“Signorina Julie” di Strindberg, un perfido gioco al massacro

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La Compagnia “Giardini dell’Arte” di Firenze ha portato in scena  “Signorina Julie” di August Strindberg il 30 aprile 2022 al Teatro Genovesi, nell’ambito del 13esimo Festival Teatro XS Città di Salerno.
Scritto nel 1888 i suoi temi ispiratori hanno un’atemporalità che lo rendono tutt’oggi molto rappresentato, raccontano infatti di una “sindrome Buddenbrook” che caratterizza tutte le epoche in cui le grandi famiglie si estinguono ed avanzano le classi inferiori, ma anche del dissidio tra le varie classi sociali e delle complesse interazioni tra uomo e donna.
Siamo a fine ‘800 in una tenuta scandinava, il conte è fuori in visita a dei parenti, la contessina Julie che ha da poco rotto il suo fidanzamento, è rimasta a casa per la notte della festa di mezza estate, la notte magica di san Giovanni, vuole divertirsi e ballare con la gente in piazza, un modo in verità che poco si addice al suo rango, abbandonandosi anche a licenziosi comportamenti con il servo Jean. Il gioco di seduzione tra i due, che consumeranno anche un incontro sessuale, comporterà una lucida espiazione per Julie che si concluderà con la sua morte.
Tre i personaggi in scena, la signorina, donna in bilico tra peccato e redenzione, il domestico Jean uomo infedele e cinico, e Kristin, cuoca e fidanzata di Jean, donna obbediente quanto ambigua.
Il testo fu giudicato scandaloso da una società scandinava puritana e conformista, ma la potente indagine psicologica dei personaggi e la profondità dei temi drammatici trattati ben presto lo fecero apprezzare.
La scenografia è essenziale ed unica, pochi arredi, a sinistra una cucina, al centro un tavolo con le sedie, a destra una cassapanca dalla quale Jean, nel quadro iniziale, tira fuori gli stivali del conte che devono essere puliti. Una grande vetrata al centro scena propone, nella scena iniziale, un gioco di luce rosso intenso, preludio della tragedia?, che non lascia vedere fuori, ma da cui giungono l’eco di tamburi e della musica scozzese suonata nella festa.
Anche la contessina balla tra la gente, il servo Jean lo racconta in cucina alla cuoca Kristen, turbato dal comportamento audace della padrona, ma anche della sua incantevole bellezza.
Intanto la signorina irrompe in cucina e tira fuori Jean per un altro ballo. Il gioco della provocazione non cessa neanche al rientro, anzi la differenza di status tra i due stuzzica sentimenti diversi, Jean sottolinea il riprovevole comportamento della donna che, invece, forte della sua condizione sociale superiore, continua a tormentare il servo.
Lui si mostra coerente con le sue sfrenate ambizioni, a tratti aristocratico confessando che quel poco di francese lo ha imparato in Svizzera quando faceva il sommelier in uno dei più grandi alberghi di Lucerna, la signorina, dal suo canto, è una donna che odia gli uomini ed è vittima di un conflitto familiare generato dalla madre. Jean sempre più turbato, azzarda con audacia un bacio, quindi invita Julie nella sua camera che remissiva lo segue.
È il punto di non ritorno, anche se la forza di uno status non svanisce facilmente, per Jean bastano solo gli stivali del conte ad incutergli timore, nonostante sia stato a letto con la figlia del padrone; intanto rivela le sue ambizioni, cioè che il servo un giorno diventi proprietario, tra dieci anni rentier e poi, insignito di una decorazione blasonata in Romania, che non possa diventare addirittura conte. Jean ora, dopo il cedimento, è sprezzante, mentre sempre più impaurita e tra sensi di colpa è la contessina, in un crescendo di pathos il dominante e la dominata si abbandonano a confessioni del proprio passato, il primo intanto è feroce anche verso l’apparente irreprensibile Kristen di cui svelerà piccolezze nefandezze, quali fare la cresta dal droghiere, quella cuoca che non ha mosso un dito per evitare la tresca tra i due, sentendosi condannata all’obbedienza.
Il perfido gioco al massacro, di cui non riveleremo le ultime tragiche dinamiche, condurrà la giovane Julie a pagare in prima persona, compiendo quanto al padre non era riuscito e vendicando su sé stessa l’onta del disonore. Una messa in scena, accurata e pulita, fedele al testo originario.
La regia di Marco Lombardi conserva gli elementi fondamentali della drammaturgia e l’operazione di indagine psicologica del testo, ma semplifica lo spazio scenico in maniera da porre in primo piano i desideri pulsanti che connotano i protagonisti e la loro vicenda esistenziale. Julie e Jean, rispettivamente Raffaella Afeltra e Fabio Rubino, sono provocatori e sprezzanti, a ruoli invertiti, però, nel materializzarsi dell’intera pièce e nei diversi momenti scenici, ma anche molto dentro ai rispettivi personaggi, appropriati, mutevoli e rispettosi del ritmo scenico. La prima ci restituisce delicatezza, seduzione e levità, ma anche torbidità e disperazione, il secondo la rozzezza, l’ambizione, ma anche la sudditanza e il lucido calcolo.
Infine la cuoca Kristen (Brenda Potenza), personaggio di secondo piano, è coerente con quanto voluto dall’autore “è una schiava, un coacervo di dipendenza e ottusità, acquisite dinanzi ai fornelli, e satura morale e religione”, chiusa ora nell’obbedienza, ora anche nel sonno fisico che sul palcoscenico (è fuga?) l’allontana dagli eventi. Lo spazio scenico (Lorenzo Scelsi), i costumi (Fiamma Mariscotti) e il disegno luci (Silvia Avigo) hanno coerentemente interagito con le scelte registiche e dell’assistente alla regia Sandra Bonciani, ricreando quello spazio chiuso simmetrico con lo spazio emozionale di ognuno. Ogni tentativo di fuga all’esterno è destinato a fallire, prevalendo quella pulsione di morte scritta nelle regole dell’onore dalle quali, nonostante aneliti di emancipazione, Julie non riesce a sottrarsi, quindi restiamo inchiodati a questo spettacolo ottimamente costruito, seguendo le evoluzioni psicologiche dei personaggi e lasciandoci catturare dall’intensità recitativa dei protagonisti, senza desiderare alcuna fuga da questo hic e nunc “qui e ora, adesso”.

Marisa Paladino

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