Vincente nella Fanciulla del West data al Teatro San Carlo il 16 aprile scorso, con repliche a seguire (la recensione si riferisce allarecita de 29 aprile) è stata soprattutto la potente Anna Pirozzi nel ruolo della protagonista che ha dato prova, oltre che del vigore delle sue risorse vocali, anche di una sfaccettata gamma di gradazioni espressive scandite tra l’incisività ritmica da una parte e la distensione melodica dall’altra, nel connotare la personalità molteplice di questo insolito personaggio pucciniano che si muove nell’ambiente oleografico del West dei cercatori d’oro in un mondo tutto maschile (se i fa eccezione per il personaggio secondario dell’indiana Wowkle, nella circostanza sostenuto dalla ottima Antonia Salzano) di uomini rudi ma anche nostalgici e fragili verso cui ella si pone con piglio amicale e materno ma altresì autorevole in senso morale, e che infine vive con forza e determinazione la sua prima esperienza d’amore spinta fino a condurre alla salvezza il bandito Dick Johnsonl oggetto del suo amore.
Nella ripresa dell’allestimento dato al San Carlo nel 2017 a firma di Hugo De Ana per regia, scene e costumi, cui si aggiunge qui la ripresa registica di Paolo Vettori e le luci ideate da Vinicio Cheli affidate a Virginio Levrio affiancato nelle videoproiezioni da Sergio Metalli, è emersa la caratterizzazione riuscita di un ambiente che trascorre dal salon della “Polka” del primo atto di cui è padrona la protagonista, alla capanna intima di Minnie del secondo, suggestivamente immersa ad un tratto nella tormenta di neve, allo spazio aperto tra le montagne della California in cui si svolge la caccia all’uomo che una volta catturato è condotto alla forca prima che il risoluto intervento della donna riesca a sottrarlo alla morte attraverso la sentita opera di persuasione esercitata su quegli stessi uomini ora spietati verso cui aveva sempre rivolto le sue amorevoli premure.
La redenzione finale si svolge nelle suggestive luci di un orizzonte dai colori caldi verso cui si allontanano per una nuova vita i due protagonisti in un happy end quasi cinematografico. Alla riuscita rappresentazione scenica si associata la musica interessantissima di Puccini che in quest’opera tratta dal dramma di Belasco e scritta per il Metropolitan di New York era consapevole di operare rispetto al percorso compiuto fino ad allora, un processo di rinnovamento del proprio linguaggio musicale con la precisa volontà di non rimanere, secondo le sue parole, “nella retroguardia”. Lo sguardo nuovo doveva riguardare più che il soggetto l’armonia e l’orchestra.
E di fatto i critici americani notarono nella musica di Puccini, più di quelli italiani, una forte impronta di modernità del tutto personale.
Dunque il valore di tale proposta del San Carlo è proprio immanente all’occasione di riascoltare la musica di questa fase artistica dello stile pucciniano in un’opera meno rappresentata rispetto ad altri capolavori del musicista toscano.
La direzione musicale del britannico Jonathan Darlington seppur diligente e duttilmente assecondato dal complesso sancarliano, non ha dato però più di tanto alla sottolineaura di quegli aspetti innovativi di cui si diceva, ben compresi da un musicista del calibro di Anton Weber che osservava, come riportato nel programma di sala: «Poco tempo fa Jalowetz ha diretto La fanciulla del West di Puccini. Sono sorpreso: è una partitura che suona in modo del tutto originale. Splendida.
Ogni battuta sorprendente. Suoni molto speciali. Non c’è ombra di Kitsch! […]devo dire che mi è piaciuta molto».
E così non sono risultate particolarmente in rilievo quelle valenze sonore alla Strauss o i tratti preespressionistici della partitura così come la straordinaria ricchezza timbrica e motivica del tessuto sinfonico che avrebbe potuto essere molto più scandagliato.
D’impatto l’esordio collettivo e orchestrale dell’opera che introduce nell’atmofera della locanda e della sua varia umanità.
Bella resa quella del coro per sonorità e coloriti timbrici e dinamici bravamente diretto da Fabrizio Cassi. Lo sceriffo Jack Rance, sorta di Scarpia americano, affidato al baritono Gabriele Viviani preciso e ben stagliato nella vocalità, è posto in primo piano nel suo approccio con Minnie nella locanda attraverso l’immobilizarsi della collettività in un quadro di sfondo atto a focalizzare l’attenzione sui due personaggi antagonisti del dramma, per raggiungere il culmine della sua espressione vocale e interpretativa nella scena ad alta tensione della partita a poker del secondo atto particolarmente avvincente. Attorialmente convincente il Johonson- Ramerrez di Martin Muhele, a volte disuguale nella resa vocale ma musicalmnte affascinante e nel complesso appropriato nel ruolo che affianca la protagonista col suo aspetto di “fuorilegge gentile”.
Tanti i ruoli vocali comprimari che fuoriescono dalla collettività con precise caratterizzazioni, tra cui segnaliamo tra gli altri quello del sensibile cameriere della Polka, affidato al tenore Alberto Robert, il vivace Ashby di Mariano Buccino, il commovente Sonora di Leon Kim, il minatore Larkens del basso Lorenzo Mazzuchelli dalla voce profonda e toccante.
Un po’ debole e poco coinvolgente la voce di Gabriele Ribis nella parte del cantastorie girovago Jack Wallace, la cui melodia della canzone di scena ritorna addirittura nel finale, e che dovrebbe incarnare con maggiore verità uno dei due aspetti fondanti dell’opera quello della nostalgia e della dolcezza ( emergente ad esempio nei due sentimentali duetti d’amore del primo e secondo atto) rispetto all’altro rude e forte che dominano nel mondo qui rappresentato così come nell’animo stesso della protagonista.
A tali tratti corrispondono di volta in volta musicalmente diatonismo, regolarità fraseologica o all’opposto linguaggio dissonante, frammentazione, asimmetria, in un lavoro dalla prospettiva sincretica, per citare Bernardoni, il cui pluringuismo stilistico che spazia da Wagner al Puccini tradizionale, dai linguaggi novecenteschi a venire alla citazione del folklore americano, con atteggiamento compositivo più distaccato rispetto ai materiali trattati, è di per sé un valore nella programmazione artistica del teatro San Carlo. Calorosi gli applausi di un pubblico numeroso e piacevolmente vario per età.
Rosanna Di Giuseppe
Foto di Luciano Romano ©