dipinto si vede il sesso e il pelo del pube, destinato ad essere un tabù non solo nell’epoca di Goya, ma per i secoli successivi, fino al XX secolo.
Entrambi i dipinti, sia quello di Velázquez che quello di Goya, finirono successivamente nel gabinetto di un importante cortigiano che si chiamava Manuel Godoy, che aveva una collezione privata sulla bellezza femminile. Quando Murat si recò in Spagna, su ordine di Napoleone,  riuscì a vedere questa collezione,  mentre una violenta rivolta popolare  allontanava Carlo IV e Manuel Godoy era in prigione. Erano tutti dipinti di inestimabile valore e lo stesso Murat prese per sé “l’ Educazione di Cupido” di Correggio. Questo incontro di Murat con questi dipinti influenzò sicuramente il suo gusto e lo spinse ad acquistare nel 1809 a Roma “ La donna nuda che dorme” di Ingrès, ora conosciuta come la “ dormiente di Napoli”. Murat sentì che questo tipo di pittura lo riportava in qualche modo dentro la meraviglia di quel gabinetto segreto visitato in Spagna e acquistò il dipinto di Ingrès e lo portò infine a Napoli. Carolina Bonaparte, regina di Napoli, per nulla scandalizzata dal nudo del dipinto, commissionò infine ad Ingrès il dipinto conosciuto come “ La grande Odalisca”. Per Carolina , come per il marito e per gli altri uomini, l’immagine che leggevano nel quadro non era di sottomissione, ma solo di gioia festosa.
Ma Carolina era troppo giovane per aver conosciuto un altro tipo di pittura che aveva avuto gran seguito nel ‘700, quando si disse che l’Accademia era entrata nei boudoir,  tipo la pittura di François Boucher, pittore favorito di Madame de Pompadour e dello stesso Luigi XV. Boucher era un grande seduttore e non aveva difficoltà ad ottenere le modelle più belle, anche se si lamentava ( così come pure si era lamentata Artemisia Gentileschi e molti altri pittori) “che una donna nuda vera non è  mai bella come quella che va dipinta, che se spogli cento donne non ne trovi neanche una che si possa davvero dipinger”. Vedeva in fondo le donne come corpi per il piacere e non ne faceva mistero e le sue odalische, adagiate sui cuscini in maniera mollemente orientale, ci offrono appunto il loro volto, ci guardano sempre e ci invitano nude, in una pittura che esprimeva un chiaro messaggio: le carni sono fatte per essere godute, le immagini dipinte devono esortare a questo gioioso compimento. Ma se la liberazione del piacere era un progresso nella ricerca della felicità, agli occhi dei riformatori della società rischiava di liquidare le esigenze della ragione e Diderot stesso fu uno dei primi ad accusare il pittore di corrompere il pubblico con i suoi quadri. Fortunatamente Boucher morì nel 1770, prima di assistere al tramonto di questo gusto.
Il dipinto della “Grande Odalisca” voluto da Caterina  non ha nulla a che vedere con i nudi accademici di Boucher, perché invece riparte da Raffaello, riparte dalle grandi Venere nude del Rinascimento e in quanto tale sia la Regina di Napoli , sia la stessa modella, che diventerà anch’essa una pittrice, non esitarono a mostrare apprezzamento per questo genere di nudo, allusivo e sensuale, ma anche classico.
Tuttavia Murat viene ucciso a Pizzo Calabro e la regina è costretta a lasciare rapidamente Napoli, così Ingres prova a vendere il suo dipinto a Roma. Non ci riesce e lo porta a Parigi al Salon del 1819. Anche qui non piace. L’immensa fortuna del quadro sarà successiva e finalmente nel 1899 arriverà al Louvre, perché solo alla fine del secolo le nude, le grandi nude dipinte per le corti d’Europa, arrivano nei musei e diventano di pubblico dominio. Anche la Maya di Goya era stata per anni nascosta al pubblico, custodita in una stanza buia dell’Accademia delle Belle Arti di San Fernando a Madrid e si dovrà aspettare il 1900 per vederla esposta.
