Catania – Si è chiusa il 20 settembre 2025, nello scenario unico del Teatro Romano di Catania, l’edizione 2025 del Festival Lirico dei Teatri di Pietra con una serata interamente dedicata a Carmen di Georges Bizet, proposta in forma di suite. Una chiusura che ha unito musica, danza e divulgazione, in un’atmosfera sospesa tra la storia millenaria del luogo e il fascino immortale del capolavoro francese.
L’evento, curato dal Coro Lirico Siciliano con la direzione artistica del maestro Francesco Costa, ha rappresentato un momento di grande suggestione, capace di conquistare il pubblico grazie a un equilibrio di musica, racconto e spettacolo.
Una chiusura che, al di là dei risultati vocali non sempre all’altezza, sarà ricordata soprattutto per l’eleganza e la cultura di Enrico Stinchelli, che ha saputo trasformare una sequenza di estratti musicali in un vero viaggio nell’universo bizetiano. Critico musicale, divulgatore e uomo di spettacolo, Stinchelli ha conquistato il pubblico con il suo eloquio raffinato e incisivo. Alternando spiegazioni storiche, curiosità biografiche e osservazioni musicologiche, ha illuminato il genio di Bizet e la modernità di Carmen. Significative le sue parole: «Carmen non è solo una donna, è un’idea: la libertà che spaventa e seduce, ieri come oggi».
E ancora, parlando del compositore: «Bizet morì giovane, a soli 36 anni, convinto di aver fallito. Non seppe mai che la sua opera sarebbe diventata la più rappresentata al mondo: questa è la grande ironia del destino».
La sua presenza elegante, colta e coinvolgente ha dato coerenza all’intera serata, trasformando un concerto in un’esperienza culturale completa. Stinchelli è stato il vero protagonista morale.
Attesa era la performance di Anita Rachvelishvili, che ha confermato la bellezza dei registri bassi e medi, ricchi e avvolgenti, ma con acuti meno sicuri, spesso faticosi e privi dello smalto che un tempo la rese la Carmen per eccellenza. Ne è emersa un’interpretazione comunque magnetica, ma più segnata e terrena. Il tenore Eduardo Sandoval (Don José) e il baritono Liu Haoran (Escamillo) hanno offerto prove generose, ma non pienamente convincenti: Sandoval discontinuo nella linea vocale, Haoran corretto ma non incisivo nel celebre “Toreador”.
L’Orchestra in residence del Festival, diretta dal maestro Costantin Rouits, ha dato energia e colore. Qualche incertezza nei “soli” strumentali (oboe e flauto non perfettamente insieme, forse qualche problema tecnico e l’uso discutibile del corno inglese in sezioni non previste) hanno evidenziato fragilità, ma senza compromettere l’insieme. Se le voci solistiche hanno lasciato qualche perplessità, il Coro Lirico Siciliano, preparato dal maestro Francesco Costa, è stato invece la colonna portante della serata. Sin dall’ingresso, compatto e potente, ha saputo riempire il Teatro Romano con un suono corposo, disciplinato ma sempre vibrante di energia teatrale.
Ogni intervento corale è stato un momento di suggestione collettiva: dalle sezioni più energiche e ritmiche, cariche di vitalità popolare, ai passaggi più lirici e solenni, il coro ha dimostrato una padronanza tecnica di altissimo livello, capace di fondere precisione ed espressività.
Non è un caso che proprio nei brani corali si siano registrati gli applausi più convinti e prolungati della serata: il pubblico ha percepito la qualità, la preparazione e soprattutto la capacità del Coro Lirico Siciliano di vivere la scena con intensità, non limitandosi a “cantare”, ma a interpretare. Il merito è anche della continuità con cui il Coro, in questi anni, si è affermato come una delle realtà corali più solide e richieste del panorama lirico italiano ed europeo. La prova di Catania lo ha confermato: presenza scenica, eleganza nei piani sonori, chiarezza nella dizione francese, e quella forza corale che trasforma un insieme di voci in un unico grande organismo sonoro.
Applauditissimi i danzatori andalusi Javier Moreno Martinez e Isabel Ponce (anche autrice delle coreografie) che con la forza del flamenco hanno arricchito lo spettacolo di sensualità e calore visivo.
Tra i momenti più riusciti, il quintetto “Nous avons en tête un affaire” del secondo atto, con Alberto Maria Munafò, Leonora Ilieva, Davide Benigno, Antonella Arena, rispettivamente Remendado, Dancairo, Frasquita , Mercedes, oltre naturalmente ad Anita Rachvelishvili : una pagina vivace e perfettamente amalgamata, che ha restituito al pubblico leggerezza teatrale e autentico divertimento. Bene anche Emanuele Collufio nel ruolo di Zuniga .
La serata ha mostrato come un progetto culturale di questo respiro non sia soltanto spettacolo musicale, ma occasione di incontro e condivisione. Il folto pubblico, accorso numeroso e ordinato, ha potuto vivere un’esperienza che intrecciava musica, danza, divulgazione e patrimonio.
Il Teatro Romano, meravigliosamente restituito alla città, è apparso come un tempio ritrovato: tra le pietre antiche rischiarate da luci calde, le note di Bizet sembravano fondersi con l’eco della storia, portando nuova vita in un luogo millenario. Quando gli applausi finali hanno spezzato il silenzio della notte catanese, il teatro vibrava ancora della sua doppia anima: monumento della memoria e spazio vivo di identità collettiva.
Gabriella Spagnuolo