Pacchiello, venditore ambulante di taralli caldi caldi e di guai neri neri

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Pacchiello, venditore ambulante di taralli grandi grandi grandi e guai neri neri” è uno spettacolo di Pasquale Ferro, tratto dal suo romanzo “Mercanti di anime e usura”, con la regia di Roberto Capasso che ne è anche interprete, con cui riapre dopo mesi di silenzio il Festival XS di Salerno per l’occasione ospite al Teatro Barbuti.
La drammatizzazione è di Roberto Ingenito, assistenti alla regia sono lo stesso Roberto e Maria Chiaravalle.
L’opera è ambientata in una “Napoli ubriaca e senza pudore”, in cui si sprigionano suoni neomelodici evocativi che ci collocano nell’oggi, ma la sostanza del racconto crudo e crudele sembra davvero atemporale. Il monologo vincitore nel 2019 del festival MonoDrama trae ispirazione dal ‘Riccardo III’ di Shakespeare per alcune caratteristiche del personaggio e non a caso si conclude citandone alcune battute con la voce di Leo de Berardinis, indimenticato attore e regista, che ne diede una sua personale interpretazione.
Nella rielaborazione scenica vi è la vita di Pacchiello che segnato dalla nascita da una menomazione fisica (ha la gobba come Enrico), per rivalsa esercita un potere sporco e cattivo, ma pur sempre potere: è uno strozzino avido e rapace, destinato alla solitudine e alla caduta.
Ormai vecchio, sciancato e detronizzato, Pacchiello tenta di vendere ai passanti i suoi taralli caldi e ci racconta i suoi guai neri, vicende umane sempre green, dove soldi, debiti, invidia, logiche clientelari, contrabbando, sesso, rancore, vinti e vincitori, si mescolano in una città ai margini della legalità, che intuiamo tetra e vorace. La scena prevede un l’alto carrello pieno di stracci che ospita ciò che rimane di un uomo in altri tempi temuto e ricco. Un fantoccio disteso sulla parte oscura del palco si animerà in un secondo momento. Le luci illuminano Pacchiello, lacero e sconfitto. Gli fanno compagnia diverse bambole di pezza con cui dialoga mentre il suo racconto si arricchisce di episodi e ricordi. Le ferite esistenziali si infettano per l’infanzia difficile, per una abbozzata omosessualità, per un risentimento viscerale verso tutto e tutti, ed esplosiva emerge la sete di rivincita che trova sbocco nell’odioso mestiere del cravattaro, senza scrupoli e senza pietà. Egli risponde all’angoscia della sua condizione affermando la sua volontà delinquenziale.
Roberto Capasso interpreta la parabola ascendente/discendente di questo personaggio dalla psiche contorta e dolente, tragico suo malgrado (difficile immedesimarsi, più semplice compatire), con discreto pathos, forse non al meglio dopo la forzata inattività, anche se nel complesso lo spettacolo risente di qualche orpello lessicale (vedi la favola di Cenerentola in versione noir) e di un ritmo disuguale.
Pubblico plaudente.
Visto al teatro Barbuti di Salerno giovedì 1 luglio 2021.

Dadadago

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