Intanto anche la “Venere dello Specchio”, da cui è  partito il racconto, sparisce. Viene rubata dalla collezione di Godoy da un pittore inglese, venduta ad un mercante e infine acquistata da un nobile inglese. Arriverà alla National Gallery solo nel 1906, poco tempo prima del famoso attentato di Mary Richardson. Le donne si stavano appunto ribellando all’assoggettamento loro imposto dalla società e dunque la lettura del quadro era mutata: il dipinto sembrava esprimere lo sguardo maschile dominante e oppressivo, non solo sulla bellezza femminile,  ma sulla condizione femminile.
Fino ad allora non si era fatto in realtà nessuna riflessione né sul nudo né sullo sguardo, ma l’attenzione cambiò quando nel 1950 un famoso critico inglese, Kenneth Clarck, introdusse la dicotomia fra nude e naked, cioè fra il nudo ideale, classico e il nudo spogliato, che si riferisce ad una persona reale. Questa differenza era stata nei secoli alla base dello scandalo dei nudi nella storia dell’arte.
Nel 1853 al Salon di Parigi viene presentato un dipinto di Courbet, che si chiama “ La Source”: il dipinto riproduce una donna sorpresa al bagno, vicino ad una fonte. Ma qui Courbet mette la sua donna, una modella reale, una donna non particolarmente bella, semplice, dall’enorme deretano, in un realismo oggettivamente brutale. Questo suscitò indignazione, sgomento e sia la critica che il pubblico rifiutarono il quadro. Su un giornale si disse che il pittore aveva preso un quarto di carne dal macellaio; De Lacroix disse che era rimasto sconvolto dalla potenza ma anche dalla sporcizia di questo quadro,  dalla volgarità del pensiero che esso suscitava. Ma è lecito chiedersi che tipo di pensiero era volgare, il pensieroche si desiderava possederla o il pensiero che si trattasse di una donna qualunque,  una plebea? Era , per dirla alla Clarke, non un nude ma un naked.
Questa oscillazione tra ciò che è vero e ciò che è dipinto , si riscontra in tutto il clima culturale della Francia dell’Ottocento,  perché nello stesso momento in cui nel Salon si rifiuta il nudo realistico, tutti gli altri spettatori sono in estasi davanti ad un quadro di Theodore Chassériau, che rappresenta un tepidarium, con tantissime donne nude. Queste però appaiono come delle statue inanimate, una vetrina di oggetti d’antiquariato. I quadri reputati scandalosi procurarono a Courbet una fama inaspettata e fu così che Khalil-Bey, ambasciatore ottomano a Parigi, ricchissimo collezionista, gli propose di andare oltre ogni limite, di varcare un’ulteriore soglia. Per lui il pittore dipinse il quadro che si chiama “Le Sommeil” (il sonno), che rappresenta due donne nude a letto dopo aver fatto l’amore, un’immagine di sesso saffico, come si praticava a Parigi, nei bordelli per il piacere dei maschi, ma anche nelle alcove per il piacere delle signore. Successivamente il pittore avrebbe dipinto il famoso quadro che noi chiamiamo “ l’origine del Mondo” , che riprendeva appunto una delle amanti di Khalil-Bey. Si trattava della ballerina Costance Queniaux. A Parigi le giovani ballerine spesso praticavano una forma di prostituzione mascherata ed erano il terreno di caccia degli aristocratici e dei ricchi borghesi parigini, ma all’epoca del dipinto, Costance era già una cortigiana raffinata, amante di un diplomatico potente e anche una dama rispettata nella buona società parigina. Insomma aveva abbandonato da tempo le abitudini indecorose degli inizi e godeva di una posizione di prestigio, che mantenne fino alla sua morte, dedicandosi ad opere di beneficenza e di carità. Tuttavia  non esitò a prestarsi come modella per il famoso dipinto che, per quanto tenuto celato nella casa dell’Ottomano e mostrato solo a pochissimi,  divenne famosissimo.
