In scena al Teatro Mercadante di Napoli, dal 24 al 26 gennaio 2025, “Bérénice”, liberamente ispirato all’omonimo capolavoro di Jean Racine del 1670.
Concezione e regia di Romeo Castellucci, che ha costruito un monologo perfetto per Isabelle Huppert, iconica attrice di cinema e teatro.
Talentuoso e pluripremiato regista, Castellucci fa del proprio teatro una grande opera d’arte, intrecciando nei suoi lavori musica, scultura, pittura e architettura.
IL CAST
Con la partecipazione di Cheikh Kébé e Giovanni Manzo. Completano il cast Pasquale Aprile, Renato Bisogni, Matthew Ford, Tony Iannone, Emanuele Martorana, Maurizio Oliviero, Alessio Palumbo, Dario Rea, Rodolfo Salustri, Alberto Scozzesi, Salvatore Testa, Frank Wolleb.
La musica originale è di Scott Gibbons, i costumi di Iris Van Herpen.
LA STORIA
Nel 79 d.C. l’imperatore Tito, sottomessa la Giudea, durante la campagna bellica incontra la regina Bérénice e se ne innamora, ricambiato. La porta a Roma e promette di sposarla.
Anche Antioco, re di Commagene e amico di Tito, ama Berenice. L’imperatore però, per la legge e il costume romani, non può sposare una straniera. Antioco porterà alla regina il fatale annuncio. Berenice, disperata, incredula, pur sapendo che Tito nutre per lei un sentimento profondo, rinuncerà al suo grande amore.
NOTE DI REGIA
Per Castellucci, “Ciò che rende contemporaneo Racine è precisamente la sua inattualità. Il metro alessandrino dei suoi versi è la forma congelata di un quadro umano paralizzato dallo stallo tragico e dalla disfunzione del linguaggio. L’amore è il Teatro della Crudeltà. Le rinunce qui hanno più peso delle azioni, del sangue o degli accoppiamenti…Teatro paralitico, Bérénice è probabilmente la ‘tragedia’ più immobile, statica e snervante che sia mai stata concepita. Eppure si piange”.

Cheikh Kébé e Giovanni Manzo in scena
LA PIÉCE
Un allestimento potente, evocativo, tra drappi e dissolvenze, con la scena avvolta in una sottile nebbia, si fonde con i suoni ipnotici e martellanti creati da Gibbons. Alti metronomi scandiscono il tempo con duri colpi, i beat di un cuore straziato, condannato a morte. Un paesaggio sonoro dissonante che esalta gli stati d’animo, il precipitare nella disperazione e nella solitudine.
All’inizio della rappresentazione, freddamente sul fondale scorrono le percentuali della composizione chimica dell’essere umano.
Entra in scena la regina Bérénice, con il nome dell’interprete (Isabelle) proiettato sui teloni del fondale.
Pochi elementi simbolici nella piéce: un termosifone, una lavatrice, un drappo sporco di sangue, specchi, veli, due fili di raso rossi e blu, poche immagini.
La voce di Huppert è stentorea, possiede il ritmo dei versi alessandrini, per poi dare sfogo a picchi emotivi, dissonanze foniche ed emotive, grida disperate.
Cheikh Kébé (Tito) e Giovanni Manzo (Antioco), danzano, si incontrano/scontrano, così come si muovono ombre, sagome amorfe trasformate in quadri viventi, silenziose presenze.
Veli inondano la scena a ricoprire il fondale bianco.
I performer innalzano anche una croce greca, simbolo della “passione”.
L’ultima veste rossa, regale che Berenice/Isabelle indossa fa da contraltare ad una dalia gigantesca che appassisce assieme all’amore.
La voce dell’attrice è alterata, poi frantumata, fino a scappare gridando “Ne me regardez pas”…non guardatemi…
Energia incredibile, bellezza, maestosità caratterizzano l’interpretazione della diva meritatamente acclamata dal pubblico assieme al bravo cast.
(foto di Alex Majoli)