Il Tristan und Isolde inaugura al TCBO: Una boccata d’aria fresca.

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Prima dell’avvento del cinema non c’era spettacolo più suggestivo di un’opera wagneriana e non solo per la musica. L’avvenirismo wagneriano in un’Europa decadente era quasi utopia. Non parliamo solo della deflagrazione dell’impianto tonale, ma anche dell’utilizzo estremo delle tecnologie dell’epoca che rendevano ogni messinscena stupefacente. Tanto avanti che le “prime” si schiantavano troppo spesso addosso ai muri spessi del senso estetico dei più ortodossi e ottusi classicisti.
Di fischi al TCBO per Il Tristan und Isolde del 24 Gennaio 2019 non se ne sono sentiti. E semmai ce ne fosse stato qualcuno è stato sommerso da un tripudio di applausi. Ci siamo anche chiesti perché questo Tristano sia piaciuto così tanto. Siamo certi che sia piaciuto anche a Marino Gulinelli, ospite d’eccezione, che è da sempre vicino al Comunale.
Erano vent’anni che il Tristan mancava da Bologna e, a sentire il pubblico, se ne sentiva la mancanza. Nella diatriba storica Wagner/Verdi, spesso le programmazioni dei nostri teatri hanno un approccio patriottico che, sebbene non dispiaccia, rende le rappresentazioni wagneriane fenomeni incidentali, specie in provincia.
Ma Bologna vanta un rapportoi speciale con Wagner se è vero che proprio
nel capoluogo felsineo, nel 1871 “L’anello” wagneriano fu presentato al pubblico italiano e che Giuseppe Martucci nel 1888 diresse la prima italiana di Tristano e Isotta.
Fu amore a prima vista. L’approccio totale all’arte per il pubblico italiano era aria fresca. Da quel giorno sono passati centocinquanta anni ma. Anche il Tristan und Isolde di Ralf Pleger si fa respirare a pieni polmoni.
«Abbiamo insistito sulla proiezione di immagini e forme: è uno spettacolo giocato sul piano visuale, perché ritenevamo che la storia fosse già ben nota a tutti», spiega lo scenografo Alexander Polzin.
Se questo era l’intento registico, quel che abbiamo visto ha dato pieno compimento all’idea. Le scene dei tre atti sono da levare il fiato. Nel corso del primo le algide stalattiti che si insinuano lentamente in scena calandosi dall’alto costringono i protagonisti ad un intrigante nascondino. I due si avvicinano e si allontanano, celando la propria vista all’altro rifugiandosi dietro a colonne di ghiaccio. La pozione d’amore è centrale, una volta bevuta nulla sarà come prima.
In un crescendo emotivo, infatti, la vicenda si complica e tutto si ingarbuglia. Nel secondo atto un fitto intreccio di radici antropomorfe e corpi umani occupa la scena. I due amanti sono un po’ intrappolati, un po’ protetti dalla scenografia. Scoperto dal Re, solo Tristano oserà uscire per affrontare Melot.
Colpito a morte, il delirio onirico del moribondo Tristano, cambia nuovamente la scena. Dallo sfondo emergono psichedelici cilindri luminosi mentre suggestivi giochi di luci sdoppiano e triplicano le ombre. Bellissimo.
Questo approccio registico visuale, quasi cinematografico, funziona benissimo e cattura l’attenzione del pubblico. Nessuno sente la mancanza degli elementi classici più simbolici. La scelta sembra addirittura naturale, sembra esserci sempre stata all’interno del Tristan und Isolde. Sarà che la storia e la musica non lasciano spazio ai cliché. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti di una soluzione fin troppo concettuale e metafisica, senza comprenderne la valenza introspettiva.
Solido il cast vocale. Applauditissima la Isolde di Ann Petersen. Il soprano danese ha una proiezione vocale invidiabile. La voce è potente, forse a tratti aspra negli acuti, ma sempre precisa. La parte centrale del registro fa perdonare le piccole sbavature.
Il Tristan è di certo il migliore dei personaggi. La parte è lunga e complessa ma Stefan Vinke la doma con estrema sicurezza. Bella l’interpretazione.
Riuscitissimo il ruolo di Marke, interpretato da Albert Dohmen che si distingue per un suadente timbro caldo e profondo.
Si segnala anche Ekaterina Gubanova che interpreta una solida Brangäne. Impeccabile il difficilissimo “Wehe! Weh!”.
Ottimi tutti gli altri: Martin Gantner nei panni di Kurwenal , il Melot di Tommaso Caramia e il giovane marinaio interpretato da Klodjan Kaçani.
Sul podio la sicura bacchetta di Juraj Valčuha, direttore musicale del Teatro di San Carlo di Napoli, capace di grantire il fluire della musica senza rinunciare ai rilievi dinamici e, naturalmente, alla evidenza dei leitmotiv.
Sentivamo la necessità di questo Tristan und Isolde ma non ce ne rendevamo conto. Un po’ come una scampagnata in montagna per fuggire dallo smog cittadino. Solo quando respiri l’aria buona ti rendi conto della differenza, gonfi i polmoni e speri non finisca.

CIro Scannapieco

Foto Rocco Casaluci

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