In questa polarità tra la donna vera nuda e la donna dipinta, erano accolti con favore anche quadri come la “ Naissance de Vénus “ di Alexandre Cabanel, a riprova che non è il nudo che suscita scandalo, ma il modo in cui questo viene rappresentato. E se la donna nuda di Giorgione fra uomini del ‘500 veniva accettata,  la donna nuda di Manet fra borghesi e parigini provocava scandalo,  perché era chiaramente una prostituta e demistificava comportamenti non rappresentabili. Il pubblico si incantava davanti a quelli che furono definiti i nudi “pompier”, sotto l’influsso dell’Accademia di Belle Arti, irreali, ambientati in una falsa mitologia, seducenti ma in fondo già visti, purché rappresentati in una realtà idilliaca e remota. Ma quando  Paul Jean Gervais, che pure appartiene a questa scuola, propone un nudo in una dimensione reale, un appartamento parigino, le reazioni sono nuovamente di indignazione.  L’opera si ispirava ad un racconto di Michaux, che parla di un eroe romantico che non riesce a trovare il suo posto nel mondo e decide di suicidarsi dopo aver dato il suo ultimo soldo a una puttana. È una storia non priva di morale, ma quello che si vide al Salon fu che c’era una prostitute sul letto, che c’era un cliente, e questo non poteva essere accettato. La pietra dello scandalo era non solo la contemporaneità dell’ambiente,  ma la rappresentazione di alcuni strumenti della professione,  in particolare un corsetto. Questo corsetto era stato aggiunto da Gervais su consiglio di Degas.
Anche Degas era un pittore ossessionato dal nudo femminile, ma a differenza dei suoi predecessori era interessato al movimento,  al gesto da riprodurre con la massima naturalezza sulla tela. Degas ha infatti dipinto centinaia di donne nude che faceva posare mentre compivano delle azioni, praticando una poetica del gesto, mentre le modelle si pettinavano, si asciugavano, ecc…e non erano più modelle prese a caso, ma lavoratrici regolarmente pagate. Degas presentò i suoi lavori alla mostra degli impressionisti nel 1886 e, per quanto destassero un certo sconcerto, piacquero anche molto e diventarono oggetto quasi di culto. Due anni dopo la sua morte,  avvenuta nel 1917, il mercato impazzisce e, nonostante la guerra, i mercanti d’Europa si precipitano a Parigi per acquistare i suoi lavori.
A un certo punto però succede qualcosa, sul Mercure des France, un’importante rivista, viene pubblicato un racconto in cui una modella di Degas , Pauline,  prende la parola e racconta la sua esperienza con l’artista, lo descrive come un uomo violento,  burbero, irascibile e capace di qualsiasi maltrattamento. Finalmente una modella parla e non è un caso che è il 1919, cioè quando le suffragette inglesi hanno già vinto la loro battaglia, sono diventate elettrìci. Sta nascendo una nuova donna, la guerra mondiale ha portato una ventata di indipendenza da cui non si potrà tornare indietro. Questo non vuol dire che il nudo fosse improvvisamente accettato, ma che anche le donne e le artiste si stavano impadronendo di questo soggetto e prendevano la parola.
Ma se i nudi di Matisse ad esempio non suscitavano più scandalo, i nudi delle pittrici ancora venivano accolti con freddezza. Nel 1910 Natal’ja Gončarova fa dei nudi in Russia e non vengono accettati; nello stesso anno a Parigi, Romaine Brooks, la pittrice nata a Roma ma americana, espone un quadro di nudo di donna  e suscita scandalo, perché la modella si offre con assoluta indifferenza e la pittrice, lesbica e militante dei diritti dei “lapidati”, di coloro che vivono fuori dal coro, rifiuta di erotizzare il nudo femminile, di mostrarlo come strumento di piacere e lo rovescia completamente. La stessa cosa fa Suzanne Valadon, che era stata una modella di Degas, e che a sua volta sceglie di rappresentare i nudi femminili in chiave polemica: non idealizza mai le sue donne, che sono di estrazione popolare, le raffigura spesso in gesti quotidiani,  deliberatamente spogli di ogni seduzione. Non è più il “ buco della serratura” di Degas, il corpo è  uno strumento di lavoro per la ragazza come per la pittrice che la dipinge. Negli anni ’20 , Tamara de Lempicka, come altre artiste, si impadronisce del soggetto, del corpo femminile per celebrare l’indipendenza e la libertà delle donne moderne. Sono amiche, sono amanti tra loro, sono capaci di usare il loro corpo con spregiudicatezza, di cogliere lo sguardo degli uomini, però per volgerlo a loro vantaggio. Questo rovesciamento dello sguardo accade simultaneamente fra le scrittrici, le narratrici, le donne che guardano, le spettatrici di un museo e appunto le artiste stesse, come ci ricorda Melania Mazzucco anche parlando del suo libro , Self Portrait, edito da Einaudi.
