Cremona, 11 giugno 2025 una serata di musica e pathos al Teatro Ponchielli per il Festival Monteverdi con una delle artiste più attese del panorama lirico internazionale Cecilia Bartoli.
Un teatro gremito, atmosfera da grande evento, per Orfeo ed Euridice di Gluck, versione di Parma del 1769 edizione critica di Frédéric Delaméa basata su un manoscritto conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma, una versione interessante in quanto rappresenta un ponte tra la versione originaria viennese 1762 e quella francese del 1774 con un Orfeo pensato per voce di mezzosoprano e una scrittura orchestrale più allargata.
Ottima la scelta di adottare questa versione, in quanto ci consegna un Gluck meno accademico e più teatrale esattamente in linea con la visione emozionale e narrativa della produzione.
Cecilia Bartoli un trionfo di intensità e misura, di bellezza vocale e profondità teatrale “non interpreta Orfeo lo incarna”, il dolore del personaggio è trattato con pudore che lo rende ancor più devastante.
Una produzione in forma semi-scenica che fa del “poco” un punto di forza, in quanto l’assenza delle scenografie è compensata da un uso intelligente dello spazio, il teatro si fa vivo e Cecilia si sposta tra il pubblico in platea trasformando il Ponchielli in un dispositivo emotivo aperto, con effetti luci essenziali, permettendo alla musica di arrivare senza filtri, in una teatralità diretta e coinvolgente.
E che dire della voce della Bartoli, ha del prodigioso nella celebre “che farò senza Euridice” non inizia col consueto climax ma con una forza potente, lontana da ogni enfasi melodrammatica, privilegiando l’intimità e il dolore trattenuto, con un perfetto fraseggio, un controllo impeccabile e un uso magistrale dei colori, la Bartoli ci regala un momento di pura verità teatrale.
Eccezionale e curatissima la direzione di Gianluca Capuano, che con i suoi “les Musiciens du Prince” respira e dialoga con le voci, con un fraseggio netto, tempi energici ed eccelsa pulizia stilistica. Accanto alle voci, splendide le prove dei solisti strumentali, il flauto obbligato di Pablo Sosa Del Rosario nel celebre “che puro ciel” ha brillato per morbidezza e fraseggio elegante dialogando con Orfeo come una voce interiore, di rilievo anche l’oboe solista di Pier Luigi Fabretti che ha saputo restituire con toccante espressività i colori malinconici dell’Elisio. Entrambi gli strumenti si sono imposti non come semplici accompagnatori, ma come veri e propri personaggi musicali, capaci di amplificare e riflettere le emozioni dei protagonisti.
Melissa Petit incarna Euridice e Amore con freschezza vocale, chiarezza timbrica, musicalità e precisione d’intonazione, ottimo il coro “il Canto di Orfeo” guidato da Jacopo Facchini che offre una prova di altissimo livello, amplificando l’azione con potenza e intelligenza drammaturgica, ha sfoggiato impasto scuro e precisione ritmica nei cori infernali, negli episodi elisiaci leggerezza e luminosità timbrica con un perfetto controllo delle dinamiche, di rara profondità emozionale il finale che ha lasciato il pubblico in un silenzio emozionante.
Un vero e proprio trionfo artistico che ci ha restituito un Gluck vivo e brillante, il Teatro esplode in un applauso lungo e sentito, con il pubblico in piedi, una vera ovazione, coronata da una pioggia di rose bianche lanciate sul palcoscenico, che sintetizzava l’emozione autentica della sala, quella di aver assistito non ad un concerto, bensì ad un’esperienza artistica intensa e indimenticabile.
Gabriella Spagnuolo