Il fascino del Quartetto che raddoppia in Ottetto

0

Formatosi a New York nel 1976, il Quartetto Emerson, dal nome del poeta e filosofo americano Ralph Valdo Emerson, è tra gli ensemble da camera di maggior prestigio degli ultimi quarant’anni: al suo attivo più di 30 incisioni, 9 Grammy, 3 Gramophone Awards e molti altri riconoscimenti internazionali.
L’Emerson è stato, inoltre, uno dei primi Quartetti ad adottare l’alternanza dei due violini. Fin dalla propria fondazione nel 2000, il Quartetto di Cremona si è affermato come una delle realtà cameristiche più interessanti a livello internazionale, riscuotendo un animi consensi di pubblico e critica.

Giovedì 21 novembre alle ore 20:30, per l’Associazione Alessandro Scarlatti, sul palcoscenico del Teatro Sannazaro di Napoli, i due prestigiosi Quartetti, riuniti per l’occasione in una formazione unica, hanno dato vita ad un momento di musica irripetibile; nella seconda parte della serata, infatti, hanno eseguito L’Ottetto per archi op. 20 di Mendelssohn.
«Questo Ottetto va suonato da tutti gli strumenti nello stile di un’orchestra sinfonica. I piani e i forti debbono essere rispettati attentamente e sottolineati con più forza di quanto si usa in opere di questo genere».
Così raccomandava Mendelssohn per l’esecuzione del suo Ottetto per archi che esordisce con un Allegro in mi bemolle maggiore dalle linee melodiche sinuose ma svettanti, espressione della giovanile energia del sedicenne compositore che propone una forma inedita, non un doppio quartetto con sporadici unisoni, ottave o strutture da concerto grosso, ma un vero ottetto con ruoli paritetici tra gli strumenti.
L’Allegro lieggerissimo con uno Scherzo “a programma”, ispirato al Faust, al sabba della streghe della Notte di Valpurga, di Goethe. Poderosa la fuga conclusiva nel finale Presto dove appaiono echi da “Il flauto magico” di Mozart con i suoi misteriosi territori traboccanti di febbrile allegria mista a sapienza tecnica.
Ad aprire la serata invece, il quartetto di Cremona si è cimentato magistralmente nel “Rosamunde” di Schubert, datato 1824 e dedicato al violinista Ignaz Schuppanzigh, il compositore utilizza materiale tematico e strutture tratte dalle proprie musiche di scena per la Rosamunde di Helmina von Chézy: Il Menuetto riprende il Lied “Die Götter Griechenlands” (Gli Dei della Grecia). Le primissime battute ci rapiscono nel fluire di un racconto: è la capacità schubertiana di creare immediatamente un’atmosfera che sembra già esistere e nella quale veniamo immersi, grazie all’apparizione di un tema, qui affidato al primo violino, così semplice e così desolato. La primissima esecuzione pubblica fu un successo, che consentì al quartetto di venire presto pubblicato da un editore: un caso unico tra tutti i suoi quartetti, nella conferma che il rapporto tra il suo genio e il successo pubblico è stato aspro e poco gratificante.
A seguire il Quartetto Emerson, equilibratissimo, è stato impegnato nel “Razumowsky” op. 59 n. 2 di Beethoven. Era trascorso più di un lustro dalla pubblicazione dei celebri Quartetti op.18 quando nel 1806 il conte Andreas Rasumovskij, ambasciatore di Russia a Vienna, commissionò a Beethoven un nuovo quartetto per archi, che divennero i tre dell’op.59.
Non per mera piaggeria i Quartetti op.59 citano, utilizzano e variano alcuni temi russi, anzi, forse proprio quella iniezione di materiale motivico nuovo, le ascendenze modali e ritmiche di provenienza dall’ortodossia slava, stimolarono quasi quanto il compenso economico, il trentacinquenne musicista di Bonn.
La sapienza sinfonica e sonatistica acquisita da Beethoven nei cinque anni dopo l’op.18, conferiva al genio una consapevolezza nuova che gli permetteva di piegare alla forma-sonata anche materiale apparentemente incompatibile con le architetture viennesi e anche episodi a corale, di chiara derivazione russa, trovano collocazione assolutamente coerente nei Quartetti Rasumovskij.
Il Quartetto n.2 op.59 è impiantato in mi minore, tonalità tanto cara ai romantici quanto “agevole” per i violini.
Inconfondibile Beethoven: due accordi potenti schiudono il sipario, seguiti da un istante di silenzio. Poi, pianissimo, appare la frase spezzata del tema principale, nel costante accumulo della tensione espressiva. Il Finale è un frenetico Presto in cui compare quell’alternanza maggiore-minore, anch’essa cara alla musica popolare slava.
Una lettura narrativa, anche se non è consentito parlare di programma, conduce a individuare una sequenza di sentimenti dalla nostalgia del primo tempo, una radiosità di speranza nel secondo, un amore patrio nel terzo e una galoppata verso conquiste di libertà nel quarto e conclusivo.
É nel quartetto, dirà Luciano Berio, che «Il vascello della musica getta lo scandaglio nel mare più profondo»: successo “oceanico” al cospetto di una sala gremita ed entusiasta.

Mariapaola Meo

Stampa
Share.

About Author

Comments are closed.