L’omaggio a Virginia Woolf di Anita Mosca

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Attrice, regista, drammaturga e traduttrice, Anita Mosca porta in scena sempre preziose pagine di teatro, ancor più importante in un’epoca che cancella la cultura come dialogo, che calpesta quotidianamente i diritti umani nell’indifferenza generale.

Intervista

A Vico Equense hai portato il tuo nuovo spettacolo di danza letteraria “Una stanza tutta per sé. Omaggio a Virginia Woolf”: ce lo racconti?

“Una stanza tutta per sé” ha avuto una doppia genesi. La psichiatra e intellettuale brasiliana Cláudia Duarte Lanna, che è stata una delle mie interlocutrici più preziose durante il mio decennio brasiliano, a settembre 2024 venne a trovarmi a Napoli dall’Olanda, dove attualmente vive ed esercita, e mi regalò il libro Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf, dicendomi: non è importante che tu l’abbia già letto o no, è un invito a tornare alla tua scrittura. Più tardi, a febbraio 2025, Rosario Liguoro mi parla di un suo progetto di danza letteraria, binomio coniato e concettualizzato insieme alla coreografa Elena D’Aguanno durante la loro pluridecennale collaborazione. L’occasione per mettersi al lavoro arriva con Racconti per ricominciare 2025 a cura di Vesuvioteatro, il festival green nato durante il covid e diventato caro ad addetti ai lavori e spettatori, anche perché propone spettacoli in luoghi mozzafiato per bellezza architettonica e/o naturale della nostra regione. Ci mettiamo così a lavoro per una performance di 50 minuti senza uso di microfoni da presentare alla luce naturale del tramonto, come vuole la tradizione del Festival. Io lavoro come drammaturg, cucendo e ricucendo le parole del famoso saggio della Woolf, e come attrice, tentando di corporificarle in maniera organica ed autentica. Il suono è stato curato da Julia Primicile Carafa che scrive le musiche originali e le interpreta dal vivo in scena. I movimenti sono stati ideati e realizzati in scena da Lia Gusein – Zadé. L’intreccio di tre linguaggi, dunque, suono, movimento, parole per parlare ancora una volta di occasioni negate, differenze di genere, opportunità vietate alle donne, cento anni fa come ci racconta la Woolf, così come oggi, perché il genere femminile viene ancora ripetutamente discriminato nella maggior parte degli ambienti professionali oltre che familiari. Essere donna implica ancora troppo spesso la negazione di molteplici possibilità ed opportunità.

Tu sei maestra nell’impiego teatrale e letterario delle parole e dei linguaggi ibridati, della contaminazione culturale: in questo lavoro fondi lingua, corpo e musica…

“Si, in Una stanza tutta per sé si fondono tre linguaggi parola, movimento, suono che quasi sempre accompagnano le mie proposte teatrali. Vengo dal Teatro e dal Teatro danza, quando l’attore prima di arrivare alla parola lavorava sul corpo e attraversava diverse esperienze fisiche come il mimo, tai-chi, improvvisazioni di movimento etc. E sono particolarmente legata anche alla musica dal vivo sempreché sia possibile averla. Trovo i musicisti in scena di una particolare bellezza. Dunque, mi sono sentita completamente a mio agio di costruire insieme alle mie compagne di scena, Julia Primicile Carafa e Lia Gusein-Zadé immagini e scene, interazioni, gesti e sospensioni. Ad ogni modo, l’ideazione e il coordinamento registico di Una stanza tutta per sé è di Rosario Liguoro, con la collaborazione e la supervisione al movimento di Elena D’Aguanno. Entrambi sono per me due rincontri importanti, significativi. Avevo già lavorato con loro 25 anni fa. Poi la vita mi ha portata altrove, mi hanno attraversata altre esperienze, altre lingue, altre culture. Eppure, tornare a Napoli e trovare persone che continuano con la serietà e professionalità di sempre ad occuparsi di teatro, danza, cultura mi ha aperto il cuore. Un po’ come ritrovare parte del proprio clan, votato alla bellezza e alla poesia, all’incertezza del percorso artistico come stato di grazia, come rischio, piuma e schianto di un ofício che ha senso continuare a fare solo se autentica vocazione, solo se ineluttabile scelta, che poi a pensarci bene, è quasi un’eresia in un mondo teatrale così cambiato, fatto di grandi numeri, grandi eventi, grandi produzione e una manciata di repliche sul territorio, senza più circuitazione, soprattutto del teatro indipendente, quello che nasceva e continua a nascere da urgenti pulsioni, che si prende la responsabilità di spezzare le ossa della colonna vertebrale del contemporaneo, come ci suggerisce Agamben, e tenta di portare in scena queste ossa, per cantarci sopra insieme. Rituali. Inutili, si potrebbe dire. Certo, inutili e necessari allo stesso tempo. Un ossimoro, essenza intrinseca alla definizione stessa di Teatro, a mio modesto avviso. Perché il Teatro non serve quasi più a nulla in un mondo fatto di profitto e competizione. Tuttavia, se e quando il Teatro morirà, morirà anche immediatamente l’umanità, condannata a miserabili esistenze, trascinate tra supermercati, surrogati di divertimento organizzato e schermi blu accesi”.