L’ultimo grande scandalo parigino riguarda il nostro Modigliani e la famosa mostra del 1917 , che non ebbe mai luogo perché fu chiusa prima ancora di essere inaugurata. La gallerista Berthe Weill, anche in questo caso una donna, poi diventata curatrice anche di Picasso e di Matisse, scelse di esporre i nudi di Modigliani, che però furono censurati. Ancora una volta forse scandalizzava il pelo pubico, forse la complicità erotica, l’erotismo onirico che traspare da questi quadri.
Tutte queste opere oggi in realtà non suscitano più scalpore, mentre forse altri nudi oggi creano disagio, quadri che invece quando sono apparsi non hanno mai suscitato imbarazzo. E sono i nudi che possiamo chiamare “orientalisti”. Ora Ingrès aveva involontariamente lanciato la moda che si ispirava ai grandi nudi del Rinascimento, però poi il tema dei nudi orientalisti divenne assai ricercato nella Francia ottocentesca: immagini di bagni turchi,  schiave, a volte schiave nere, erotismo orientale. Però è interessante notare che questo soggetto orientale accompagna la conquista coloniale francese dell’ Africa del Nord, l’Algeria nel 1830, la Tunisia nel 1881 e alla fine anche il Marocco agli inizi del ‘900. Con queste immagini in qualche modo si depoliticizzava la conquista e infatti non è  un caso che in Italia il nostro orientalismo è  successivo di svariati decenni, accompagnando la nostra sventurata avventura coloniale. A questo orientalismo appartengono ancora le fotografie delle abissine nude  sulle riviste italiane, il nostro cinema muto esotico, il romanzo esotico coloniale e perfino la canzonetta “Faccetta Nera” , che è in fondo un frutto marcio di questo stesso clima.
In Francia piacevano moltissimo questi quadri e uno dei temi preferiti dei dipinti era il mercato degli schiavi, le ragazze in vendita, sistematicamente nude, che vengono esposte alla valutazione di uomini vestiti, dotati ovviamente di denaro e potere. Artisti e spettatori occidentali apprezzano questo topos dell’umiliazione, che è  il punto di convergenza tra la dominazione del maschile sul femminile  e dell’Occidente sul resto del mondo. Il pittore Gérôme, che era uno specialista di questo tema, esprime questo concetto senza giri di parole: “ Noi non potremmo mai partecipare a questo genere di cose e mi contento di consegnare accuratamente questo fatto : che delle razze meno illuminate si danno al commercio delle donne nude e convenitene, è eccitante. “
Si , era eccitante, ed esistono centinaia di quadri con questo soggetto, però oggi sono quasi tutti nascosti nei musei di provincia e nei depositi dei musei, proprio come una volta sono state nascoste le Danae e le Veneri, troppo vere , troppo sessuate.

Le parole di Gérôme ci rivelano che queste immagini non erano semplici reportage di fatti accaduti e quindi oggi ci scandalizza non la verità dell’immagine, né l’allusione a dei comportamenti immorali che possiamo addirittura leggere come una denuncia dell’ipocrisia della civiltà ottocentesca,  non ci scandalizza neanche il realismo fotografico, ma ci è intollerabile lo sguardo  e quindi nell’arte , come ci ha suggerito Mary Richardson, tutto dipende dal punto di vista.

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