La critica della musica registrata: nuove competenze

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Sebbene la riproduzione fonografica sia nata alla fine del XIX secolo, è solo nel secondo dopoguerra che la critica musicale ha iniziato sistematicamente a occuparsi delle registrazioni discografiche e degli allora rari film musicali.
Sia chiaro che l’informazione discografica è nata con il disco stesso, ma ben raramente i critici si sono impegnati nel recensire quelle che erano viste, con una certa sufficienza, come curiosità tecnologiche, più che come espressioni artistiche.
Dagli anni ’50 del secolo scorso però le recensioni di dischi di lirica e di sinfonica cominciano ad avere spazio sulle pubblicazioni generaliste e su riviste specializzate, con la particolarità di comparire sia su pubblicazioni musicali che in rubriche di riviste di apparecchiature audio.
Il retaggio di questa doppia collocazione è che dagli anni ’70 in poi le critiche di dischi, fonografici e VHS, prima, compact disc, dvd e blu-ray poi, si soffermano sulla qualità di presa del suono, sulla fedeltà audio, sulla definizione video, la presenza di sottotitoli in diverse lingue e di contenuti extra.
Nuove competenze vengono richieste al critico e questi deve essere anche dotato di apparecchiature che lo mettano in condizione di valutare qualità tecnologiche oltre che musicali.
In fondo, essendo l’opera il più multidisciplinare degli spettacoli dal vivo è ben evidente che la sua riproduzione richieda il massimo delle tecnologie disponibili e che criticarla nelle forme registrate coinvolga competenze amplissime.
Non ultima è richiesta la capacità di non lasciarsi influenzare dalle sempre più sofisticate tecniche di presa, registrazione e post-produzione del suono, in grado di modificare anche radicalmente l’esecuzione originale.
Non è un caso se negli ultimi cinquant’anni sono andati affermandosi professionisti molto ricercati e contesi, gli ingegneri del suono, alcuni dei quali provenienti dai ranghi della critica.
Alastair Reid, su www.journalism.co.uk afferma:
«Il giornalismo musicale è un settore altamente competitivo. Sono finiti i tempi in cui, come Lester Bangs, un aspirante giornalista poteva pubblicare una recensione negli uffici dei Rolling Stone e chiedere, o addirittura aspettarsi, una risposta.
Internet ha rivoluzionato il modo in cui le persone consumano la musica e con essa il modo in cui le persone leggono di musica, al punto che tutti possono sentirsi critic ed è più difficile che mai distinguersi tra la folla».
Così Reid perentoriamente formula un invito: «Sii creativo, divertiti».
Stevie Chick, docente di Giornalismo alla City University, sempre in journalism.com, rafforza: «Penso che più di ogni altro giornalismo, il giornalismo musicale abbia un quoziente di scrittura creativa davvero potente. C’è un sacco di margine per scrivere in modo creativo e si può inseguirlo».
Ed ecco arrivare il secondo invito: «Sii professionale!».
L’estro e la creatività saltano agli occhi, ma occorre ci sia sostanza, perché il lettore ammira la vetrina, ma poi vuole andare oltre. Non basta la fantasia, come non bastano proprietà linguistica ed appeal letterario: occorre dimostrare affidabilità.
Oggi un critico deve possedere una cultura musicale medio-alta, meglio se da compositore, per distinguere forme musicali, percepire le armonie, valutare il dettaglio di temi, soggetti e controsoggetti.
Ma nel campo dell’opera occorrono competenze nelle più diverse discipline che vanno dal teatro all’architettura, alla storia dell’arte, alla coreografia, alla recitazione; quelle elencate, per molte che esse siano, non sono sufficienti a redigere un buon pezzo, perché, è evidente che occorra una fluidità di scrittura per fare posto ai pensieri e alle considerazioni, attribuendo a ciascuno il peso giusto.
La sempre maggiore internazionalizzazione dei media si è andata a sommare a quella degli artisti e, se è vero che la lingua italiana ancora oggi sia compresa e parlata da pressoché tutti i musicisti e ancor più da cantanti e registi, è altresì vero che una recensione debba proporsi ad una platea planetaria  di lettori che riconosce nella lingua inglese quella più accessibile.
Pochi sono i critici italiani che per tempo e con competenza hanno scelto di tradurre in inglese, o meglio ancora di redigere  direttamente in quella lingua i propri lavori e tra questi occorre dare merito a Lorenzo Fiorito, docente universitario di lingua, prima ancora che critico, il quale di una recensione spesso offre sia una versione digitale su https://bachtrack.com/ in inglese che sulla rivista “Musica”, oltre che presentare gli eventi negli studi televisivi di una seguita emittente.
Tutto qui?
Purtroppo, non sempre e non più quelli elencati risultano requisiti sufficienti a svolgere la meravigliosa professione di critico musicale; sempre più al professionista della critica vengono richieste competenze di videoripresa e di montaggio: chi mai affiancherebbe a un non retribuito giornalista un costoso operatore?

Mariapaola Meo

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