Anita Mosca (Foto di Angelo Orefice per Vesuvioteatro, Racconti per ricominciare 2025)

Quale sarà il tuo prossimo impegno teatrale? Ti vedrà ancora in Italia o in giro per il mondo?

“Molti i progetti per la prossima stagione che mi vedranno impegnata soprattutto a Napoli. Sarà certamente una mia percezione alterata, ma sono tornata definitivamente da troppo poco tempo per sentire Napoli come un orizzonte limitato e limitante. Al contrario, la guardo e non mi sembra ancora vero di esserci tornata a vivere stabilmente. Ho desiderato tante volte tornarci, anche se vivevo avventure professionali straordinarie in America Latina e prima ancora nel Vicino Oriente. Si potrebbe pensare al solito malato amore incondizionato per una città millenaria, oltremodo amata e oltraggiata da tutti, che è tutto e il contrario di tutto. Anch’essa un ossimoro, come diceva Moscato. Forse. Ma c’è qualcosa di molto più intimo, forse più semplice che mi lega a questa città. È la mia. Le vedo tutte le sue meraviglie e le sue disgrazie. Ogni giorno, appena mi sveglio. Però io ne faccio parte, sono una donna, una teatrante di questo tempo e di questa città, sono a casa. Una condizione privilegiata nel nostro tempo segnato da grandi migrazioni forzate. È finita dunque per me la stagione della vagabondanza salvifica, le peripezie dell’altrove, ma anche lo stato faticoso di ospite, che ha in sé qualcosa di malinconico, saudoso, come dicono i brasiliani. Ho voglia, dunque, di stare, sedimentare, affondare le radici nella mia memoria, tornare alla mia lingua di raiz, scrivere le storie che mi abitano e che ho messo da parte per tanti anni, perché impegnata in altri progetti ad altre latitudini”.

Tanta violenza, individualismo, incultura, dilagano: eppure i teatri e le belle rassegne di spettacolo sono piene. Una grande speranza per il futuro…

 “Non solo violenza, individualismo, incultura ma anche orrore e disprezzo per la vita umana segnano il nostro tempo sciagurato. Un tempo di guerre spaventevoli che ci lasciano esterrefatti, che ci costringono ad assistere alla degradazione più oscura dell’essere umano. Abbiamo tutto da rifare, da ricostruire, dire, fare, agire. Non possiamo rimanere a guardare attoniti, storditi, immobili davanti alle atrocità del nostro tempo. Dobbiamo farci ognuno mondo diverso, mondo di vita, mondo possibile di rinascita, propagatori di giustizia e solidarietà. Il Teatro è chiamato a contribuire a rispondere a questi terrificanti scenari di guerra, a rompere silenzi, connivenze, complicità. Il Teatro può e deve fare in questo momento con urgenza, con coraggio, con libertà. Questa la grande speranza per il futuro, che il Teatro non sia solo intrattenimento, ma anche mezzo potente per scuotere coscienze, che incarni una solida, inamovibile e pacifica forma di denuncia e di resistenza. Oggi, più che mai, nella nostra macro-area del Mediterraneo, il Teatro deve tornare ad essere strumento di dialogo, conoscenza, scambio e collaborazione tra i popoli”.

(Foto di Angelo Orefice per Vesuvioteatro, Racconti per ricominciare 2025)

 

 

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